La Corte di cassazione a Sezioni Unite, con un’altra storica sentenza del 27 dicembre 2023, n. 35969, ha stabilito che, ai fini del riconoscimento dell’assegno alla parte che non disponga dei mezzi necessari, al termine dell’unione civile, va valutata anche la convivenza che ha preceduto l’unione civile stessa.
La Corte ha ribadito il principio espresso pochi giorni fa in tema di determinazione dell’assegno divorzile con la sentenza del 18 dicembre 2023, n. 35385, applicandolo, questa volta, alle unioni civili.
In dettaglio, il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite è stato il seguente:
“In caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, prevista dall’art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, richiamato dall’art. 1, comma venticinquesimo, della legge n. 76 del 2016, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 76 cit.”.
I fatti di causa
All’origine della controversia vi è la richiesta avanzata da Tizia di scioglimento dell'unione civile, con la esclusione dell'obbligo di corrispondere un assegno a Mevia, avuto riguardo all'autosufficienza economica della stessa.
Mevia, dal canto suo, non si opponeva allo scioglimento dell'unione, ma chiedeva il riconoscimento dell'assegno, in considerazione dello squilibrio patrimoniale e reddituale esistente con Tizia e dell'oggettivo peggioramento delle sue condizioni economiche.
Il Presidente del Tribunale di Pordenone riconosceva a Mevia un assegno provvisorio di Euro 350,00 mensili, confermato dalla Corte d'appello di Trieste.
Il Tribunale di Pordenone, dopo aver pronunciato lo scioglimento dell'unione, riconosceva a Mevia un assegno di Euro 550,00 mensili.
L'impugnazione proposta da Tizia avverso tale sentenza veniva accolta dalla Corte d'appello di Trieste, che rigettava la domanda di riconoscimento dell'assegno proposta da Mevia e la domanda di restituzione delle somme corrisposte da Tizia nel corso del giudizio.
Nel merito, la Corte aveva reputato irrilevante il pregiudizio economico subìto da Mevia per effetto della scelta di privilegiare il legame affettivo con la compagna e per il trasferimento della sua residenza dovuto alla volontà di seguire Tizia, cui erano conseguite le dimissioni rassegnate dal lavoro svolto, poiché si trattava di eventi verificatisi in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76, non avente efficacia retroattiva.
La Corte aveva ritenuto comunque non provato tale pregiudizio, anche considerando il fatto che l'accettazione da parte di Mevia dell'incarico di assistente tecnico a tempo determinato presso un Istituto Superiore di Pordenone le aveva consentito di migliorare la sua posizione in graduatoria ai fini dell'assunzione a tempo indeterminato, avvenuta il 1° settembre 2018, quando il lavoro interinale da lei precedentemente svolto a Venezia era già terminato, ed ella percepiva soltanto l'indennità di disoccupazione.
Inoltre, in considerazione della situazione concreta in cui versava l’azienda in cui lavorava precedentemente Mevia, la stessa non avrebbe avuto presumibilmente alcuna possibilità di essere assunta a tempo indeterminato.
Con ordinanza del 27 gennaio 2003, la Prima Sezione civile disponeva la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, che assegnava il ricorso alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, “avente a oggetto la possibilità di valutare, ai fini del riconoscimento dell'assegno di cui all'art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nel caso di unione civile costituita ai sensi dell'art. 1 della legge n. 76 del 2016 e della quale sia stato pronunciato lo scioglimento, i fatti intercorsi tra le parti anteriormente all'instaurazione dell'unione civile”.
La sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, 27 dicembre 2023
La questione, secondo la Corte, va inquadrata nella situazione determinatasi a seguito della sentenza della Corte EDU 21 luglio 2015, Oliari c. Italia, la quale affermò che lo Stato italiano aveva violato l'art. 8 della CEDU, per non aver ottemperato all'obbligo di garantire il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali, in tal modo dando adito all'approvazione della legge sulle unioni civili.
In proposito, la Cassazione ha richiamato le considerazioni svolte nella sentenza dell'11 luglio 2018, n. 18287, che ha superato l'orientamento precedentemente consolidatosi, che assegnava all’assegno dovuto all’ex coniuge una funzione eminentemente assistenziale.
In dettaglio, la Corte ha affermato che qualora la controversia abbia a oggetto lo scioglimento di un'unione civile costituita da persone del medesimo sesso, l'esclusione della possibilità di valutare, ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell'assegno, il periodo di convivenza che ha preceduto l'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 comporterebbe la frustrazione delle finalità perseguite dalla legge stessa, “impedendo di tenere conto delle scelte (spesso determinanti anche per il futuro) compiute dalle parti nella fase iniziale del rapporto, in cui la convivenza ha dovuto necessariamente svolgersi in via di mero fatto per causa ad esse non imputabile, essendo all'epoca preclusa alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre un vincolo formale”.
Per la Corte, infatti, va tenuto conto anche della genesi della disciplina delle unioni civili, collegata alla sentenza della Corte EDU 21 luglio 2015, Oliari e altri c. Italia, con cui fu accertato che lo Stato italiano aveva violato l'art. 8 della CEDU, sotto il profilo del diritto al rispetto della vita privata e familiare, per non avere ancora provveduto all'emanazione di una normativa volta ad attribuire un riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali.
La Corte ha affermato che: “Richiamata la propria giurisprudenza, secondo cui le coppie omosessuali hanno la stessa capacità d'instaurare una relazione stabile di quelle eterosessuali e si trovano in una situazione simile per quanto riguarda l'esigenza di riconoscimento giuridico e tutela della loro relazione, la Corte osservò che l'impossibilità di accedere ad un quadro giuridico come quello delle unioni civili o delle unioni registrate impediva alle stesse di ottenere il riconoscimento del loro status e la tutela di alcuni diritti, ritenendo insufficiente, a tal fine, la mera possibilità di disciplinare alcuni aspetti della convivenza mediante accordi contrattuali privati; pur riconoscendo che, in assenza di un accordo tra gli Stati membri, il legislatore nazionale gode di un certo margine di discrezionalità nella determinazione dell'esatto status conferito da mezzi di riconoscimento alternativi e dei diritti e gli obblighi che ne scaturiscono, ritenne che il Governo italiano avesse ecceduto tale margine, non avendo tenuto conto della diffusa accettazione delle coppie omosessuali da parte della popolazione italiana e delle sollecitazioni al riconoscimento delle stesse provenienti dalle supreme autorità giudiziarie interne, e non avendo dedotto l'esistenza di un interesse collettivo prevalente rispetto a quello dei ricorrenti”.
Tali principi hanno trovato conferma nella successiva giurisprudenza della Corte EDU.
Nella prospettiva emergente dalle pronunce citate, dunque, “improntata all'osservanza degli obblighi positivi che scaturiscono dal rispetto del diritto alla vita familiare, negare rilevanza alla convivenza di fatto tra persone del medesimo sesso, successivamente sfociata nella costituzione di un'unione civile, per il solo fatto che la relazione ha avuto inizio in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, si tradurrebbe inevitabilmente in una violazione dell'art. 8 della CEDU, oltre che in un'ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali, il cui proposito di contrarre un vincolo formale non ha potuto concretizzarsi se non a seguito dell'introduzione della disciplina delle unioni civili, a causa della precedente mancanza di un quadro giuridico idoneo ad assicurare il riconoscimento del relativo status e dei diritti ad esso collegati”.