Dopo il suicidio assistito della regista Sibilla Barbieri avvenuto in Svizzera, si è tornati a discutere sul tema, da sempre fonte di grande dibattito. Vediamo insieme cosa dispone al riguardo la normativa italiana.
Cosa si intende per suicidio assistito?
Il suicidio assistito è l’atto con cui una persona pienamente consapevole della sua scelta, vuole porre fine alle proprie sofferenze fisiche tramite la richiesta di un farmaco letale da autosomministrarsi.
Non bisogna però confondere il suicidio assistito con l’eutanasia. Sebbene entrambe le modalità condividano il medesimo esito e siano accomunate dalla volontarietà della richiesta, la differenza maggiore risiede nell’iter con cui si giunge alla somministrazione della sostanza letale.
Differenza tra suicidio assistito ed eutanasia
Il paziente che scelga di sottoporsi al suicidio assistito o all’eutanasia deve essere pienamente in grado di comprendere e volere le conseguenze della propria scelta.
La sua morte, quindi, dovrà avvenire dietro espressa volontà e con il suo consenso.
- Nel caso dell’eutanasia, una volta che il paziente abbia avanzato al medico la relativa richiesta, verranno svolti una serie di accertamenti per verificare la presenza dei requisiti necessari per accedere al trattamento. Quando la richiesta risulti fondata sarà proprio il medico a somministrare all’interessato il farmaco letale, uccidendolo;
- Invece, in caso di suicidio assistito, il paziente richiederà al medico di procurargli/prescrivergli la sostanza nociva per poterla poi assumere personalmente e togliersi la vita. Di solito questo processo avviene in strutture protette, affinché medici o altri professionisti possano assistere la persona durante l’intero iter (suicidio medicalmente assistito).
La differenza maggiore, quindi, risiede nella partecipazione attiva o meno del paziente durante il trattamento di fine vita. Se nell’eutanasia si ha un intervento diretto del medico tramite la somministrazione del farmaco al malato, nel suicidio assistito sarà il malato stesso ad assumerlo autonomamente, supportato dall’assistenza del professionista.
In Italia si può accedere al suicidio assistito?
Il diritto alla vita è un diritto fondamentale e inviolabile della persona.
È espressamente tutelato sia nel nostro ordinamento dall’art. 2 della Costituzione (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […]) sia nel diritto dell’Unione Europea tramite l’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge […]).
Non esiste però alcuna norma che tuteli e riconosca un corrispondente “diritto di morire”. In particolare in Italia esistono due reati – l’Omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e l’Istigazione o aiuto al suicidio (580 c.p.) – che rendono l’eutanasia assolutamente illegale. Difatti
- con l'omicidio del consenziente viene punito chiunque causi la morte di un uomo con il suo consenso;
- con l’istigazione o aiuto al suicidio viene punito chiunque faccia nascere un proposito suicida in qualcun’altro oppure ne rafforzi un proposito già esistente o ancora, lo aiuti a metterlo in pratica.
La normativa italiana sul suicidio assistito
Il suicidio assistito, come l’eutanasia, è stato per lungo tempo una pratica vietata in Italia ma ora le cose sono cambiate grazie a due traguardi fondamentali: la legge 219 del 2017 e la sentenza 242 del 2019 della Corte Costituzionale.
- La l. 219/2017 sul consenso informato ha disciplinato in particolare due aspetti:
– il modo in cui la persona può dare o revocare il proprio consenso a questi trattamenti;
– le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), ossia il c.d. Biotestamento all’interno del quale la persona dichiara di essere a favore o meno del "fine vita" nell’ipotesi in cui dovesse perdere, in futuro, la capacità di intendere e di volere in modo irreversibile; - Invece con la sent. 242/2019 la Corte Costituzionale ha affermato per la prima volta che l’aiuto al suicidio non è reato quando ricorrono specifiche condizioni.
Si tratta di una sentenza storica perché, pur mancando ancora una legge in merito, è stato riconosciuto il diritto al suicidio assistito in presenza di determinati requisiti.
I requisiti per accedere al suicidio assistito
È possibile avanzare la richiesta al suicidio assistito quando:
- il malato è capace di prendere liberamente decisioni consapevoli;
- è affetto da una malattia irreversibile;
- la malattia gli causa intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche
- la sua sopravvivenza dipende da un trattamento di sostegno vitale: alimentazione, respirazione, idratazione e anche chemioterapia.
Secondo la procedura queste condizioni dovranno essere accertate, mentre il paziente dovrà essere stato informato delle eventuali soluzioni alternative (es. cure palliative o anche sedazione profonda continua). Infine un comitato etico composto prevalentemente da medici dovrà verificare che il caso concreto risponda ai criteri generali stabiliti dalla Corte.
La complessità delle situazioni è tale che fino ad oggi, in Italia, sono stati ammessi solo due suicidi assistiti: il primo richiesto e ottenuto nel 2022 da Federico Carboni a 44 anni, dopo essere rimasto immobilizzato a letto per 12 anni a causa di un incidente stradale che lo aveva reso tetraplegico; il secondo ottenuto invece nel 2023 dalla signora “Gloria” (nome di fantasia), paziente oncologica di 78 anni.
Sicuramente è un tema delicato e complesso su cui c’è ancora molta incertezza, soprattutto perché si tratta di questioni estremamente soggettive.
La stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo, pur non avendo ancora preso una posizione netta sul tema, ha previsto che gli Stati Membri che decidano di ammettere pratiche come l’eutanasia o il suicidio assistito, dispongano al riguardo norme chiare e precise nel rispetto della dignità del malato.