No, svolgere un’altra attività lavorativa presso terzi durante il periodo di congedo parentale significa ledere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro fiduciario, ma anche abusare di un diritto potestativo.
L’ordinamento riconosce al genitore il diritto di godere di permessi per congedo parentale al fine di occuparsi del figlio minore di età.
Il dipendente che strumentalmente usufruisca dei congedi per svolgere un altro lavoro incorre nel licenziamento legittimo, a dirlo è una recente pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata.
Il fatto
Tizio, dipendente, dichiarava di aver diritto di avvalersi del congedo parentale previsto dall'art. 32 del D.Lgs. n. 151/2001 al fine di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del figlio minore, usufruendone così nel corso del mese di agosto per un totale di 10 giorni.
Durante quei giorni di congedo parentale, tuttavia, il datore di lavoro decideva di avvalersi di una società di investigazioni private con il fine di tutelare la propria impresa contro la violazione degli obblighi di esecuzione della prestazione e/o degli obblighi di diligenza del dipendente.
La Società di Investigazioni, difatti, riceveva mandato per svolgere le attività di indagini e durante le stesse rilevava la presenza del dipendente presso uno stabilimento balneare.
Tizio veniva ritratto mentre svolgeva l’attività di parcheggiatore, indirizzando le automobili in entrata e in uscita, così come indossandola stessa divisa di lavoro riconosciuta agli altri dipendenti dello stabilimento balneare.
Il datore di lavoro provvedeva pertanto a irrogare il licenziamento.
Avverso il licenziamento, Tizio decideva di ricorrere innanzi a Giudice del Lavoro lamentando che il materiale fotografico raccolto non potesse essere incontrovertibilmente attribuito al medesimo periodo di congedo parentale poichè non tutte le fotografie indicavano una data certa.
La decisione
Il Tribunale di Torre Annunziata, sezione Lavoro, sentenza 17 aprile 2024 ha rigettato il ricorso e condannato il dipendente alle spese.
Il Giudice ha infatti ritenuto l'irrogazione del licenziamento, ovvero la massima sanzione disciplinare, giustificata perché avvenuta in presenza di un abuso per sviamento dalla funzione propria del diritto potestativo al godimento del congedo parentale ex art. 32 del D.Lgs. n. 151/2001, così grave da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto e da incidere in negativo sull'elemento fiduciario con il datore di lavoro.
La regola generale seguita dalla Cassazione (vedi anche n. 21017/15) per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento (che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario), è quella di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale; dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.
Il periodo di congedo consente al lavoratore di astenersi dal lavoro nei primi 8 mesi di vita del figlio percependo un’indennità previdenziale commisurata parzialmente alla retribuzione e che consente al padre-lavoratore di esercitare un suo diritto potestativo.
Per questa ragione, qualora il periodo di congedo venisse utilizzato per svolgere una diversa attività lavorativa, si parla di abuso del diritto potestativo e per questo valutato come giusta causa di licenziamento.