I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento sono previsti nel Codice civile agli artt. 1241 e ss.
Si tratta di ipotesi in cui l’obbligazione viene estinta anche se il debitore non adempie, poiché ricorrono determinate condizioni previste dalla legge.
La morte del debitore, ad esempio, estingue l’obbligazione, se si tratta di obbligazione infungibile, ovvero di prestazione che non può essere che essere effettuata dal debitore stesso in ragione di sue qualità personali.
Il Codice civile prevede, inoltre, una serie di casi in cui l’obbligazione si considera estinta anche in assenza di adempimento da parte del debitore.
Come si estingue l’obbligazione
L’obbligazione si estingue normalmente con l’adempimento ovvero con l’esecuzione della prestazione da parte del debitore a favore del creditore.
Nel Codice civile sono previste, tuttavia, una serie di ipotesi in cui l’obbligazione si estingue con modalità diverse dall’adempimento.
Sono modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento:
- la compensazione;
- la confusione;
- la novazione;
- la remissione;
- l’impossibilità sopravvenuta.
Vediamo, di seguito, in cosa consistono i modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento.
Cosa sono i modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento
I modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento riguardano quelle ipotesi in cui il legislatore ha previsto la possibilità che l’obbligazione debba considerarsi estinta anche se il debitore non adempie.
Si tratta di ipotesi espressamente contemplate dalla legge e possono essere suddivise in due categorie: modi di estinzione dell’obbligazione satisfattori e non satisfattori, a seconda che realizzino o meno il soddisfacimento dell’interesse del creditore.
Modi di estinzione dell’obbligazione satisfattori e non satisfattori
I modi di estinzione dell’obbligazione satisfattori sono quelle modalità di estinzione dell’obbligazione che realizzano l’interesse del creditore, il quale riceve comunque la prestazione.
Essi sono:
- la compensazione;
- la confusione;
- la prestazione in luogo dell’adempimento.
I modi di estinzione dell’obbligazione non satisfattori, invece, realizzano comunque l'estinzione dell’obbligazione ma non soddisfano l’interesse del creditore.
Essi sono:
- la novazione;
- la remissione del debito;
- l’impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Vediamo di seguito, in dettaglio, quali sono i mezzi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento satisfattori e non satisfattori.
La compensazione
Si ha compensazione quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra e i due debiti si estinguono, dunque, per le quantità corrispondenti (art. 1241 c.c.).
La compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza e il giudice non può rilevarla d'ufficio (art. 1242 c.c.).
La compensazione può operare solo tra due debiti che hanno a oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono allo stesso modo liquidi ed esigibili (art. 1243 c.c.).
Vi sono casi in cui la compensazione non opera e sono elencati all’art. 1246 c.c.
La compensazione non opera in ipotesi di:
- credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato;
- credito per la restituzione di cose depositate o date in comodato;
- credito dichiarato impignorabile;
- rinunzia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore;
- divieto stabilito dalla legge.
La compensazione non può verificarsi in pregiudizio dei terzi che hanno acquistato diritti di usufrutto o di pegno su uno dei crediti (art. 1250 c.c.).
In giurisprudenza è stato stabilito che la compensazione legale opera ope legis: essa estingue, cioè, i debiti contrapposti “in virtù del solo fatto oggettivo della loro coesistenza, sicché la pronuncia del giudice si risolve in un accertamento della avvenuta estinzione dei reciproci crediti delle parti” (Cass. 16 luglio 2003, n. 11146).
Tuttavia, la “compensazione non può essere rilevata d’ufficio e deve essere eccepita dalla parte che intenda avvalersene” (Cass. 16 luglio 2003, n. 11146).
Le parti possono liberamente decidere di rendere operativa la compensazione anche se non ricorrono le condizioni previste dalla legge.
In tale ipotesi si parlerà di compensazione volontaria, espressamente prevista dall’art. 1252 c.c.
In giurisprudenza è stato chiarito che: “La compensazione giudiziale può operare anche relativamente ad una ragione creditoria già prescritta, ove il credito opposto sia certo e, benché indeterminato nel suo ammontare, di facile e pronta liquidazione, poiché la regola generale contenuta nell'art. 1242, comma 2, c.c., che postula la prevalenza del diritto alla compensazione rispetto alla prescrizione qualora il relativo termine non sia spirato nell'arco temporale di coesistenza dei crediti e dei debiti, si fonda sul principio di ragionevolezza e di buona fede nella disciplina dei rapporti negoziali e rappresenta una declinazione di quello, pure generale, per il quale, quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i debiti si estinguono per le quantità corrispondenti” (Corte di Cassazione, sezione 3 civile, ordinanza 11 marzo 2020, n. 7018).
La confusione
La confusione si ha quando le qualità di creditore e di debitore si riuniscono nella stessa persona (art. 1253 c.c.).
In questo caso, l'obbligazione si estingue, e i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore sono liberati.
La confusione, tuttavia, non opera in pregiudizio dei terzi che hanno acquistato diritti di usufrutto o di pegno sul credito.
