Molti italiani hanno provato lo smart working per la prima volta proprio a causa della pandemia, nel 2020. Però, in realtà, questa modalità di lavoro era regolamentata in Italia già dal 2017.
Ad ogni modo, a causa del Covid-19 lo smart working è esploso, e non solo tra le aziende tecnologiche, si è diffuso in moltissimi settori. Persino nelle scuole e nelle università se vi ricordate, con la DAD (didattica a distanza). Insomma, questa modalità di lavoro in quel momento sembrava non potesse proprio tornare indietro. Invece, oggi, forse le cose stanno diversamente.
Perché alcune aziende stanno eliminando lo Smart Working?
Le ragioni più ricorrenti sono la valorizzazione della creatività e dell’innovazione. Spiegato più semplicemente, le aziende temono che i propri dipendenti, senza vedersi tra di loro, rischino di alienarsi rispetto al mondo aziendale, di non fare squadra e di non confrontarsi a sufficienza. E, dato che spesso le migliori idee vengono mentre si prende il caffè e si parla del più e del meno, questo potrebbe compromettere creatività e innovazione.
Chiaramente, il lavoro da remoto (secondo chi è contrario) penalizza anche la costruzione di un rapporto di fiducia tra i dipendenti e quindi non contribuisce al “team building”. Tanto per fare un esempio: un allenatore come fa a costruire una squadra vincente se i suoi giocatori non si allenano mai insieme?
Inoltre, isolando i dipendenti, si rischierebbe anche di limitare il trasferimento di competenze. Detto in parole povere: "imparare cose da un collega”.
Ovviamente, tutte queste cose (team building, fiducia, competenze, ecc.), possono ricadere anche sulla produttività di un’azienda.
Smart Working e produttività
Qualche mese fa è stato pubblicato uno studio, condotto da Nicholas Bloom, professore di economia alla Stanford University. Lo studio aveva lo scopo di analizzare gli effetti del lavoro da remoto sui dipendenti di una delle più grandi agenzie di viaggi online al mondo. L'esperimento è durato sei mesi, durante i quali alcuni dipendenti hanno lavorato con un modello di lavoro ibrido, ossia due giorni da remoto e tre giorni in ufficio, mentre altri lavoravano esclusivamente in presenza.
Lo studio ha rilevato che la produttività dei lavoratori in modalità ibrida è rimasta invariata rispetto ai colleghi in ufficio a tempo pieno.
Inoltre, c’è stato un calo del 33% delle dimissioni tra i dipendenti in modalità ibrida rispetto a quelli in ufficio. Questo dato è stato particolarmente significativo per le donne, i non-manager e per quei dipendenti che facevano lunghi spostamenti per arrivare in ufficio.
Infine, i dipendenti in smart working hanno avuto le stesse probabilità di ottenere promozioni rispetto ai lavoratori in presenza, smentendo un po’ l’idea che essere meno presenti in ufficio ostacoli in qualche modo la crescita professionale.
Gli svantaggi dello Smart Working
Tuttavia, piccola riflessione: non tutti i lavori si adattano bene allo smart working. Ci sono diversi studi che parlano di aumento della produttività, altri che invece parlano di una riduzione della produttività.
Il punto è che tutti questi studi non vanno presi per “verità assoluta”. Il motivo è anche perché stiamo parlando di un fenomeno piuttosto recente e che si è diffuso davvero solo negli ultimi anni. Quindi, servirà ancora diverso tempo e anni di studio (e di raccolta dati) per avere conclusioni più solide.
I vantaggi dello Smart Working
Comunque, produttività o meno, è stato dimostrato che lo smart working può avere degli effetti positivi. Per fare un esempio, forse il più evidente, riduce l’inquinamento, siccome le persone non devono muoversi per andare a lavoro. Inoltre, per i lavoratori significa risparmiare tempo e denaro sui trasporti, e quindi avere un migliore equilibrio tra la vita lavorativa e la vita privata.
Pensate che secondo un’indagine condotta dall’Associazione dei direttori del personale (Aidp), una giornata in smart working fa risparmiare in media 74 minuti per recarsi in ufficio e circa mille euro l’anno di trasporti. Ma anche per l’azienda stessa lo smart working può rappresentare un risparmio: avere lavoratori da remoto, infatti, significa avere bisogno di uffici più piccoli, quindi meno soldi che andranno in affitti e bollette. Meno scontato, invece, è l’effetto che lo smart working può avere sull’economia.
Gli effetti dello Smart Working sull’economia
Avete mai sentito parlare del fenomeno Zoomshock? È un termine che è stato coniato durante il periodo della pandemia ed è l’unione di due parole: Zoom e Shock, dove Zoom sta proprio per Zoom (la piattaforma per fare call, riunioni, video-lezioni ecc.).
Comunque, lo Zoomshock è quel fenomeno in cui, a causa del lavoro da remoto, la domanda di beni e servizi si sposta dalle aree centrali delle città alle aree suburbane o residenziali, dove i lavoratori trascorrono la maggior parte del loro tempo quando sono in smart working.
Inoltre, un ipotetico “spopolamento” degli uffici potrebbe avere ripercussioni anche sul mercato immobiliare. Come spiega uno studio del National Bureau of Economic Research, durante il periodo Covid lo smart working aveva consentito a molti lavoratori di New York di cercare case più grandi nelle periferie o in aree rurali, portando quindi a una crescita della domanda di abitazioni in zone della città che generalmente sono meno popolate e molto più economiche.
Lo Smart Working sta finendo?
Partiamo dai numeri: i dipendenti che lavorano da remoto sono ancora tantissimi. In Italia nel 2023 c’erano 3,6 milioni di lavoratori in smart working, ed è prevista una leggera crescita per il 2024. Piccola precisazione, però: rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia si piazza tra gli ultimi posti.