Mentire al partner ricostruendo informazioni false sulla propria vita personale e professionale fa scattare la separazione con addebito.
A dirlo è il Tribunale di Perugia, pres. Roberti, rel. Miccichè, con la sentenza 20 giugno 2024, n. 939.
I fatti
La moglie Caia citava in giudizio il coniuge, lamentando di essere stata vittima di continue menzogne sin da quando aveva conosciuto all’estero il marito Tizio e, per questo motivo, di aver violato il dovere di lealtà coniugale.
Tizio, infatti, sin dal primo incontro, aveva raccontato di essere un noto professionista legale nel proprio Paese d’origine e di svolgere l’attività di docente universitario presso ben due atenei italiani.
Dopo circa un anno di matrimonio, tuttavia, Tizio si era allontanato da casa senza dare più notizie e rendendosi irreperibile. Caia ne denunciava la scomparsa.
Le autorità, rintracciato l’uomo, aveva accertato una realtà del tutto diversa: Tizio aveva mistificato la propria identità, riferendo falsi incarichi professionali e nascondendo di essere coinvolto in vicende giudiziarie nel proprio Paese, motivo per il quale aveva deciso di trasferirsi in Italia.
La ricorrente chiedeva quindi la separazione con addebito al marito e obbligo di quest’ultimo di versarle 400 euro come contributo al mantenimento.
La decisione del Tribunale di Perugia
Il Tribunale di Perugia, pres. Roberti, rel. Miccichè, con la sentenza 20 giugno 2024, n. 939 si è pronunciato in tema di separazione con addebito.
Secondo il Tribunale, il marito aveva sviluppato una tale capacità mistificatrice da aver ingannato a tutti gli effetti la moglie, tanto che questa ignorata la vera identità della persona che aveva deciso di sposare.
Nelle controversie di separazione, la parte che chiede l’addebito è gravata dall’onere probatorio, ovvero deve fornire la prova che la condotta contestata abbia reso non più possibile la convivenza con il partner; al contrario invece l’altro coniuge, che è tenuto a fornire prove a discarico, tali che i fatti non abbiano determinato la fine del rapporto.
Secondo il Tribunale, la falsa identità fornita da Tizio a Caia ha violato, in tutta evidenza, “il dovere di lealtà […] immanente all’unione matrimoniale”, tradendo inesorabilmente la fiducia del coniuge, manipolando la realtà con una falsa rappresentazione della propria vita e della propria professione.