Interessante una recente pronuncia della Cassazione, sezione tributaria, che con ordinanza del 22 luglio 2020, n. 15601 ha stabilito il seguente principio in tema di confusione: “Ai sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, nell'ipotesi di confisca di prevenzione dei beni, aziende o partecipazioni societarie già sottoposte a sequestro, i crediti impositivi si estinguono per confusione ex art. 1253 c.c., nei limiti in cui abbiano trovato capienza nel patrimonio del debitore oggetto di confisca, con la conseguenza che l'accertamento dell'avvenuta estinzione del debito erariale per confusione presuppone la verifica, oltre che dell'ammontare complessivo dei crediti, anche dell'entità del patrimonio sociale. (Nella specie, la S.C. ha escluso l'estinzione del credito per IRPEG e ILOR a seguito di confisca della società ricorrente, essendo l'"an" e il "quantum" di tale credito ancora "sub iudice" per effetto di questioni ritenute assorbite e non decise nel merito dalla CTR)”.
La prestazione in luogo dell’adempimento
Il debitore si libera dall’obbligazione solo se esegue in maniera esatta la prestazione oggetto dell’obbligazione.
Tuttavia, il creditore può accettare che il debitore esegua una prestazione diversa da quella dovuta (art. 1197 c.c.).
Anche in questa ipotesi l’obbligazione si estingue.
Quando in luogo dell’adempimento viene ceduto un credito, l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito (art. 1198 c.c.).
La novazione
Si distingue tra novazione oggettiva e soggettiva.
Si ha novazione oggettiva quando le parti sostituiscono all'obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso e l’obbligazione si estingue (art. 1230 c.c.).
La volontà di estinguere l'obbligazione precedente, secondo quanto stabilito dal Codice civile, deve risultare in modo non equivoco (art. 1230 c.c., comma 2).
Le modificazioni accessorie dell’obbligazione, come il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l'apposizione o l'eliminazione di un termine non producono novazione.
La novazione non ha effetto se non esisteva l'obbligazione originaria.
Se invece l’obbligazione originaria deriva da un titolo annullabile, la novazione è valida se il debitore era a conoscenza del vizio originario ma ha comunque assunto validamente il nuovo debito (art. 1234 c.c.).
Interessante quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con una recente ordinanza in tema di novazione oggettiva, poiché è stata valorizzata la necessità di dare rilievo alla volontà espressa in maniera inequivocabile dalle parti ai fini della novazione dell’obbligazione.
La Corte di Cassazione, sezione II, con ordinanza del 5 aprile 2023, n. 9347 ha infatti stabilito che: “Affinché si abbia novazione oggettiva dell'obbligazione è necessario che siano espressamente previste, o comunque siano desumibili in modo inequivocabile, la volontà e l'effetto di estinzione dell'obbligazione pregressa, in ragione della sostituzione con un'obbligazione nuova ed incompatibile, non essendo sufficienti le indicazioni meramente esemplificative, a fronte del richiamo a tutti gli altri patti che consentono la coesistenza di plurime obbligazioni (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto sussistere la comune intenzione delle parti di estinguere l'obbligazione di garanzia contenuta nell'originario atto di cessione per effetto di un successivo contratto integrativo che si era, tuttavia, limitato a disporre la sola riduzione del prezzo complessivo)”.
Si ha invece novazione soggettiva nell’ipotesi in cui un nuovo debitore è sostituito a quello originario che viene liberato (art. 1235 c.c.).
La remissione del debito
La remissione del debito si verifica quando il creditore dichiara al debitore di rimettere il debito, a meno che il debitore non dichiari in un congruo termine di non volerne profittare (art. 1236 c.c.).
La rinunzia alle garanzie dell'obbligazione è cosa diversa dalla remissione del debito.
Infatti, secondo quanto stabilito dal Codice civile, essa non fa presumere la remissione del debito.
La Corte di cassazione, con recente ordinanza del 14 gennaio 2022, n. 1057, ha stabilito che: “La dichiarazione di rinuncia di un avvocato ai crediti vantati nei confronti di un cliente, ove resa in un procedimento disciplinare a carico del professionista, va qualificata come remissione del debito ed estingue l'obbligazione solo ove comunicata al debitore. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che tale dichiarazione non avesse efficacia estintiva, poiché non resa al debitore, ma emessa in un giudizio – disciplinare – distinto da quello di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale il credito controverso era in discussione)”.
L’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore
Altra causa di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento sia verifica quando vi è un’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore.
Il Codice civile, all’art. 1256 c.c., distingue tra impossibilità definitiva e impossibilità temporanea.
Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento.
Viene inoltre previsto che, se l'impossibilità perdura fino a quando, in considerazione del titolo dell'obbligazione o della natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla, l’obbligazione si considera comunque estinta.
L’obbligazione si considera estinta per impossibilità sopravvenuta anche quando la prestazione ha per oggetto una cosa determinata ed è smarrita senza che possa esserne provato il perimento.
Se invece la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera attraverso l’esecuzione della parte della prestazione che è rimasta possibile.
La Corte di cassazione, con ordinanza del 20 aprile 2023, n. 10683 ha stabilito che: “In materia di responsabilità contrattuale, perché l'impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, deve essere offerta la prova della non imputabilità, anche remota, del fatto che ha impedito l'esecuzione della prestazione dovuta, non essendo rilevante, in mancanza, la configurabilità o meno del "factum principis". (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte territoriale che aveva negato che il sequestro preventivo dell'impresa, disposto nell'ambito di un procedimento penale a carico del debitore, fosse idoneo ad integrare l'impossibilità assoluta, anche temporanea, idonea ad estinguere l'obbligazione, non potendosi ritenere la condotta del debitore esente da colpa)”.