La Corte costituzionale, con sentenza n. 48 del 25 marzo 2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze in relazione all’art. 529 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un’ipotesi di non procedibilità riguardo all’omicidio colposo del prossimo congiunto.
La questione all’attenzione del Tribunale di Firenze riguardava il caso di un omicidio colposo commesso in violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
L’imputato di omicidio è lo zio per la morte del nipote suo dipendente.
Il Tribunale di Firenze aveva denunciato la violazione dei principi costituzionali di necessità, proporzionalità e umanità della pena, in quanto la norma censurata non prevede la possibilità che il giudice possa emettere sentenza di non doversi procedere quando l’autore del reato abbia sofferto, per la morte del familiare da lui stesso causata.
Tale sofferenza, secondo il Tribunale, costituirebbe già di per sé una pena naturale e ogni ulteriore sanzione sarebbe inutile.
L’istituto della pena naturale è noto in alcuni ordinamenti europei, ,ma non appartiene alla tradizione normativa italiana.
Per la Corte, l’introduzione di tale istituto nel nostro ordinamento non è obbligata.
Vediamo, in dettaglio, cosa ha stabilito la Corte costituzionale.
I fatti di causa
Con ordinanza del 20 febbraio 2023, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 529 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 13 e 27, terzo comma, della Costituzione, “nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso”.
Per il Tribunale di Firenze “l’imputato, per effetto della propria condotta e più precisamente in relazione alla morte del nipote che egli stesso ha contribuito a cagionare, ha certamente già patito una sofferenza morale proporzionata alla gravità del reato commesso, con la conseguenza che un’ulteriore pena inflitta con la sentenza di condanna risulterebbe sproporzionata”.
La sentenza della Corte costituzionale
Per la Corte costituzionale, nel merito, le questioni non sono fondate.
La Consulta ha ricordato che la nozione di “pena naturale”, è un “sintagma che rimanda al potere giudiziale – configurato in alcuni ordinamenti europei – di non irrogare la pena, o di irrogarla in misura attenuata, quando l’autore del reato abbia patito un danno significativo in conseguenza del reato stesso (paragrafo 60 del codice penale tedesco, paragrafo 34 del codice penale austriaco, articolo 29 del codice penale svedese)".
L’ordinanza di rimessione, tuttavia, ha stabilito la Corte espone “un petitum talmente ampio da risultare incompatibile con la tesi della sussistenza di un corrispondente vincolo costituzionale, e questa valutazione trova conferma nelle caratteristiche peculiari della fattispecie oggetto del giudizio principale”.
In primo luogo,il riferimento ai “procedimenti relativi a reati colposi”, è troppo ampio: “L’indicazione della natura colposa del reato è sufficiente a escludere l’omicidio preterintenzionale (art. 584 cod. pen.) e la morte come conseguenza non voluta di un delitto doloso (art. 586 cod. pen.), ma, attesa la sua portata generale, non vale a distinguere in alcun modo all’interno della nozione di colpa, che pure ha carattere ontologicamente multiforme”.
La nozione penalistica di «prossimo congiunto» è inoltre troppo ampia poiché “si estende ben oltre la famiglia nucleare, fino a includere rapporti di parentela in linea collaterale di grado inferiore al secondo (come quello di specie, tra zio e nipote), e persino vincoli di affinità (tranne che sia morto il coniuge e non vi sia prole, come precisa lo stesso art. 307, quarto comma)”.
Per la Corte, “Non ha riscontri nei termini di un vincolo costituzionale la tesi che intende coprire questo esteso spettro di relazioni personali con una causa di improcedibilità fondata sul dolore patito dal reo per la morte del familiare colposamente determinata”.
In sostanza, per la Consulta, “non vi sono ragioni costituzionali in base alle quali la pena naturale da omicidio colposo del prossimo congiunto debba integrare una causa di non procedibilità, anziché, in thesi, un’esimente di carattere sostanziale, ovvero ancora una circostanza attenuante soggettiva”.