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25 Ottobre 2024
15:00

Posso chiedere il risarcimento danni se il coniuge mi ha tradito?

Secondo la legge, il matrimonio riconosce ai coniugi reciproci diritti e doveri, come l'obbligo di fedeltà coniugale. Il tradimento genera conseguenze anche sotto il profilo patrimoniale, ne è un esempio la separazione con addebito.

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Posso chiedere il risarcimento danni se il coniuge mi ha tradito?
Dottoressa in Giurisprudenza
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Il matrimonio riconosce uno status giuridico per il quale i coniugi sono chiamati a reciproci diritti e doveri.

La Costituzione e il Codice Civile non danno una precisa definizione del matrimonio: mentre la prima configura il matrimonio tra i Rapporti etico-sociali (agli artt. 29-31 Cost.), stabilendo innanzitutto “eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”; per il secondo, invece, il matrimonio assume la duplice accezione sia di atto sia di rapporto giuridico.

Per il Codice Civile, infatti, il matrimonio è un atto giuridico poiché manifestazione della volontà dei futuri sposi di contrarre matrimonio innanzi al celebrante che assume le vesti di pubblico ufficiale; ma è anche un rapporto giuridico da cui discendono effetti relazionali e patrimoniali.

Come è risaputo, poi, perché il matrimonio possa essere contratto e quindi sia valido occorre rispettare alcuni requisiti descritti dalla legge, ovvero:

  • essere maggiorenni, ai sensi dell’art. 84 c.c.;
  • non essere interdetti per infermità mentale, ex art. 85 c.c.;
  • la libertà di stato, ovvero non aver già contratto nozze o unione civili, così come all’art. 86 c.c.

La legge però è chiara anche rispetto a quelli che sono i doveri che i coniugi a vicenda sono chiamati a rispettare e a dirlo è il dispositivo dell’articolo 143 del Codice Civile:

Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.

Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.

Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.

Cosa succede se uno dei due coniugi violi questi doveri reciproci?

Che cos’è il dovere di fedeltà

Una volta convolati a nozze, i coniugi sono tenuti a rispettare reciprocamente alcuni doveri, tra cui il dovere di fedeltà che intende tutelare l’onore e la dignità dei due.

Per fedeltà coniugale si intende quell’obbligo necessariamente successivo al matrimonio e che non vale quindi durante il fidanzamento, sebbene possa sembrare scontato non tradire il proprio partner.

L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, oltre a connotarsi di disvalore sociale, rappresenta una violazione particolarmente grave in grado di offendere la dignità e l’onore del coniuge, oltre il fatto che dall’infedeltà possa di discendere l’interruzione della coabitazione, perchè ormai intollerabile la convivenza tra i due.

È intuibile che la fedeltà sia un aspetto fondamentale del matrimonio, tanto in termini di stabilità del rapporto, quanto per il benessere psicologico della coppia.

Il tradimento può avere diverse forme, complice anche la tecnologia e i social network: può parlarsi infatti di un tradimento carnale, vale a dire consumato; un rapporto platonico; ma anche una relazione extraconiugale virtuale.

La Suprema Corte di Cassazione, grazie alla sentenza 16 aprile 2018, n. 9348, è intervenuta ritenendo che sussista la violazione del dovere di fedeltà coniugale anche in presenza di un tradimento in rete.

Ugualmente, la Cassazione con la sentenza 8929 del 2013, ha ritenuto che la fedeltà coniugale fosse violata a prescindere da un effettivo adulterio (ovvero anche in assenza di atti a contenuto sessuale), quindi anche per un’infedeltà platonica e durante la quale il coniuge-traditore abbia manifestato la volontà di un altro legame amoroso e oltre.

Come ottenere l’addebito

L’infedeltà può avere conseguenze a livello giuridico-patrimoniale, portando alla separazione o divorzio con addebito: ovvero addossando la responsabilità della crisi coniugale al coniuge-traditore.

Spieghiamolo meglio.

Il mancato rispetto dell’obbligo di fedeltà è il caso classico da cui discenda una pronuncia di addebito, a patto però che l’infedeltà coniugale sia stata il motivo specifico che abbia portato alla rottura del matrimonio e abbia generato la cessazione di un altro dovere coniugale, cioè il dovere di coabitazione.

Ciò significa che tra la crisi coniugale e il tradimento deve sussistere un vero e proprio nesso causale, ovvero la ragione che abbia interrotto il legame affettivo-sentimentale tipico del matrimonio.

Attraverso un rigoroso accertamento, frutto anche di una valutazione complessiva dei comportamenti dei coniugi, è necessario escludere una preesistente crisi (dovuta anche ad altre circostanze) già in atto e che abbia generato una convivenza solo formale tra i due.

