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20 Dicembre 2023
9:00

Negli ultimi trent’anni gli stipendi in Italia sono cresciuti solo dell’1%

Il Rapporto Inapp 2023 fa luce sulle delicate fratture nel sistema del mercato del lavoro: bassa produttività, dimissioni volontarie e disorientamento verso il mondo del lavoro. Tra i dati preoccupanti anche il livello di crescita dei salari italiani soltanto dell'1% in trent'anni.

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Negli ultimi trent’anni gli stipendi in Italia sono cresciuti solo dell’1%
Dottoressa in Giurisprudenza
Negli ultimi trent'anni gli stipendi in Italia sono cresciuti solo dell'1%

Il recente Rapporto dell'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche 2023, ha fornito una fotografia del mercato del lavoro e dei suoi cambiamenti nel nostro Paese e non solo.

Nonostante le nuove misure varate dal Governo, è ancora presto per saggiarne i risultati ma è un dato di fatto che produttività e inflazione rappresentano delle delicate fratture nel sistema del mercato del lavoro, al quale già si sovrappongono le tematiche circa i dati occupazionali e di salario, formazione, gender gap e inclusività.

Si tratta di un'attività di ricerca capace di orientare gli obiettivi dei cd. decision makers che quotidianamente sono chiamati a scontrarsi con alcune criticità.

Tra gli elementi emersi degni di nota c'è sicuramente il confronto dei salari reali italiani che, negli ultimi 30 anni, sono cresciuti soltanto dell'1%, a differenza dell'incremento del 32,5% registrato nei Paesi OCSE.

Vediamo insieme i dati dell'attività di ricerca dell'INAPP per l'anno 2023.

Le criticità del mercato del lavoro

La ricerca condotta dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), ovvero un ente di ricerca che si occupa di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche sociali che hanno effetti sul mercato del lavoro, pubblicata recentemente ha illuminato le evidenti criticità presenti nella condizione di "occupato".

Si tratta di una messa a fuoco degli scenari evolutivi che, in un contesto macroeconomico post pandemia da Covid-19, sono colpiti da incertezze, processi inflazionistici, complessità geopolitiche e crisi energetiche.

"Nonostante la riduzione dei tassi di crescita del PIL, l’andamento dell’occupazione in termini aggregati ha registrato risultati ampiamente positivi. Il saldo positivo di 550 mila occupati dell’ultima rilevazione Istat rispetto al gennaio 2020 e il valore assoluto di 23,694 milioni di occupati totali rappresentano livelli altamente apprezzabili", è quanto riporta la ricerca.

Tuttavia, tra le perplessità restano ancora delle sfide irrisolte da affrontare: prime tra tutte la questione salariale.

Secondo il report, infatti, l'andamento italiano dimostra una caduta della quota dei salari sul PIL, i quali, messi a confronto con gli altri Paesi europei che invece continuano a crescere, risultano addirittura essere in diminuzione rispetto al 2020.

Questa quota configura un modello di crescita profit led ormai stabilizzata su valori rispettivamente del 40% e del 60%.

Nonostante le strategie adottate dal Governo come risposta al processo inflazionistico, la realtà è che queste misure risultano inidonee a garantire le retribuzioni reali dei lavoratori.

L'Italia si trova al primo posto in Europa per la contrattazione collettiva (si tratta di circa il 98% di copertura), ma un simile elemento non è bastevole per adeguarsi alle raccomandazioni della Direttiva europea 2022/2041 in tema di salario minimo.

La spirale dei salari

La "nota dolente" evidenziata dall'INAPP è che, tra il 1991 e il 2022, la crescita dei salari degli italiani sia stata soltanto dell'1%.

Si tratta di un arco temporale di circa 30 anni e che è fortemente influenzata da quella che il Report definisce "una spirale perversa": bassa produttività = bassi salari = bassa produttività.

Un meccanismo ambiguo che lega i salari alla dinamica della produttività, dimostrandosi inefficace alla risoluzione delle problematiche comuni, tra cui:

  • disallineamento tra competenze richieste e realmente possedute dai lavoratori;
  • assenza di candidati;
  • rifiuto delle offerte di lavoro;
  • difficoltà a trattenere i lavoratori nei posti di lavoro.

Tali difficoltà non riguardano soltanto i mestieri tradizionali o i settori dei servizi turistici e della ristorazione, ma anche le professioni autonome.

I lavoratori italiani tra i più insoddisfatti in Europa

La qualità del lavoro nel suo insieme entra tra gli argomenti discussi prima di accettare una proposta di lavoro e, secondo le attività di ricerca dell'INAPP per l'European Social Survey, emerge che lavoratori italiani siano tra i più insoddisfatti del proprio lavoro in Europa.

Nella fascia d'età 18-34 anni soltanto il 51% si dice soddisfatto di aver trovato un lavoro corrispondente alle proprie ambizioni. Tra questi poi il 41% si dice contento della retribuzione e delle prospettive di carriera.

Un simile dato spiega anche la difficoltà per le aziende di trattenere i dipendenti, non riuscendo ad arginare il fenomeno delle dimissioni volontarie.

I numeri del quite quitting in Italia si attesta attorno ai  560 mila lavoratori, ovvero il 3% degli occupati (mentre in passato non si superava il 2,5%).

Questo spiega anche la coincidenza con il fatto che molti profili ricercati dai datori di lavoro si scontano con una significativa difficoltà di reclutamento.

La necessità dei percorsi formativi per il mondo del lavoro

Secondo l'INAPP, su un campione di circa 3.642 giovani d'età 15-29 anni, circa il 57% dichiara di non avere alcuna idea sulle competenze da acquisire e sul futuro lavoro da svolgere.

Un grave problema che testimonia il senso di disorientamento dei giovani circa il futuro che potrebbero avere accedendo al mondo delle lavoro e che, nonostante ciò, restano esclusi dai servizi. Si pensi che il 38% non ha usufruito di alcun tipo di orientamento negli ultimi tre anni.

"Il PNRR destina ingenti risorse al potenziamento dei servizi di orientamento, ma un grande sforzo deve essere fatto perché essi diventino un sistema di accompagnamento lungo tutto il percorso formativo e lavorativo", è quanto si legge dal Rapporto dell'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche 2023.

La consapevolezza e la valorizzazione del proprio talento stimolare lo sviluppo di un comportamento proattivo da parte delle persone in cerca di occupazione.

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Dopo la laurea presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Sicurezza economica, Geopolitica e Intelligence presso SIOI - UN ITALY e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea presso il mio ateneo di origine. Ho concluso la pratica forese in ambito penale, occupandomi di reati finanziari e doganali. Nel corso degli anni ho preso parte attivamente a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Ho scritto di cybersicurezza, minacce informatiche e sicurezza internazionale per "Agenda Digitale" e "Cyber Security 360". Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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