Minacciare ad altri un danno ingiusto è reato e la pena è quella della multa fino a 1.032 euro mentre, se la minaccia è grave, si può essere condannati alla reclusione fino a un anno. Il delitto di minaccia è volto a tutelare la libertà morale della persona offesa, la quale subisce un turbamento psichico conseguente alla condotta dell’agente.
Nonostante il reato di ingiuria sia stato oggetto di depenalizzazione, la minaccia è ancora un reato per il Codice penale. La Corte costituzionale si è espressa in tal senso, rigettando la questione di costituzionalità sollevata per una supposta violazione del principio di uguaglianza, riferita alla mancata depenalizzazione del reato di minaccia.
La questione era stata sollevata poiché si riteneva che situazioni analoghe avessero ricevuto una disparità di trattamento da parte del legislatore.
La scelta di differenziare i due reati, per la Corte costituzionale, è ascrivibile al legislatore della legge delega, le cui valutazioni di natura politica rientrano nell' uso del potere discrezionale del Parlamento.
Cos’è e quando si configura il reato di minaccia
Il reato di minaccia si estrinseca in una intimidazione che taluno rivolge alla persona offesa, provocandole un turbamento di tipo psichico. La minaccia può essere attuata in qualsivoglia forma, poiché trattasi di reato a forma libera, ma deve essere riferita a un danno ingiusto.
Art. 612 cp
L’art. 612 del Codice penale così dispone:
“Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032 .
Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno .
Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità”.
Al primo comma si fa riferimento all’ipotesi di minaccia non grava, che viene punita solo con la multa fino a 1.032 euro e non con la reclusione.
Al secondo comma, invece, si fa riferimento all’ipotesi della minaccia grave o della minaccia attuata secondo una delle modalità previste dall’art. 339 del Codice penale, che fa riferimento, in sostanza, alla minaccia commessa durante manifestazioni pubbliche, con l’utilizzo di armi o corpi contundenti.
Il terzo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 e, successivamente modificato dall'art. 2, comma 1, lett. f), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Vengono previsti espressamente casi in cui la procedibilità è d’ufficio, ovvero quando, ad esempio, la minaccia è grave, quando ricorrono talune circostanze aggravanti ovvero quando la persona offesa è incapace.
L’elemento oggettivo
L’elemento oggettivo è rappresentato dalla minaccia di un danno ingiusto.
Va dunque verificata in concreto la condotta dell’agente, ovvero l’idoneità della stessa a incutere un turbamento psichico nella persona offesa.
Interessante valutare la casistica, per chiarire le modalità in cui può estrinsecarsi la condotta dell’agente.
La Corte di Cassazione, sez. V, con sentenza del 13 gennaio 2017, n. 1690 ha stabilito, ad esempio, che: “nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente”.
Non è dunque necessario che il turbamento psichico si verifichi, ma va valutata l’idoneità della condotta dell’agente a incutere un certo timore nella persona offesa.
Con particolare riferimento alle alle aggravanti, ad esempio, la Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza 8 maggio 2023 n. 19374 ha stabilito che: “Nel delitto di minaccia, per la configurabilità dell'aggravante delle "più persone riunite" è sufficiente che il soggetto passivo percepisca la simultanea presenza, sia pure ideale, di più persone. (Fattispecie in cui l'intimidazione, consistita nel posizionamento in luogo pubblico di un ordigno esplosivo non attivato, è stata percepita come proveniente da più persone aventi la medesima matrice ideologica essendosi appreso, da notizie di cronaca, che in quegli stessi giorni il medesimo gruppo aveva commesso analoghi fatti in altre città italiane)”.
Quanto all’uso di modalità simbolica la Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza 8 maggio 2023, n. 19374 ha invece chiarito che: “Il delitto di minaccia è aggravato dall'uso di modalità simbolica quando si estrinsechi attraverso immagini, segni, oggetti o azioni che abbiano insiti in sé non solo la capacità di evocare ciò che si è inteso minacciare, ma anche un "surplus" intimidatorio derivante proprio dalla modalità simbolica utilizzata. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione del Giudice distrettuale di considerare aggravata la minaccia realizzata attraverso il posizionamento, davanti a un ufficio delle Poste Italiane, che aderiva a una campagna contro l'immigrazione clandestina, contrastata da gruppi dissidenti, di un ordigno esplosivo, volutamente non attivato, ma idoneo a evocare scenari di distruzione e morte)”.
L’elemento soggettivo
L’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico. E’ cioè sufficiente la consapevolezza e volontà della condotta dell’agente, non è necessario che la stessa sia rivolta a un determinato scopo. In questo il delitto di minaccia si distingue, ad esempio, dal delitto di cui all’art. 611 c.p. ovvero “Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato”. In tale ultima ipotesi, invero, si tratta di reato a dolo specifico.
