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25 Novembre 2023
11:00

L’obbligo di repêchage: cos’è e cosa succede se non viene rispettato

L’obbligo di repêchage consiste nel dovere del datore di lavoro di offrire una mansione alternativa al dipendente, prima di licenziarlo. Vediamo quali sono gli obblighi del datore e quale tutela spetta al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.

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L’obbligo di repêchage: cos’è e cosa succede se non viene rispettato
Avvocato
Obbligo di repechage

L’obbligo di repêchage consiste nel dovere del datore di lavoro di offrire una mansione alternativa al dipendente, prima di licenziarlo.

L’ipotesi in cui tale obbligo è configurabile è quella del licenziamento per motivo oggettivo, ovvero quella forma di licenziamento che non dipende da un inadempimento del lavoratore, ma che è invece dovuta a “ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3 legge 15 luglio 1966, n. 604).

Come ha stabilito la Cassazione, “la verifica della sussistenza del canone della giustificatezza del recesso, va compiuta nell'ambito di una valutazione che escluda l'arbitrarietà del licenziamento ed attribuisca rilevanza al principio della correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, al fine di evitare una generalizzata legittimazione della piena libertà di recesso del datore di lavoro” (Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza del 4 luglio 2017, n. 16380).

In tal senso, il principio di correttezza e buona fede, ha chiarito, la Corte, “che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello della libertà di iniziativa economica, garantita dall'articolo 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata, ove si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell'impresa” (Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza del 4 luglio 2017, n. 16380).

Secondo quanto stabilito dalla Cassazione, in sostanza, è possibile licenziare il dipendente ma bisogna che la giustificazione sia ispirata a principi di correttezza e buona fede onde evitare che il datore si senta libero, in ogni momento, di esercitare il recesso.

Tali coordinate, tuttavia, vanno lette in combinato disposto con il principio di libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 della Costituzione.

Qualora il datore scelga di licenziare il dipendente, dunque, è tenuto a offrire al lavoratore una mansione alternativa nell’ambito della stessa azienda e, soltanto ove ciò risulti impossibile, il licenziamento risulterà legittimo.

Come funziona l'obbligo di repêchage

L’obbligo di repêchage è stato più volte definito in giurisprudenza.

La Cassazione ha affermato che il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto “a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore” (Corte di Cassazione, sez. lavoro, ordinanza del 13 novembre 2023, n. 31451).

In sostanza, prima di intimare il licenziamento il datore deve assolvere a una serie di obblighi:

  • verificare le possibilità di reimpiego concreto del lavoratore in azienda;
  • prospettare al lavoratore l’impiego alternativo con mansioni equivalenti;
  • prospettare al lavoratore l’impiego alternativo con mansioni inferiori.

Il licenziamento è dunque legittimo quando:

  • vi è un giustificato motivo oggettivo;
  • il datore non può offrire un impiego alternativo al lavoratore;
  • il datore può offrire un impiego alternativo al lavoratore ma quest’ultimo ha rifiutato.

Se il lavoratore rifiuta l’impiego alternativo, dunque, non può poi contestare la legittimità del licenziamento.

Cosa succede se l'obbligo di repêchage non viene rispettato

Se l’obbligo di repêchage non viene rispettato, il datore di lavoro può essere obbligato alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità, per quanto riguarda i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, in quanto va applicato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla riforma Fornero (legge n. 92/2012).

La Corte di cassazione, tuttavia, ha specificato che il giudice, ove ritenga che la reintegra sia eccessivamente onerosa per il datore, può applicare la tutela indennitaria ex art. 18 comma 5 Stat. lav. (Cass. 10435/2018).

Per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 sarebbe invece applicabile l’art. 3, comma 1 del d.lgs. 23/2015, secondo cui, nelle ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di un’indennità.

Tali coordinate vanno tuttavia confrontate con i più recenti approdi della Cassazione e della Corte costituzionale.

La Corte di cassazione, con sentenza del 18 novembre 2022, n. 34049 ha rimarcato che il testo dell'art. 18 comma 7 della legge n. 300/1970 quale risultante all'esito degli interventi della Corte costituzionale comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo il giudice deve applicare l’istituto della reintegra del lavoratore e il pagamento di un'indennità risarcitoria.

Inoltre, secondo l’orientamento consolidato della Corte di cassazione, “fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia dall'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (cd. "repéchage")”.

La recente ordinanza della Cassazione sulla questione repêchage

La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con una recente ordinanza del 13 novembre 2023, n. 31451 ha stabilito che spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repêchage del dipendente licenziato.

Questo tipo di prova può essere fornito dimostrando che nella fase concomitante e successiva al licenziamento, per un determinato periodo di tempo, non ci sono state nuove assunzioni oppure sono state effettuate per mansioni richiedenti una professionalità diversa rispetto a quella posseduta dal lavoratore.

L’ordinanza in esame ha stabilito, in definitiva, che l’onere della prova, anche se posto in capo al datore, può essere facilmente assolto, in quanto è sufficiente dimostrare che in un periodo congruo, successivo al licenziamento, la posizione che occupava in precedenza il lavoratore non è stata di fatto riattivata.

Oneri della prova e conseguenze

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l’onere della prova dell’adempimento dell’obbligo di repêchage deve essere assolto dal datore di lavoro.

La conseguenza di questa impostazione è che il datore di lavoro è tenuto a dimostrare in giudizio che, ad esempio, per un periodo di sei mesi successivo al licenziamento, non ha effettuato assunzioni volte a ricoprire il ruolo precedentemente occupato dal lavoratore.

Qualora il datore, ad esempio, dopo un mese dal licenziamento, assuma una nuova risorsa attribuendole le medesime mansioni del lavoratore licenziato, il giudice potrà verosimilmente non ritenere legittimo il licenziamento e disporre, eventualmente, la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e il pagamento di un’indennità in suo favore.

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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