Il regime detentivo speciale disciplinato dall’articolo 41 bis della Legge sull’ordinamento penitenziario rappresenta la forma più rigorosa e severa di detenzione prevista dal nostro ordinamento, tanto da essere definito “Carcere duro”.
Il regime 41 bis è riservato ai colpevoli dei reati di criminalità organizzata e intende reprimere gli ulteriori collegamenti che i membri delle associazioni mafiose potrebbero continuare ad intrattenere con l’esterno, nonostante la condanna detentiva.
Stando al XIX Rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione, frutto dei dati raccolti dal Senato della Repubblica, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, i detenuti attualmente sottoposti al regime del carcere duro sono 740.
“Rispetto alle fasce d’età, visto il ruolo ricoperto dalle persone soggette al 41-bis all’interno delle organizzazioni criminali e le pene lunghe a cui sono condannati, è chiaro come la maggioranza dei detenuti abbiano fra i 50 e i 69 anni” è quanto si apprende dal Rapporto.
Le persone detenute al 41 bis per fasce d’età contano 1 condannato sotto i 30 anni; 50 detenuti tra i 30-39 anni; 150 sarebbero quelli tra i 40-49 anni; 218 detenuti invece tra i 50-59 anni; 234 condannati tra i 60-69 anni e infine 87 sono i detenuti sopra i 70 anni.
L’applicazione del carcere duro rappresenta uno dei capisaldi dello Stato nella lotta alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle associazioni terroristiche, innanzi alle quali le esigenze di politica criminale e la repressione del fenomeno mafioso non possono arretrare.
Cos'è e cosa prevede il regime del 41 bis
Il carcere duro è il regime detentivo speciale disposto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario e ha lo scopo di inasprire il trattamento sanzionatorio di cui sono destinatari i soggetti che, legati a cosche mafiose e di criminalità organizzata in genere, sono di particolare pericolosità sociale.
Disporre la detenzione speciale ai sensi del 41 bis significa riconoscere l’inadeguatezza della normale detenzione per gli affiliati e i capi clan.
Originariamente, il testo dell’articolo comprendeva un unico comma ma che, all’indomani delle stragi di Capaci e Via D’Amelio in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fu arricchito e nel tempo aggiornato per affermare il potere sanzionatorio dello Stato ricorrendo ad uno strumento estremamente rigoroso.
Qual è l’obiettivo del carcere duro?
La disciplina del 41 bis impone l’interruzione dei collegamenti tra i condannati detenuti negli Istituti Penitenziari e le associazioni criminali e terroristiche di affiliazione, grazie all’adozione di particolari misure di sicurezza interna ed esterna che possano assicurare l’assoluta impossibilità di comunicazione tra i detenuti in carcere e tra coloro che sono sul territorio.
Le fonti normative in tema di 41 bis
Il 41 bis, ovvero il regime detentivo speciale detto anche “carcere duro”, è stato istituito per la prima volta dalla Legge 26 luglio 1975, n. 354, Legge sull’ordinamento penitenziario.
Nel corso del tempo e con l’intento di rispondere ai cambiamenti sociali, così come alle mutate esigenze di politica criminale, la Legge è stata aggiornata a più riprese.
Più di recente le modificazioni all’ordinamento penitenziario sono state apportate dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, così come dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162 e convertito, con ulteriori aggiornamenti, dalla Legge 30 dicembre 2022, n. 199 e anche dal Decreto Legge 10 marzo 2023, n. 20, convertito poi con modificazioni dalla Legge 5 maggio 2023, n. 50.
Tra le fonti normative assume una particolare importanza anche la Circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, 2 ottobre 2017, n. 3676/6126 e intitolata “Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41 bis O.P.” e che ha dotato le case circondariali di un documento unico al quale fare riferimento nelle sezioni detentive che applicano il regime differenziato.
Infine, la Legge 15 luglio 2009, n. 94 attiene ai limiti temporali del provvedimento e alle regole da rispettare durante i colloqui tra detenuti e parenti.
A chi si applica il 41 bis
Il carcere duro richiamato dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario indica i delitti per il quale trova applicazione il regime, ovvero:
- i reati commessi con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza (ex art. 270 bis c.p.);
- il reato di associazione di tipo mafioso anche straniere (ex art. 416 bis c.p.);
- i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dalle associazioni mafiose e per agevolarne le attività (come previsto dalla Legge 12 luglio 1991, n. 203);
- il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (ex art. 600 c.p.);
- il reato di prostituzione minorile (ex art. 600 bis c.p.);
- il delitto di pornografia minorile (ex art. 600 ter c.p.);
- il reato di tratta di persone (ex art. 601 c.p.);
- i delitti di acquisto e alienazione di schiavi (ex art. 602 c.p.);
- il reato di violenza sessuale di gruppo (ex art. 609 octies c.p.);
- il delitto di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione (ex art. 630 c.p.);
- il reato di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri ( ex art. 291 quater del Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43);
- il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (ex art. 74 del Testo Unico stupefacenti).
Chi dispone il regime del 41 bis
Il potere di decidere chi debba essere destinatario del 41 bis è di competenza esclusiva del Ministro della Giustizia. Questi è l’unico chiamato a emettere, prorogare e, ove necessario, revocare il carcere duro.
