Il paziente che abbia subito un danno nel corso della prestazione sanitaria non deve provare l’errore commesso dal medico, ma solo il nesso causale tra la condotta medica e il danno subito.
E’ la struttura sanitaria ad avere l’onere probatorio della corretta condotta medica oppure del fatto che l’inadempimento sia stato determinato da una causa non imputabile.
Il fatto
Il paziente Tizio citava in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale Gamma affinchè venisse condannata al risarcimento dei danni causati da un’errata e imperita manovra compiuta dall'anestesista.
Il giorno 8 febbraio 2011 veniva infatti sottoposto a un intervento chirurgico per ipertrofia prostatica presso il reparto di Urologia dell’ospedale facente capo all’ASL Gamma. Nel corso dell’intervento, la manovra dell’anestesista praticata nello spazio vertebrale L2-L3 gli aveva cagionato immediato dolore seguito da una specie di scossa elettrica.
L’anestesista immediatamente confessava all’infermiera che lo assisteva di aver chiaro l’errore commesso, tanto da estrarre e riposizionare nuovamente l’ago per praticare correttamente l’anestesia.
Nel successivo mese di marzo, Tizio accusava disturbi e difficoltà respiratorie che lo costringevano a recarsi per ben due volte al presidio di Pronto Soccorso e dove veniva diagnosticata la paralisi del nervo ascellare destro e dell’emidiaframma sinistro “da verosimile reliquato di anestesia”, pur in presenza di preesistente erniazione cervicale.
Ciò detto, Tizio pativa conseguenze dannose sia di carattere patrimoniale che non patrimoniale e domandava che l’ASL Gamma venisse condannata al risarcimento dei danni da lui subìti in conseguenza dell’inesatta esecuzione della prestazione che formava oggetto dell’obbligazione sanitaria.
La Corte d’Appello negava la responsabilità contrattuale dell’azienda sanitaria locale convenuta in giudizio poichè il paziente danneggiato Tizio non aveva dato prova di alcuni elementi idonei a dimostrare il nesso di causalità, come la condotta inadempiente del sanitario.
La decisione
La Corte di Cassazione, sezione 3, civile, ordinanza del 5 marzo 2024, n. 5922 si è pronunciata in tema di responsabilità sanitaria e relativamente al regime del riparto dell’onere probatorio.
Seppur presuntivamente, il paziente che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non cagionato dal medico, ha l’onere di dimostrare il nesso di causalità tra l’evento danno e la condotta denunciata.
Non è compito del paziente danneggiato provare che la prestazione medica sia stata commessa in violenza della leges artis, dal momento che è onere della struttura (oppure del professionista) dimostrare la condotta corretta o la non imputabilità della causa da cui sia dipeso l’inadempimento.
Secondo i Giudici, infatti, è del tutto irrilevante che il danneggiato non abbia provveduto a dimostrare l’inadempimento poichè è compito della struttura dimostrare la correttezza della prestazione.
Tanto la responsabilità della struttura quanto quella del medico vanno qualificate in termini di responsabilità contrattuale e non quello della responsabilità aquiliana, perchè è compito della struttura sanitaria adempiere personalmente (ex art. 1218 c.c.) o mediante il personale sanitario (ex art. 1228 c.c.) in base al quale il creditore che abbia provato la fonte del suo credito ed abbia allegato che esso sia rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto, non è altresì onerato di dimostrare l’inadempimento o l’inesatto adempimento del debitore, spettando a quest’ultimo la prova dell’esatto adempimento.
Non incide quindi sulle sorti del giudizio il fatto che l’attor enon dimostri elementi fattuali a sosgno dell’inadempimento denunciato, dal momento che questi ben potrebbero invece dipendere dai processi sanitari interni oppure dalla capacità degli operatori sanitari.
E’ compito della struttura sanitaria ricostruire e documentare il corretto svolgersi della prestazione.