La responsabilità precontrattuale deriva dalla violazione del canone di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto.
Secondo quanto stabilito dall'art. 1337 del Codice civile, infatti, le parti devono comportarsi secondo buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto.
La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all'altra, infatti, è tenuta a risarcire il danno provocato a quest'ultima, la quale ha confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto (art. 1338 c.c.).
Vediamo, in dettaglio, cos'è la responsabilità precontrattuale, qual è l'interesse tutelato dalla normativa e cosa dice il Codice civile e la giurisprudenza sul tema.
Cos'è la responsabilità precontrattuale
La responsabilità precontrattuale deriva dalla violazione del canone di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto.
Gli artt. 1337 e 1338 c.c. delineano la disciplina della responsabilità precontrattuale in maniera chiara: le parti devono comportarsi secondo buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto. Inoltre, viene stabilito, che la parte che conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte, risponde del danno cagionato a quest'ultima, la quale ha confidato, senza colpa, nella validità del contratto.
In poche parole, la parte che, durante lo svolgimento delle trattative, non si è comportata secondo buona fede, è tenuta a risarcire l'altra parte.
Non è dunque prevista soltanto una responsabilità contrattuale, che deriva dall'inadempimento delle obbligazioni derivanti da contratto: il legislatore sanziona anche le condotte che precedono la formazione del contratto, se hanno rilievo con riguardo al principio di buona fede.
L'interesse tutelato
In giurisprudenza è stato più volte chiarito che l'interesse tutelato dalle norme in tema di responsabilità precontrattuale è l'interesse negativo, ovvero l'interesse di una parte a non essere coinvolta in trattative inutili.
La Corte di cassazione, con sentenza del 12 marzo 1993, n. 2973 ha ad esempio stabilito che: “La responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 cod. civ., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 cod. civ., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse”.
La parte che è venuta meno alle trattative quando le stesse erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva dell’affare è dunque tenuta a risarcire l’altra parte con riferimento all’interesse negativo ovvero al pregiudizio economico derivante dalla rinuncia a stipulare un altro contratto.
Per il ravvisarsi della responsabilità contrattuale, dunque, non è sufficiente la comunicazione di una mera intenzione di voler concludere un contratto, ma va data prova della sussistenza di vere e proprie trattative tra le parti, giunte a un livello avanzato.
Gli artt. 1337 e 1338 c.c.
Le norme di riferimento in tema di responsabilità precontrattuale sono gli artt. 1337 e 1338 del Codice civile.
- 1337: "Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede".
- 1338: "La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto , non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto".
Gli artt. 1337 e 1338 c.c., dunque, tracciano la disciplina generale della responsabilità precontrattuale.
Il legislatore ha infatti voluto conferire importanza non soltanto alla fase relativa alla conclusione vera e propria del contratto, ma anche alla fase che precede il contratto, con lo scopo di tutelare i contraenti nella loro libertà negoziale, ovvero nel loro diritto a non essere coinvolti in trattative inutili.
La buona fede
La buona fede è considerata un principio generale nei rapporti tra i contraenti, espressione del principio solidarista di cui all'art. 2 della Costituzione.
Secondo l'impostazione tradizionale, si usa distinguere tra:
- buona fede in senso soggettivo: ignoranza di ledere l'altrui diritto;
- buona fede in senso oggettivo: condotta volta a preservare la sfera giuridica dell'altra parte.
La buona fede che viene in rilievo nelle ipotesi contemplate, in tema di responsabilità contrattuale e precontrattuale, è quella intesa in senso oggettivo.
Come ha osservato la Corte di cassazione, sezione III civile, con sentenza del 27 marzo 2024, n. 8277, infatti: "La buona fede oggettiva – che, nell'esecuzione del rapporto contrattuale, è il nerbo delle regole di condotta, dal contenuto necessariamente elastico, ma ontologicamente etico – governa il comportamento dei contraenti, in modo tale che esso, mediante l'adempimento di tale basilare obbligo relazionale, sia collaborativo e sociale e sia diretto, quindi, a tutelare i legittimi interessi della controparte al pari dei propri. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della corte di appello che, nel rigettare la domanda restitutoria di alcune somme di denaro svolta nei confronti di un Consorzio, che agiva quale sostituto di imposta di (…), aveva integralmente eluso il canone della buona fede oggettiva, statuendo erroneamente che chi versa al sostituto una somma non dovuta può recuperarla solo dopo che detta somma sia stata materialmente trasferita al sostituito)".
La buona fede va dunque intesa come "obbligo relazionale" diretto a tutelare gli interessi della controparte.
