Il lavoratore può essere licenziato per violazione del Codice etico quando la condotta attuata è particolarmente grave e, ad esempio, si risolve in un comportamento penalmente rilevante, come la falsa attestazione della presenza sul luogo di lavoro mediante l’utilizzo fraudolento del badge.
Vediamo quando il lavoratore può essere licenziato, cos’è il Codice etico, da chi viene adottato, e quali sono le condotte sanzionate all’interno dello stesso.
Quando il datore di lavoro può licenziare il dipendente?
Il datore di lavoro può licenziare il proprio dipendente in alcune ipotesi:
- quando vi è la giusta causa: tale forma di licenziamento è regolamentata dall’art. 2119 del Codice civile ove è disposto che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto quando si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro. Si tratta di un’ipotesi di grave inadempimento del dipendente, che provoca la cessazione del rapporto di fiducia tra datore e lavoratore;
- quando vi è giustificato motivato soggettivo: tale ipotesi è disciplinata dall’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604. In questo caso, il licenziamento è dovuto a un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro;
- quando vi è giustificato motivo oggettivo: in questo caso vi sono motivi che riguardano l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro.
Quali sono i motivi per cui un lavoratore può essere licenziato
Il lavoratore può essere licenziato in una serie di ipotesi: per grave inadempimento, per giustificato motivo soggettivo, per giustificato motivo oggettivo.
Licenziamento per grave inadempimento
Il licenziamento per grave inadempimento si ha nelle ipotesi in cui il lavoratore si macchi di un grave inadempimento: è il caso contemplato dall’art. 2119 del Codice civile, il cosiddetto licenziamento in tronco, poiché può avvenire senza preavviso, data la gravità della condotta assunta dal dipendente.
Si può verificare quando il dipendente, ad esempio, commetta un furto in azienda oppure quando manometta l’utilizzo del badge per falsificare la sua presenza sul luogo di lavoro.
Si tratta sovente di comportamenti che danno luogo anche a responsabilità di tipo penale.
La Corte di Cassazione, sez. III penale, con sentenza dell’8 ottobre 2021, n. 36711 ha stabilito, ad esempio, che, “il reato, (…) si consuma per il solo fatto della falsa attestazione attraverso l'alterazione dei sistemi di rilevamento o con altre modalità fraudolente, e quindi, per quanto qui d'interesse, per il solo fatto di non aver passato il badge personalmente, ma di aver delegato altri all'incombente, a prescindere dal danno all'Amministrazione che invece porterebbe alla contestazione di truffa aggravata.
E invero, la norma mira ad agevolare i controlli della Pubblica Amministrazione sul rispetto delle norme di condotta dei dipendenti, attraverso l'affidamento che questa ripone sul corretto uso dei badge, che hanno sostituito i fogli di presenza o i cartellini marcatempo”. Altro caso è, ad esempio, quello in cui il dipendente falsifichi un certificato di malattia.
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo
Il lavoratore può essere licenziato nei casi in cui vi sia giustificato motivo soggettivo: l’inadempimento, in questa ipotesi, è notevole ma non gravissimo.
Si tratta dei casi in cui il dipendente, ad esempio, non renda nel suo lavoro.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Si ha licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando vi sono problematiche legate alla produzione, non vi è dunque una responsabilità del lavoratore.
Nel caso del procedimento disciplinare in violazione del Codice etico, laddove accertata legittimamente la responsabilità del lavoratore, il licenziamento irrogato non potrà essere per giustificato motivo oggettivo, ma solo per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Quando non si può licenziare un dipendente
Il lavoratore ha diritto a essere tutelato da comportamenti ingiusti del datore di lavoro.
Egli non può essere licenziato:
- se si trova in malattia, a meno che non venga superato il cosiddetto periodo di comporto, ovvero il periodo massimo di assenze per malattia stabilito dai contratti collettivi;
- se ha subito un infortunio sul lavoro, dovuto alla mancata adozione delle misure antinfortunistiche da parte del datore, anche se il periodo di comporto viene superato, fino all’avvenuta guarigione;
- se si tratta di lavoratrice, dall’inizio della gravidanza fino al compimento dell’anno di vita del bambino;
- se si tratta di lavoratore, dall’inizio dell’astensione fino al compimento dell’anno del bambino, in assenza della madre;
- se si tratta di lavoratrice, dalla richiesta delle pubblicazioni fino a un anno dopo l’avvenuta celebrazione del matrimonio;
- se si tratta di licenziamento oggettivo, il datore non può licenziare se il dipendente può essere adibito ad altre mansioni;
- non si può licenziare, in definitiva, in assenza di una valida motivazione.
Quali comportamenti sono punibili secondo il sistema disciplinare
La contrattazione collettiva nazionale, la contrattazione aziendale e il datore di lavoro possono stilare dei Codici disciplinari che prevedono ipotesi punibili.