Sebbene il Ministro decida il carcere duro esercitando il proprio potere discrezionalmente, ciò non significa che lo faccia in maniera autoritativa, ma anzi il provvedimento sarà emesso valutando gli elementi di indagine raccolti dal Pubblico Ministero, dalla Direzione Nazionale Antimafia e dalle Forze di polizia chiamate a intervenire.
Quanto dura il 41 bis
Il regime sanzionatorio speciale del 41 bis, stando a quanto descritto dalla Legge sull’ordinamento penitenziario, dura 4 anni.
La durata può essere tuttavia prorogata per altri 2 anni, nel caso in cui sia comprovata l’influenza che il detenuto riesca a esercitare sulla cosca mafiosa o terroristica all’esterno del carcere.
Ricordiamo che lo scopo del carcere duro è quello di impedire qualsivoglia tipo di contatto sia all’interno che all’esterno della Casa Circondariale da parte del soggetto internato, evitando quindi coordinamenti criminali, organizzazioni e comunicazioni con i clan di appartenenza e con affiliati fedeli.
Requisiti soggettivi e presupposti oggettivi
Il Ministro della Giustizia è tenuto a valutare alcuni elementi nel momento di emanazione del provvedimento del 41 bis, così come nello scegliere di dover prorogare la misura o, al contrario, revocarla.
La legge parla di presupposti oggettivi e requisiti oggettivi, con riguardo agli elementi che connotano il reato e il suo autore di pericolosità sociale e necessità di repressione criminale.
E’ presupposto oggettivo per l’applicazione del 41 bis l’aver commesso uno dei reati di matrice mafiosa, di sovversione dell’ordine pubblico, di traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, di tratta di schiavi, di riduzione in schiavitù, di pedopornografia, di violenza sessuale di gruppo e altri,
E’ invece requisito soggettivo del carcere duro la sussistenza perdurante di “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”, cioè il detenuto che non abbia interrotto le comunicazioni e le influenze subite o ingenerate con la criminalità, dimostra di non star rispondendo al percorso di rieducazione e reinserimento nella società che è principio cardine dell’ordinamento.
Modalità di applicazione del carcere duro
Il Ministro della Giustizia provvede a disporre il regime sanzionatorio speciale emettendo un decreto motivato.
Il decreto motivato altro non è che un provvedimento che spiega:
- le ragioni di pericolosità sociale;
- l’obiettivo di stabilire l’ordine e la sicurezza nella casa circondariale di detenzione;
- il tempo di applicazione della misura;
- la sospensione totale o parziale delle condizioni di normale detenzione cui altrimenti il condannato sarebbe rimesso.
Limitazioni imposte ai detenuti
Il 41 bis differisce dal normale regime di detenzione per la rigorosità e la severità delle misure applicate ai detenuti.
Le limitazioni previste per i detenuti al carcere duro sono:
- sistema di controllo e videosorveglianza H 24 da parte di un comparto speciale di polizia penitenziaria;
- isolamento diurno e notturno dagli altri detenuti;
- divieto di accesso e permanenza negli spazi comuni dell’istituto penitenziario;
- la concessione dell’ora d’aria è di solo 2 ore e in isolamento;
- i colloqui con i familiari sono concessi solo per alcuni tipi di reato, comunque con il divieto di contatto fisico e per non più di un’ora al mese;
- controllo della corrispondenza inviata o ricevuta;
- le somme di denaro, i beni e gli oggetti in possesso o ricevuti dal detenuto sono fortemente limitati;
- esclusione dai movimenti di rappresentanza dei detenuti e internati.
In presenza di situazioni assolutamente necessarie, come per esempio gravi condizioni mediche documentate, il detenuto può ottenere la sospensione di alcune tra le limitazioni imposte o dell'intero regime detentivo del 41 bis.
Critiche e problemi di legittimità del 41 bis
L’imposizione del regime di detenzione speciale di cui all’art. 41 bis O.P., ovvero il cd. carcere duro, sin dai suoi albori nell’ordinamento giuridico italiano ha suscitato critiche internazionali e problemi di legittimità costituzionale.
Nel tempo, infatti, in tema di 41 bis si sono pronunciate la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale che hanno denunciato il carcere duro come un trattamento sanzionatorio eccessivamente severo, addirittura assimilabile a una forma di tortura per il detenuto.
Del resto, proprio la Corte EDU ha condannato frequentemente l’Italia per l’applicazione del carcere duro, ritenendolo un trattamento disumano e degradante che violerebbe i diritti umani, così come tutelato dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (per esempio, Provenzano c. Italia, application no. 55080:13)
Tra le condanne ricevute dall’Unione Europea, si ricordano anche le molteplici pronunce della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo e secondo cui l’Italia avrebbe violato l’articolo 13 della Convenzione, ovvero il diritto a un rimedio effettivo (tra cui, Enea c. Italia, application no. 74912/01).
Anche le Nazioni Unite e Amnesty International hanno criticato duramente le scelte italiane in tema di 41 bis, ritenendo il regime sanzionatorio crudele e spietato.
Circa i profili di costituzionalità, è indiscusso il dibattito creato dalla comunità giuridica italiana che ha richiamato il necessario obiettivo di rieducazione e di reinserimento nella società voluto dallo Stato. Tale scopo, secondo una parte della dottrina, sembrerebbe violato dall’applicazione del 41 bis.
Nonostante le critiche collezionate nel corso del tempo, la Corte Costituzionale afferma la legittimità della misura detentiva speciale.