Nel Codice civile il riferimento alla buona fede si trova in molteplici norme, ad esempio:
- art. 1337 c.c.: la buona fede deve caratterizzare lo svolgimento delle trattative e della formazione del contratto;
- art. 1336 c.c.: la buona fede è canone di interpretazione del contratto;
- art. 1358 c.c.: la buona fede deve caratterizzare il comportamento di colui che si è obbligato in pendenza della condizione sospensiva;
- art. 1375 c.c.: la buona fede deve permeare anche la fase relativa all'esecuzione del contratto.
Si ricorda, inoltre, che nel nuovo Codice dei contratti pubblici (Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n.36), ai sensi dell’art. 5 è stabilito che “Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell'affidamento”.
La buona fede e l’affidamento sono dunque principi che devono animare il comportamento di tutti coloro che sono coinvolti nella procedura di gara.
Tale disposizione conferma il valore preminente della buona fede, quale generale canone di comportamento e principio generale dell'ordinamento giuridico.
La buona fede e gli obblighi di informazione
Rientra nel generale dovere di buona fede, ad esempio, l'obbligo di informare in maniera completa e chiara l'altra parte avuto riguardo a tutte le condizioni presenti nel contratto.
Tale obbligo risulta particolarmente pregnante, ad esempio, nei contratti del consumatore.
Il professionista, infatti, ha tutta una serie di obblighi, che vengono indicati all’art.5 del Codice del consumo.
In particolare, all’art. 5, viene specificato il contenuto dell’obbligo informativo cui il professionista è tenuto a ottemperare.
Viene infatti stabilito che: “Le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
Il consumatore deve dunque avere piena consapevolezza delle sue scelte e le informazioni devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile.
Presupposti della responsabilità precontrattuale
La responsabilità precontrattuale ricorre, dunque, quando una parte abbia violato la buona fede nella formazione del contratto.
Non basta che tra le parti sia stata espressa la mera intenzione di concludere un contratto: le trattative devono essere giunte a un buon punto per poter fondare una richiesta di risarcimento dell'altro contraente.
La Corte di Cassazione, sez. II civile, con sentenza del 15 aprile 2016, n. 7545, ha infatti stabilito che: "Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte a uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei a escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato". Nello stesso senso si è espressa, più di recente, la Corte di Cassazione civile, con ordinanza del 16 novembre 2021, n. 34510.
Possono avere rilievo, dunque, ai fini della formulazione di un giudizio di responsabilità precontrattuale, le puntuazioni fatte per iscritto "che non hanno valore contrattuale ma sono utili per valutare il comportamento tenuto dalle parti in relazione al programma di conduzione delle trattative". Infatti, "oggetto della valutazione del giudice deve essere il comportamento complessivo tenuto dalle parti, prima della fase precontrattuale, durante le trattative e dopo la loro rottura" (Cass. civ., Sez. III, 22 giugno 2020, n. 12107).
Sulla base di queste coordinate, è stato statuito che: "In tema di rapporti bancari, il cd. "documento di sintesi", nel riportare in modo sintetico e riassuntivo gli aspetti più significativi del contratto, vale a consentire al cliente una più agevole e rapida lettura delle sue clausole; esso assolve a una funzione meramente informativa senza rientrare nel contenuto strutturale del contratto stesso, con la conseguenza che l'inosservanza dell'obbligo di consegna del documento non comporta la nullità del negozio, potendo esclusivamente rivelarsi fonte di responsabilità pre-contrattuale o contrattuale" (Corte di Cassazione, sezione I civile, ordinanza del 22 maggio 2023, n. 14000).
Nei rapporti bancari, dunque, può integrare un'ipotesi di responsabilità precontrattuale la mancata consegna del "documento di sintesi", ove sono riportate in maniera semplificata le condizioni salienti del contratto.
Natura della responsabilità precontrattuale
Quanto alla natura della responsabilità precontrattuale, una parte della giurisprudenza ha affermato che essa costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale.
Qualora si opti per questa soluzione, dunque, l'onere della prova ricade sul contraente che richiede il risarcimento del danno, poiché si ritiene leso nei suoi diritti.
Egli dovrà provare, dunque, che il comportamento dell'altro contraente è stato contrario a buona fede.
Inoltre, il termine di prescrizione entro cui è possibile far valere la pretesa risarcitoria derivante da responsabilità precontrattuale è quinquennale.
Altra parte della giurisprudenza ricostruisce la responsabilità precontrattuale come ipotesi di responsabilità contrattuale derivante da "contatto sociale qualificato" inteso come "fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell'art. 1173 c.c. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c." (Cass. civ. sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188).
