8 Gennaio 2024
17:00

Come funziona il recesso online

Il diritto di recesso è un diritto irrinunciabile che il consumatore può esercitare in caso di contratti conclusi a distanza o negoziati fuori dai negozi commerciali. Vediamo come funziona e se anche in Italia c’è la possibilità che i resi diventino a pagamento.

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Come funziona il recesso online
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Ad oggi è sempre più frequente acquistare prodotti online con la consapevolezza di poterli restituire senza costi aggiuntivi, esercitando il diritto di recesso.

Da diversi giorni però, si è diffusa la notizia che diversi e-commerce stiano introducendo, all’estero, una commissione per effettuare i resi fino ad ora gratuiti.

Vediamo come si esercita in concreto il diritto di recesso e se anche in Italia verrà aggiunto un supplemento per la restituzione del prodotto.

Cos’è il diritto di recesso

Il diritto di recesso è quel diritto che permette a tutti i consumatori di restituire un bene acquistato e ottenere, di conseguenza, il rimborso del prezzo pagato. Per questa ragione è anche definito “diritto di ripensamento”.

Questo “ripensamento” però, non vale per ogni tipo di acquisto effettuato.

Ai sensi dell’art. 52 del Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005) il diritto di recesso può essere esercitato solo per gli acquisti

  • a distanza: ossia quelli compiuti online, tramite gli e-commerce;
  • effettuati al di fuori dei negozi fisici: intendendosi i contratti conclusi presso la propria abitazione con operatori “porta a porta”, come ad esempio i contratti di luce e gas.

Il consumatore potrà esercitare il diritto di recesso anche nel caso in cui abbia acquistato un determinato articolo online, per poi ritirarlo presso il relativo negozio fisico.

Non potrà invece esercitare tale diritto qualora la merce sia stata acquistata direttamente in un negozio fisico, a meno che il venditore non preveda espressamente questa opzione.

Eccezioni al diritto di recesso

Come disposto dall’art. 59 del Codice del consumo, vi è un lungo elenco di beni che non è possibile restituire, considerate le loro caratteristiche e/o finalità di utilizzo.

Un esempio è costituito:

  • dai beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati;
  • dai beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente;
  • o ancora, dai beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici.

Tempi di restituzione

La restituzione degli articoli deve avvenire entro termini ben precisi.

Ex art. 52 del Codice del consumo, il diritto di recesso per  i contratti conclusi a distanza deve essere esercitato entro i 14 giorni successivi:

  • alla consegna dei beni, se la merce acquistata è costituita da beni materiali, come vestiti o oggettistica;
  • alla stipula del contratto, quando si tratta di servizi.

Invece, nel caso in cui sia stato stipulato un contratto presso la propria abitazione, a seguito della visita non concordata di un professionista, il termine per esercitare il diritto di recesso sarà prolungato a 30 giorni. 

Obblighi del venditore

Il venditore nel rispetto del Codice del Consumo,  ha l’obbligo di fornire sul sito tutte le informazioni necessarie per poter esercitare il recesso.

Qualora vengano omesse, i termini per esercitare il recesso aumentano passando da 14 giorni a 1 anno e 14 giorni.

Come si esercita il diritto di recesso?

Il consumatore che intenda esercitare il recesso, dovrà comunicare tale intenzione al venditore entro i 14 o 30 giorni, a seconda che si tratti di beni materiali, servizi o contratti stipulati presso la propria abitazione.

Se si è trattato di beni, dovranno quindi essere restituiti entro 14 giorni dalla comunicazione del recesso.

Piattaforme come Amazon mettono a disposizione un apposito modulo ma, in alternativa, il consumatore può comunicare la propria decisione tramite raccomandata.

Quando vengono rispettate tutte le tempistiche, non è necessario fornire giustificazioni in merito alla scelta di restituire la merce e l’e-commerce (o il professionista) sarà obbligato a rimborsare la somma pagata.

Le spese di restituzione dei beni chi le paga?

Come disposto dall’art. 57 del Codice del consumo, le spese di restituzione dei beni sono a carico del consumatore, a meno che il professionista non se ne faccia carico espressamente o abbia omesso di informare che tale costo è a carico del cliente:

[…] Il consumatore sostiene solo il costo diretto della restituzione dei beni, purché il professionista non abbia concordato di sostenerlo o abbia omesso di informare il consumatore che tale costo è a carico del consumatore […]”.

Infatti, quando il venditore omette totalmente di informare che questi costi sono a carico del consumatore, questi potrebbe contestare la correttezza dell'informativa, ad esempio perché le condizioni generali di vendita non risultano chiare sul punto e pretendere anche il rimborso delle spese di restituzione dei beni.

Si fa però sempre riferimento a spese di restituzione con mezzi ordinari, dal momento che sul professionista non può gravare la scelta di un mezzo più oneroso come nel caso di un corriere privato.

Cosa sta cambiando all’estero

Da diversi giorni si è diffusa la notizia che più della metà degli e-commerce nel Regno Unito, tra cui Zara, hanno aggiunto una commissione per la restituzione dei prodotti.

Quindi, oltre alle spese di restituzione, gli acquirenti di questi Paesi stanno pagando un supplemento ulteriore per il reso.

La ragione alla base di questa scelta risiede nel voler scoraggiare la sindrome del “reso seriale”.

Ormai, infatti, moltissimi consumatori effettuano i propri acquisti spinti dalla prospettiva di poter restituire facilmente e a costo zero gli articoli, comprando così più del necessario.

La dinamica più comune consiste nell’acquistare lo stesso capo d’abbigliamento ma in taglie diverse, così da poter provare e tenere l’opzione migliore e restituire le altre.

Moltiplicando questo ragionamento per le 2,14 miliardi di persone che, secondo le statistiche, avrebbero fatto acquisti online nel 2021, si ottengono costi economici e logistici altissimi per le aziende, nonché enorme impatto per l’ambiente a causa delle emissioni prodotte dai trasporti.

Per ora in Italia non c’è alcuna decisione ufficiale ma non possiamo escludere che questi interventi, prima o poi, arriveranno anche nel nostro Paese.

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