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12 Ottobre 2024
9:00

Risoluzione del contratto: cosa significa, quali sono gli effetti e i casi in cui si verifica

Istituto giuridico, previsto dall'articolo 1453 del Codice civile, la risoluzione del contratto può essere ottenuta nei casi di inadempimento, impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità.

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Risoluzione del contratto: cosa significa, quali sono gli effetti e i casi in cui si verifica
Esperta in Diritto Tributario
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La risoluzione del contratto è l'istituto giuridico, disciplinato dagli articoli 1453 e seguenti del codice civile, che prevede lo scioglimento del vincolo contrattuale, i cui effetti si ottengono tramite domanda giudiziale o anche automaticamente in determinate circostanze.

Quando si parla di contratti, non è infrequente che una delle parti sia inadempiente e come tale si ponga la necessità di sciogliere il vincolo giuridico instaurato. Si parla in tal caso di risoluzione del contratto per inadempimento, un rimedio giuridico che consente al creditore di sciogliere il contratto quando il debitore non adempie alla prestazione a cui era obbligato. Si tratta di una delle forme di risoluzione del contratto previste dall'ordinamento italiano per far fronte all'inadempimento contrattuale.

Secondo il Codice Civile italiano, in particolare all'art. 1453, il creditore, in caso di mancata esecuzione della prestazione da parte del debitore, può scegliere tra due opzioni: chiedere l'adempimento del contratto, se ancora possibile oppure domandare la risoluzione del contratto, cioè lo scioglimento del vincolo contrattuale, unito all'eventuale risarcimento del danno.

Cos’è la risoluzione del contratto

La risoluzione del contratto indica lo scioglimento di un contratto a prestazioni corrispettive per il sopravvenire di fatti che alterano l'equilibrio tra le prestazioni, il cosiddetto sinallagma, ossia il legame, il nesso di reciprocità che unisce una prestazione all’altra.

Si parla in tal caso di vizio del sinallagma funzionale, ossia del rapporto di corrispettività tra le prestazioni delle parti, e i fatti che lo determinano possono essere causati dal comportamento delle parti o da eventi imprevedibili estranei.

Prima che si verifichi la risoluzione, il contratto è considerato perfettamente valido. Tuttavia, in fase di esecuzione, l’inadempimento di una parte o l'emergere di eventi sopravvenuti può impedire a una o entrambe le parti di soddisfare pienamente i propri interessi. Con lo scioglimento del contratto, si interviene quindi per rimediare all'alterazione del sinallagma, ovvero il rapporto di interdipendenza tra le prestazioni contrattuali.

Quali sono gli effetti

Gli effetti della risoluzione di un contratto possono ottenersi con una domanda giudiziale ovvero automaticamente, quando sussistono determinati presupposti. L’articolo 1453 del codice civile stabilisce:

“Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione. Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.”

La risoluzione ha generalmente effetto retroattivo, il che significa che il contratto viene considerato come se non fosse mai esistito. Tuttavia, gli effetti possono variare a seconda delle specifiche circostanze e dei contratti di durata, dove gli effetti operano solo per il futuro (ex nunc).

Quali sono i casi di risoluzione contrattuale: le cause

Sono tre le principali ipotesi di risoluzione del contratto previste dal Codice Civile italiano: la risoluzione per inadempimento, per impossibilità sopravvenuta e per eccessiva onerosità sopravvenuta.