Per quanto riguarda il pubblico impiego, è entrata in vigore il 14 luglio 2023 la riforma del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, attuata con decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2023, n. 81, che modifica il DPR 62/2013.
Tra le principali novità, vi è la previsione di una responsabilità specifica in capo al dirigente per la crescita professionale dei collaboratori, e la prescrizione di comportamenti volti a prevenire il compimento di illeciti, l’espressa previsione del divieto di discriminazione basato sulle condizioni personali del dipendente, come ad esempio l’orientamento sessuale, il genere, l’ etnia o la religione.
Vi sono inoltre previsioni che riguardano il comportamento dei dipendenti da tenere sui social media, in quanto tale comportamento non deve ledere l’immagine della pubblica amministrazione, né essere riconducibile alla stessa.
Nei vari Codici etici possono essere presenti altre previsioni, come il divieto di rivelazione dei segreti di cui si viene a conoscenza nello svolgimento dell’attività lavorativa o il divieto di accettare regali da terzi, che potrebbero influenzare decisioni aziendali a favore di soggetti con i quali l’azienda intrattiene relazioni commerciali.
Cosa succede se non si rispetta il Codice etico
Quando il lavoratore incorre in una violazione del Codice etico, viene irrogato allo stesso un provvedimento disciplinare.
Nell’ipotesi in cui si tratti di un provvedimento disciplinare diverso dal rimprovero verbale, l’addebito dovrà essere preventivamente contestato in maniera formale al lavoratore per iscritto. Il lavoratore, in questo modo, potrà esercitare il proprio diritto di difesa e chiedere di essere ascoltato.
Chi vigila sul Codice etico
Nelle aziende possono essere istituiti un apposito Comitato Etico e un Organismo di Vigilanza con il compito di monitorare l’attuazione effettiva del Codice Etico e di segnalare violazioni eventuali.
Quali sono le conseguenze in caso di violazione del Codice di comportamento
Qualora si violi il Codice di comportamento si può incorrere in una serie di provvedimenti:
- Il “rimprovero verbale”;
- il “rimprovero scritto” qualora, ad esempio, il lavoratore che sia recidivo nel violare le procedure previste dal Codice Etico;
- la multa, qualora il dipendente, ad esempio, con il suo comportamento esponga a pericolo i beni dell’azienda;
- la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione;
- il licenziamento con preavviso e con trattamento di fine rapporto qualora il lavoratore compia o tenti di compiere, ad esempio, un’azione delittuosa;
- il licenziamento senza preavviso, qualora, ad esempio, il lavoratore venga giudicato in via definitiva per la commissione di un reato nell’esercizio delle sue funzioni.
È fatto salvo il diritto del datore di lavoro di chiedere il risarcimento dei danni derivanti dalla condotta azionata dal lavoratore.
Sul punto è interessante notare quanto stabilito dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 7029 del 9 marzo 2023, in relazione al licenziamento del dipendente per violazione del Codice etico.
Il lavoratore, in particolare, si era reso colpevole di aver discriminato una collega.
Ha stabilito la Corte che: “la valutazione operata dal giudice di merito nel ricondurre a mero comportamento “inurbano” la condotta del (OMISSIS) non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell’ordinamento; essa rimanda, infatti, a un comportamento contrario soltanto alle regole della buona educazione e degli aspetti formali del vivere civile, laddove il contenuto delle espressioni usate e le ulteriori circostanze di fatto nel quale il comportamento del dipendente deve essere contestualizzato si pongono in contrasto con valori ben più pregnanti, ormai radicati nella coscienza generale ed espressione di principi generali dell’ordinamento”.
Per la Corte, in sostanza, “costituisce innegabile portato della evoluzione della società negli ultimi decenni la acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che essa attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona”.
L’intrusione in tale sfera, secondo la Cassazione, “effettuata peraltro con modalità di scherno e senza curarsi della presenza di terze persone, non può pertanto essere considerata secondo il “modesto” standard della violazione di regole formali di buona educazione utilizzato dal giudice del reclamo ma deve essere valutata tenendo conto della centralità che nel disegno della Carta costituzionale assumono i diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2)".
La Corte ha ricordato, sul punto, che “tale generale impianto di tutela ha trovato puntuale specificazione nell’ordinamento attraverso la previsione di discipline antidiscriminatorie in vario modo intese ad impedire o a reprimere forme di discriminazione legate al sesso; tra queste assume particolare rilievo il Decreto Legislativo n. 198-2006, (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) il cui articolo 26, comma 1 statuisce che “Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.
Questa previsione ha carattere fondamentale per la Corte “in quanto significativa della volontà del legislatore ordinario di garantire una protezione specifica e differenziata – attraverso il meccanismo dell’assimilazione alla fattispecie della discriminazione- alla posizione di chi si trovi a subire nell’ambito del rapporto di lavoro comportamenti indesiderati per ragioni connesse al sesso”.
