Molti dipendenti ritengono che la possibilità di avere i buoni pasto a lavoro sia un benefit apprezzato e non trascurabile.
Per questo motivo, non è raro chiedersi quante ore di lavoro servono per avere diritto al buono pasto?
La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta sul punto, affermando che, ove previsto dalla contrattazione collettiva, il lavoratore ha diritto a ricevere il servizio mensa oppure in sostituzione i buoni pasto se la prestazione di lavoro eccede le 6 ore.
Avere buoni pasto è un diritto?
La Corte d'Appello ha confermato la sentenza del Tribunale di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata da un dipendente turnista dell'ASL, riconoscendo il suo diritto alla corresponsione dei buoni pasto per ogni turno lavorativo superiore alle sei ore a partire dalla data di presentazione della domanda, condannando pertanto l'ASL al risarcimento del danno subito dal dipendente.
La Corte d’Appello ha rilevato che l'articolo 29, comma 2, del CCNL del Comparto Sanità del 2001 doveva essere interpretato in combinato disposto con l'articolo 8 del D.Lgs. n. 66/2003.
Sulla base di tale interpretazione, la Corte ha ritenuto che il diritto alla mensa dovesse essere identificato con il diritto alla pausa, e tale da riconoscersi a tutti i dipendenti che svolgono un orario di lavoro giornaliero superiore a sei ore.
Considerando che i turni del dipendente seguivano le fasce orarie 7:00-13:00, successivamente 13:00-20:00 e infine 20:00-7:00, la Corte ha ritenuto che il diritto alla mensa non potesse essere riconosciuto nei giorni in cui il dipendente svolgeva attività lavorativa antimeridiana (7:00-13:00), poiché tale turno non superava le sei ore. Diversamente, il requisito di un’attività lavorativa eccedente le sei ore risultava soddisfatto negli altri due turni.
La Corte ha inoltre osservato che il dipendente non avrebbe potuto usufruire del servizio mensa istituito dall'ASL, poiché il servizio di assistenza non poteva essere interrotto e mancava un servizio mensa serale. Di conseguenza, ha riconosciuto al dipendente il diritto ai buoni pasto.
In ragione di ciò, i giudici di secondo grado hanno confermato la decisione del Tribunale di primo grado in merito al risarcimento del danno, avendo il dipendente dovuto provvedere a proprie spese al pasto nei giorni in cui aveva effettuato una prestazione lavorativa eccedente le sei ore.
La decisione
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza 31 luglio 2024, n. 21440 ha ritenuto il ricorso infondato, conformemente alla giurisprudenza di legittimità.
Secondo la stessa, infatti, il diritto a fruire dei buoni pasto non ha natura retributiva, quanto invece rappresenta un’erogazione di natura assistenziale nei confronti del dipendente che, connessa quindi al rapporto di lavoro, ha lo scopo di conciliare le esigenze quotidiane con quelle di lavoro.
Per questo motivo, il diritto o meno a percepire i buoni pasto è rimesso alla statuizione di cui al CCNL di riferimento.
Concludono gli ermellini, la consumazione del pasto è agganciata alla pausa di lavoro e avviene nel corso della stessa e, laddove la contrattazione collettiva lo preveda, il diritto alla mensa (o del servizio sostitutivo dello stesso, con l’erogazione del buono pasto) sorge ogniqualvolta il dipendente effettua un orario di lavoro eccedente le sei ore.