Sia in caso di separazione, sia di divorzio è possibile ottenere l'addebito, ma a condizione che dell’infedeltà sia stata la causa della rottura del matrimonio e non la conseguenza di una crisi matrimoniale già irrimediabilmente in atto.

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Separazione con addebito

Una volta accertata la violazione del dovere di fedeltà coniugale, così come previsto ex art. 143 c.c., il coniuge infedele può essere destinatario di una “sanzione” che avrà effetto con riferimento alla separazione. È il caso dell’addebito.

È possibile ottenere l’addebito esclusivamente per la separazione  giudiziale, mai in quella consensuale dove non potrà essere né richiesto né tantomeno dichiarato.

La separazione giudiziale è disciplinata dall’articolo 151 del Codice Civile, ovvero quel procedimento che sospende i reciproci doveri coniugali in attesa della successiva pronuncia di divorzio.

La norma dispone che:

La separazione può essere chiesta quando  si  verificano,  anche indipendentemente dalla volontà di uno  o  di  entrambi  i  coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della  convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. 

Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le  circostanze  e  ne  sia  richiesto,  a  quale  dei  coniugi  sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo  comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.

Per pronunciare l’addebito, quindi, il giudice dovrà valutare attentamente le circostanze e i comportamenti dei coniugi, tali da escludere una conflittualità preesistente e invece identificare l’infedeltà come ragione esclusiva generante la crisi coniugale.

Può ottenersi la dichiarazione di addebito ogni qualvolta in cui il coniuge abbia violato i doveri coniugali: assistenza morale e materiale; collaborazione negli interessi della famiglia; coabitazione; sostegno alla famiglia in proporzione alle proprie possibilità.

Con la separazione non viene a verificarsi lo scioglimento del vincolo matrimoniale, i coniugi non potranno quindi convolare a nuove nozze ma per farlo dovranno ottenere il divorzio.

Divorzio

La pronuncia di divorzio rappresenta una conseguenza alla pre-instaurata separazione e, a tutti gli effetti, scioglie il vincolo matrimoniale.

L’addebito può essere richiesto esclusivamente in sede di separazione giudiziale e quindi parlare di “divorzio con addebito” è un’espressione impropria.

Il divorzio mette fine al matrimonio e fa cessare ogni effetto, sia patrimoniale che giuridico.

Quali possono essere le conseguenze legali

La dichiarazione di addebito emessa dal giudice comporta delle conseguenze sia sul piano giuridico sia sul piano patrimoniali degli ormai ex-coniugi.

Le conseguenze interessano gli aspetti processuali, come il diritto al mantenimento e i diritti successori.

La liquidazione delle spese processuali

La parte soccombente, ovvero il coniuge su cui graverà l’addebito, sarà tenuto anche a corrispondere le spese processuali che saranno a suo carico.

La separazione giudiziale del resto ha natura di contenzioso civile e, in quanto tale, è un processo regolato dall’articolo 91 del Codice di Procedura Civile.

La norma prevede infatti che colui il quale soccomba in giudizio dovrà provvedere alle spese processuali della controparte.

Perdita del diritto al mantenimento

Il coniuge su cui graverà l’addebito pronunciato dal giudice non è riconosciuto il diritto al percepimento del mantenimento da parte dell’altro.

A questi infatti spetterà unicamente il “diritto agli alimenti”, di natura economica inferiore e solo in virtù di una necessità comprovata di sostentamento quotidiano.

Perdita dei diritti successori

Tra le conseguenze discendenti dall’addebito, c’è anche la perdita dei diritti successori del coniuge superstite.

L’articolo 548, comma 2, del Codice Civile, rubricato come “Riserva a favore del coniuge separato”, dispone che:

"Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell'apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L'assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi”.

Cosa significa? Che deceduto il coniuge-tradito, il traditore a cui è spettato l’addebito perderà i diritti successori riconosciutigli precedentemente e come effetto del matrimonio.

Inoltre, una volta aperta la successione, se al coniuge superstite (ovvero il traditore) spettavano gli alimenti, a partire da questo momento percepirà un assegno vitalizio il cui ammontare verrà parametrato in virtù del numero di legittimari e all’eredità.

Questo assegno non ha nulla a che vedere con un effettivo stato di bisogno, come per gli alimenti, ma è dovuto al coniuge superstite a prescindere.

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Dopo la laurea presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Sicurezza economica, Geopolitica e Intelligence presso SIOI - UN ITALY e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea presso il mio ateneo di origine. Ho concluso la pratica forese in ambito penale, occupandomi di reati finanziari e doganali. Nel corso degli anni ho preso parte attivamente a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Ho scritto di cybersicurezza, minacce informatiche e sicurezza internazionale per "Agenda Digitale" e "Cyber Security 360". Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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