In particolare, la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con ordinanza del 29 dicembre 2020, n. 29711 ha stabilito che: “La cosiddetta responsabilità "da contatto sociale", soggetta alle regole della responsabilità contrattuale, pur in assenza d'un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, è configurabile non in ogni ipotesi in cui taluno, nell'eseguire un incarico conferitogli da altri, nuoccia a terzi, come conseguenza riflessa dell'attività così espletata, ma soltanto quando il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell'attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell'art. 1173 c.c. agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico”.
Qualora si opti per questa impostazione, dunque, il termine di prescrizione entro cui far valere il danno è decennale, ex art. 2946 c.c.
Inoltre, per ciò che concerne il riparto dell'onere probatorio, sarà il contraente che risponde del danno a dover dimostrare di aver agito con correttezza e buona fede.
La responsabilità precontrattuale della P.A.
In tema di responsabilità precontrattuale della P.A., la Corte di Cassazione, sezione I civile, con sentenza del 3 luglio 2014, n. 15260 ha stabilito che: "La responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, compia azioni o incorra in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza è tenuto già nel procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, ossia nel momento in cui entra in contatto con una pluralità di offerenti, instaurando con ciascuno di essi trattative (multiple o parallele) idonee a determinare la costituzione di rapporti giuridici, nel cui ambito è tenuto al rispetto di principi generali di comportamento posti dalla legge a tutela indifferenziata degli interessi delle parti. Ne consegue che l'inosservanza di tale precetto, anche prima della conclusione della gara, determina l'insorgere della responsabilità della P.A. per violazione del dovere di correttezza previsto dall'art. 1337 cod. civ., a prescindere dalla prova dell'eventuale diritto all'aggiudicazione del partecipante".
La responsabilità precontrattuale della P.A., dunque, può configurarsi anche prima della conclusione della gara, per violazione dei canoni di correttezza e buona fede.
La Corte di Cassazione, sez. I civile, con sentenza del 12 maggio 2015, n. 9636 ha inoltre chiarito che: "La responsabilità precontrattuale della P.A. non è responsabilità da provvedimento, ma responsabilità da comportamento, per la quale non rileva la legittimità del provvedimento adottato nella procedura ad evidenza pubblica, ma la correttezza del comportamento tenuto durante le trattative e la formazione del contratto. Pertanto, la P.A. che abbia preteso l'anticipata esecuzione del contratto in attesa dell'approvazione tutoria, poi negata, risponde ex art. 1337 cod. civ., attesa la posizione di garanzia implicita nel suo "status" professionale".
Quanto all'aspetto della giurisdizione, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con ordinanza del 18 ottobre 2022, n. 30712, ha stabilito che: "In tema di cd. "project financing", la controversia di natura risarcitoria avente a oggetto il mancato completamento della relativa procedura per responsabilità precontrattuale ascrivibile alla P.A., rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, venendo in rilievo, avuto riguardo alla fase amministrativa ex art. 37-bis della l. n. 109 del 1994, un procedimento amministrativo volto all'affidamento di una concessione, contrassegnato dall'esercizio di un'attività provvedimentale e pubblicistica".
Il risarcimento dell'interesse negativo
Quanto al risarcimento del danno, va risarcito il cosiddetto interesse negativo, ovvero l'interesse a non essere coinvolto in trattative inutili.
La Corte di Cassazione, sezione III civile, con ordinanza del 6 luglio 2023, n. 19202, ha stabilito che: "La responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c., coprendo nei limiti del cd. interesse negativo tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente un contenuto diverso rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento sulla conclusione positiva di esse".
Il risarcimento del danno, dunque, deve coprire il pregiudizio economico che derivi dalle rinunce a stipulare un altro contratto, in poche parole, alla perdita di altre occasioni.
Nel dettaglio, la Corte di Cassazione, sezione III civile, con ordinanza del 12 maggio 2022, n. 15147, ha chiarito che: "In tema di responsabilità precontrattuale ex art. 1338 c.c., è dovuto l'integrale risarcimento del danno sofferto dal contraente ignaro, che può venire in rilievo sia sotto il profilo del danno emergente (consistente nelle spese sopportate nel corso delle trattative), sia sotto il profilo del lucro cessante (perdite sofferte dal contraente per la mancata conclusione di altre trattative dalle quali è stato distolto), non essendo, viceversa, risarcibile il pregiudizio corrispondente al cd. interesse positivo, consistente nelle utilità che si sarebbero ricavate ove il contratto fosse stato validamente concluso ed eseguito".
Il risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale, dunque, si fonda su due componenti:
- danno emergente: spese affrontate nel corso delle trattative;
- lucro cessante: perdite per la mancata conclusione di altri affari.