Quando si consuma il reato
Il reato si consuma quando la minaccia è percepita dalla persona offesa.
Minaccia grave: gli esempi
La Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza del 13 gennaio 2017, n. 1690, ha chiarito che “ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave, ex articolo 612 c.p., comma 2, rileva l'entità del turbamento psichico che l'atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo, mentre che sia necessario che la minaccia sia circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti (attivo e passivo) del reato”.
Per stabilire se la minaccia è grave va dunque fatta una valutazione caso per caso, tenendo in considerazione sia l’entità del turbamento psichico provocato, sia guardando ai soggetti coinvolti.
La stessa tipologia di minaccia, infatti, potrà essere considerata non grave se proveniente, ad esempio, da un uomo qualunque in un momento di rabbia, mentre potrà essere valutata come grave se proveniente da un soggetto appartenente a un’organizzazione criminale.
L’espressione “Vi sistemo io, ve la farò pagare” rivolta a un uomo e a suo figlio è stata infatti considerata dalla Cassazione quale minaccia non grave (Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza del 13 gennaio 2017, n. 1690).
Se la stessa frase fosse stata pronunciata in un contesto diverso, da un appartenente a un’organizzazione criminale, ad esempio, le valutazioni della Cassazione avrebbero potuto essere diverse.
Quando la minaccia non è reato?
La minaccia è reato se sussistono i requisiti di tipo soggettivo e oggettivo indicati dal Codice penale. Il reato è escluso quando, ad esempio, le parole pronunciate da un soggetto hanno un tono poco credibile e non sono intrinsecamente idonee a ingenerare in alcuno un turbamento.
Minacciare dopo una provocazione è reato?
Minacciare dopo una provocazione è reato.
Non è possibile reagire a una provocazione con una minaccia.
Sul punto si è espressa la Corte di cassazione con sentenza del 17 dicembre 2019, n. 50946 con la quale ha stabilito l’infondatezza della prospettazione effettuata da parte ricorrente, concernente l’asserita carenza di offensività delle espressioni minacciose, in considerazione del contesto litigioso e della provocazione della persona offesa.
Ha infatti chiarito la Cassazione che: “ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 612 cod. pen., che costituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicché non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie”.
Il reato di minaccia può essere depenalizzato?
Il reato di minaccia potrebbe essere depenalizzato qualora il legislatore decidesse di operare in tal senso.
Sul punto, va riportata la sentenza della Corte costituzionale del 26 maggio 2017, n. 127.
Il giudice rimettente sosteneva la possibile violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) poiché, considerata l'abrogazione del solo reato di ingiuria, due situazioni omogenee avrebbero ricevuto un trattamento diseguale senza alcuna giustificazione.
Per la Corte la violazione non sussiste.
Questo poiché: “L'art. 1 del d.lgs. n. 7 del 2016 – oggetto delle censure del giudice rimettente – contempla si', all'art. 1, comma 1, l'elenco dei reati previsti dal codice penale che sono abrogati, tra cui il reato di ingiuria e non anche quello di minaccia non grave. Ma cio' fa in corretta attuazione della delega recata dall'art. 2, comma 3, lettera a), della legge n. 67 del 2014; delega che appunto contiene, in particolare, il catalogo dei reati previsti dal codice penale dei quali il legislatore delegante ha stabilito l'abrogazione, tra cui il reato di ingiuria, ma non anche quello di minaccia non grave”.
Quindi, secondo la Corte, “il trattamento differenziato tra questi due reati e' nella legge di delega e non gia' nella censurata disposizione del decreto legislativo. La scelta di differenziare i due reati (abrogando il primo e lasciando la qualificazione penale quanto al secondo), scelta che il tribunale rimettente ritiene contraria al principio di eguaglianza e di ragionevolezza, sarebbe ascrivibile al legislatore della legge delega – le cui valutazioni di natura politica rientrano nell'«uso del potere discrezionale del Parlamento» ex art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) – e non gia' al Governo che ha emanato il decreto legislativo”.
Procedibilità e pene
Per il reato di minaccia, la procedibilità è a querela della persona offesa.
Si procede d’ufficio nelle seguenti ipotesi:
- se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o avvalendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte;
- se è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi;
- nel caso in cui sia commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone;se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva; se la persona offesa è incapace, per età o per infermità.
La pena in ipotesi di minaccia non grave è della multa fino a 1.032 euro.
Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339 c.p., la pena è della reclusione fino a un anno .
Prescrizione
Il reato di minaccia si prescrive in sei anni.