  • risoluzione per inadempimento: disciplinata dagli articoli 1453 e seguenti del Codice Civile, questo tipo di risoluzione si applica ai contratti con prestazioni corrispettive (cioè contratti in cui le obbligazioni di una parte sono controprestazioni di quelle dell’altra). Quando una delle parti non adempie alle sue obbligazioni in modo grave (art. 1455 c.c.), l'altra parte, che ha adempiuto o è disposta ad adempiere, può agire giudizialmente. Come? Può chiedere che l'altra parte esegua quanto dovuto, cioè che venga rispettata la prestazione prevista nel contratto. In alternativa, può chiedere che il contratto venga risolto, ponendo fine agli obblighi reciproci, con la possibilità di richiedere il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.
  • risoluzione per impossibilità sopravvenuta: si verifica quando una delle prestazioni diventa impossibile per cause non imputabili al debitore (artt. 1463-1464 c.c.). Si applica anch'essa ai contratti con prestazioni corrispettive. L’esempio classico è la distruzione dell'oggetto della prestazione in un contratto di compravendita. La parte liberata dall’obbligazione per impossibilità sopravvenuta non può chiedere la controprestazione. Inoltre, deve restituire quanto eventualmente già ricevuto, seguendo le norme sulla ripetizione dell’indebito
  • risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta: si applica ai contratti a esecuzione continuata, periodica o differita. Questo rimedio è previsto quando, per avvenimenti straordinari e imprevedibili, l’esecuzione della prestazione diventa eccessivamente onerosa per una delle parti.

Risoluzione del contratto di diritto o legale

Sono due i principali tipi di risoluzione: di diritto (anche detta legale) e giudiziale. 

La risoluzione di diritto del contratto opera automaticamente in base a quanto previsto dal Codice Civile, senza necessità di un intervento del giudice. Il giudice può comunque intervenire per accertare l’avvenuta risoluzione, ma gli effetti sono automatici.

La risoluzione legale del contratto è prevista dal codice civile italiano in tre situazioni specifiche:

  • Diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.): procedura attraverso la quale la parte adempiente intima formalmente alla parte inadempiente di eseguire la propria obbligazione entro un termine congruo, che di norma non può essere inferiore a 15 giorni, a meno che un termine più breve non sia giustificato dalle circostanze o pattuito dalle parti. Se la parte inadempiente non adempie entro tale termine, il contratto si risolve automaticamente, di diritto.
  • Decorso del termine essenziale (art. 1457 c.c.): quando le parti fissano un termine essenziale per l’adempimento di una delle prestazioni contrattuali, la mancata esecuzione entro tale termine comporta automaticamente la risoluzione del contratto. Il termine essenziale è quel termine che, per la natura della prestazione o per volontà delle parti, viene considerato cruciale per il corretto adempimento dell'obbligazione.
  • Clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.): tale clausola stabilisce in anticipo che il contratto si risolve automaticamente nel caso in cui una determinata obbligazione non venga adempiuta in conformità con quanto previsto. Questa clausola è un forte deterrente per l’inadempimento, poiché rende chiaro che la mancata esecuzione di specifici obblighi comporterà la risoluzione del contratto senza necessità di ulteriori azioni da parte della parte adempiente.

Risoluzione giudiziale del contratto

Negli altri casi, il contraente che voglia risolvere il contratto deve agire giudizialmente e la pronuncia risolutiva ha, in tal caso, carattere costitutivo. La risoluzione giudiziale richiede quindi l'intervento del giudice.

La risoluzione contrattuale è un rimedio giuridico previsto dal codice civile italiano per sciogliere il vincolo contrattuale in presenza di determinate circostanze che rendono impossibile o eccessivamente onerosa l’esecuzione del contratto. In particolare la risoluzione del contratto può essere ottenuta nei casi di inadempimento, impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità, offrendo alle parti la possibilità di sciogliersi dal contratto qualora le circostanze lo rendano inattuabile o ingiustamente gravoso.

Che differenza c’è tra recesso e risoluzione

Spesso confusi, i due termini recesso e risoluzione sono in realtà diversi. Il recesso è un rimedio che consente di sciogliersi da un contratto senza necessità di una pronuncia giudiziale, agendo  come una forma di risoluzione stragiudiziale. La risoluzione invece è un rimedio più articolato e prevede la possibilità per la parte adempiente di chiedere lo scioglimento del contratto e, contemporaneamente, il risarcimento del danno effettivamente subito (art. 1453 e segg. c.c).

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