Sulla fase delle trattative può incidere, dunque, anche il comportamento del contraente il quale abbia, ad esempio, taciuto degli aspetti dell'affare, inducendo l'altra parte a concludere un contratto meno vantaggioso rispetto a quello che era stato prospettato.
Si tratta, ad esempio, del caso di recente affrontato dalla Cassazione, avente a oggetto un contratto di compravendita di un immobile.
Il venditore aveva taciuto il fatto che tale immobile fosse gravato da una servitù di passaggio.
La Corte di Cassazione, sez. III civile, con ordinanza del 29 febbraio 2024, n. 5380, ha infatti statuito che: "Nell'ipotesi di dolo incidente ex art. 1440 c.c., il danno risarcibile corrisponde al minor vantaggio o al maggior aggravio economico rispetto alle diverse condizioni alle quali sarebbe stato concluso il contratto in mancanza della condotta dolosa, nonché agli ulteriori pregiudizi correlati alla lesione dell'interesse positivo sotteso all'accordo, ove discendenti dalla suddetta condotta alla stregua dell'art. 1223 c.c. (Nella specie, con riferimento alla responsabilità precontrattuale dei promittenti alienanti per aver sottaciuto, in sede di conclusione del contratto preliminare di compravendita di un immobile, la circostanza che quest'ultimo fosse gravato da servitù di passaggio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nel commisurare il risarcimento al minor valore di scambio che sarebbe stato attribuito al bene ove fosse stata conosciuta la servitù, aveva escluso la risarcibilità del pregiudizio patrimoniale corrispondente alle spese sopportate per addivenire a una soluzione transattiva con i relativi titolari, ritenendolo non causalmente riconducibile al contegno decettivo)".
Qualora, dunque, durante le trattative sia stato taciuto un fatto che abbia indotto la parte a concludere un contratto meno a condizioni meno vantaggiose, il danno risarcibile è uguale "al minor vantaggio o al maggior aggravio economico rispetto alle diverse condizioni alle quale sarebbe stato concluso il contratto in mancanza della condotta dolosa" (Corte di Cassazione, sez. III civile, con ordinanza del 29 febbraio 2024, n. 5380).
Si parla, in questo caso, di vizi incompleti della volontà, ovvero di una condotta che non ha determinato la conclusione di un contatto invalido, ma di un contratto concluso a condizioni meno vantaggioso per la parte vittima del comportamento scorretto dell'altro contraente.
Ipotesi di responsabilità precontrattuale
Possono essere individuate una serie di ipotesi rispetto alle quali è configurabili la responsabilità precontrattuale di uno dei contraenti.
Si configura responsabilità precontrattuale, in ipotesi di recesso ingiustificato dalle trattative, conclusione di contratto invalido, conclusione di contratto non conveniente.
Il recesso ingiustificato dalle trattative
Una delle ipotesi maggiormente ricorrenti nella prassi da cui deriva la responsabilità precontrattuale di una delle parti riguarda il recesso ingiustificato dalle trattative.
Si configura un'ipotesi di responsabilità precontrattuale conseguente a recesso ingiustificato dalla trattative quando ricorrono le seguenti condizioni:
- le parti sono giunte in un fase avanzata delle trattative;
- il recesso dalle trattative di uno dei contraenti non è giustificato, dunque è contrario a buona fede;
- l'altra parte ha confidato senza colpa nella conclusione del contratto.
La conclusione di un contratto invalido
L'art. 1338 c.c. stabilisce espressamente che "la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto".
Ipotesi prevista dal legislatore è dunque quella in cui una parte è stata sostanzialmente indotta a concludere un contratto invalido, poiché l'altro contraente ha taciuto l'esistenza di una causa di invalidità dello stesso.
La conclusione di un contratto non conveniente
Ipotesi che si verifica sovente nella prassi è quella in cui la parte viene indotta a concludere un contratto a condizioni meno convenienti di quelle a cui lo avrebbe concluso, se l'altra parte non la avesse indotta in mala fede a contrarre a quelle condizioni.
In questo caso, dunque, non ci troviamo al cospetto di un contratto invalido, ma di un contratto concluso a condizioni meno vantaggiose di quelle che erano state prospettate dall'altro contraente.
Come specificato più volte in giurisprudenza, infatti: "la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto. (Cass., 26.4.2012, n 6526)".
In questo caso, il danno risarcibile è uguale "al minor vantaggio o al maggior aggravio economico rispetto alle diverse condizioni alle quale sarebbe stato concluso il contratto in mancanza della condotta dolosa" (Corte di Cassazione, sez. III civile, con ordinanza del 29 febbraio 2024, n. 5380).