La Corte di Cassazione con sentenza n. 11085/2024 si è pronunciata in ambito di reati contro la Pubblica Amministrazione.
Secondo la pronuncia, infatti, il medico di guardia che rifiuti la visita a casa quando la richiesta di soccorso presenti sintomi gravi commette il reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.).
Il fatto
Il medico di guardia Tizio rifiutava di eseguire una visita domiciliare per il paziente Mevio, il quale lamentava gravi condizioni di salute (tra cui forte bruciore allo sterno accompagnato da irradiazione di dolore sulle braccia e sulle dita delle mani), limitandosi a diagnosticare telefonicamente una gastroenterite pur tuttavia, successivamente, risultando essere un infarto che cagionava il decesso del paziente.
Il Tribunale in primo grado assolveva Tizio per il reato di omicidio colposo ma lo condannava per il diverso reato di omissioni in atti di ufficio, di cui all’art. 328 del codice penale.
La Corte d’Appello confermava tale condanna.
Avverso la sentenza di secondo grado, il medico di guardia Tizio presentava ricorso lamentando:
- l'insussistenza del reato di cui all’art. 328 c.p., per mancanza dell’elemento de “l’indebito rifiuto”. Secondo Tizio, infatti, la scelta del medico di provvedere o meno alla visita domiciliare è un atto discrezionale, la cui valutazione dipende dalla sintomatologia sofferta dal paziente (ex art. 13 DPR 41/1991). Alla stregua di ciò, la perizia aveva escluso la necessità di recarsi presso il paziente Mevio dal momento che i sintomi non risultavano né di natura infartuale, nè necessario l’intervento dell’ambulanza, né un incontrovertibile quadro clinico grave;
- l'insussistenza del dolo di cui al reato di omissione di atti d’ufficio, secondo cui il medico di guardia non era consapevole delle reali condizioni del paziente e quindi non si era rappresentata una situazione che imponesse il dovere di attivarsi, dimostrato anche dal non aver contattato l’ambulanza.
La decisione
La Corte di Cassazione, sezione 6, penale con sentenza n. 11085 del 15 marzo 2024, investita della questione provvedeva a trattare, tra gli altri, i motivi riguardanti l’elemento oggettivo e soggettivo del reato in via congiunta.
Secondo gli Ermellini, il medico in servizio di guardia deve rimanere a disposizione “per effettuare gli interventi a livello territoriale che gli saranno richiesti” e durnte il turno “è tenuto a effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dagli utenti”, come peraltro sancito proprio dall’art. 13 del DPR 41/1991 richiamato dalla difesa.
Appare evidente che, così come richiamato dalla norma citata, la necessità e l’urgenza di compiere la visita a casa del pazienti spetti sì alla valutazione discrezionale del sanitario, considerando la sintomatologia riferita dal paziente e suffragata dalla propria esperienza, pur tuttavia permanendo la necessità di valutare il contesto specifico.
Il medico di guardia ben avrebbe potuto comprendere concretamente la patologia del paziente già solo rilevando i parametri obiettivi, quali pressione arteriosa; frequenza e ritmo cardiaco; cianosi.
Ai fini della valutazione del dolo generico del reato, non basta la semplice negligenza ma è sufficiente che l’interessato si renda consapevole del fatto che la propria condotta omissiva violi gli obblighi imposti dalla legge.
La Suprema Corte di Cassazione condanna in via definitiva il medico di guardia ritenendo che il sanitario sia tenuto a sincerarsi dell’eventuale situazione di pericolo lamentata dal paziente e a non rinviare l’esame clinico, a patto che non sussistano in maniera concomitante altre richieste di intervento urgente.
Il consapevole rifiuto del medico all’intervento tempestivo necessario a tutelare la salute dei pazienti configura il reato di omissione di atti d’ufficio, di cui all’art. 328 c.p.