Licenziamento per violazione del Codice etico e relazioni sentimentali sul lavoro
Altro caso interessante attiene a una recente fattispecie all'attenzione del Tribunale di Roma, sez. II lavoro, che ha deciso con sentenza del 14 marzo 2023.
In questa ipotesi, un dipendente aveva intrattenuto una relazione con una collega, addetta allo stesso settore di attività, senza segnalare la situazione all'azienda, come invece previsto dalla policy aziendale, e aveva indotto la stessa a tacere lo stato di gravidanza al datore di lavoro e a rassegnare le dimissioni per farsi assumere da un'azienda competitor.
Il lavoratore era stato licenziato per violazione del Codice di comportamento aziendale e il Tribunale ha considerato legittimo il licenziamento.
Il Tribunale, a tal fine, ha ricordato quanto previsto nel Codice etico aziendale in merito ai rapporti di parentela e alle relazioni personali: "(…) riconosce che all'interno di una grande organizzazione si possano instaurare relazioni personali strette tra colleghi, siano questi Partner o altri lavoratori.
Inoltre, (…) consente riassunzione di persone imparentate con partner e membri dello staff. Tuttavia, è necessario prestare adeguata attenzione per garantire che le relazioni personali strette e i rapporti di parentela non creino situazioni in cui: – membri dello staff beneficino o soffrano a causa di una relazione personale o di parentela dentro e fuori – sorgano questioni di riservatezza, indipendenza e conflitti di interesse, questi ultimi anche solo percepiti; – risulti un reale o percepito nepotismo e/o favoritismo…
Partner o membri dello staff non possono essere impegnati nella stessa unità organizzativa/funzione in cui lavorano parenti o individui con cui hanno stretto una relazione personale. In nessun caso una delle due persone dovrà, essere il diretto superiore dell'altro né in alcun modo partecipare ai processi di valutazione, avanzamento di carriera, assunzioni di responsabilità e decisioni riguardanti il trattamento economico dell'altro, inoltre, le persone con stretti rapporti di parentela o relazioni personali tra di loro non possono essere assegnate al medesimo cliente o incarico".
Sulla base di quanto stabilito dal Codice etico, in definitiva, la condotta assunta dal lavoratore si presentava connotata da gravità tale da giustificare un licenziamento.
Il lavoratore, infatti, secondo quanto previsto dal Codice etico, avrebbe dovuto informare l'azienda della relazione per prevenire eventuali situazioni di conflitto d'interesse.
Inoltre, dai fatti di causa, è emerso che il lavoratore si trovasse in una posizione nei confronti della lavoratrice che gli permetteva di esercitare una pressione sulla stessa: questo poiché il lavoratore aveva un profilo senior mentre la lavoratrice aveva un profilo junior.
Per il Tribunale di Roma, infatti: "il fatto ascritto al ricorrente risulta lesivo del codice di comportamento e del codice etico, adottati dalla società datrice, nonché più in generale dei doveri di correttezza e lealtà che devono essere rispettati nel rapporto di lavoro.
La diligenza richiesta dall'art. 2105 c.c. nell'espletamento della prestazione lavorativa ricomprende, infatti, anche l'obbligo di adottare un contegno conforme alle disposizioni organizzative e ai protocolli di comportamento imposti dal datore di lavoro, a protezione degli interessi aziendali.
A ciò si aggiunga che, dal canone generale di buona fede sorgono obblighi aggiuntivi di protezione della controparte contrattuale, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio dei propri interessi. Non vi è dubbio, quindi, che sul lavoratore incombe l'obbligo di comunicare al datore di lavoro qualsiasi situazione di potenziale conflitto che possa compromettere gli interessi aziendali.
Nel caso di specie, risulta che il ricorrente volontariamente abbia anteposto il proprio interesse personale all'avanzamento di carriera, rispetto agli interessi della società resistente, celando una situazione di potenziale conflitto di interessi (…) e compromettendo la serenità sul luogo di lavoro con i componenti del suo gruppo di lavoro (tale essendo la collega con la quale aveva intrapreso la relazione).
A ciò si aggiunga che, il ricorrente, seppur non essendo formalmente posto in una posizione di supremazia gerarchica rispetto alla (…) tale da configurare un vincolo di subordinazione in senso stretto, ricopriva in ogni caso un profilo professionale più elevato.
Da quanto dedotto dalla società, in maniera non specificamente contestata dal ricorrente, la valutazione professionale dei lavoratori con profilo junior, presuppone il confronto del dirigente con i senior del gruppo lavorativo.
Tale circostanza induce a ritenere che, il ricorrente, in quanto profilo senior, fosse nella posizione di esercitare pressioni sulla collega (…) rivestendo quest'ultima il profilo junior.
Ne consegue che, le pressioni esercitate dallo stesso sulla collega al fine di indurla a tacere finanche lo stato di gravidanza alla società, nonché ad abbandonare il posto di lavoro assumano il carattere della gravità tale da pregiudicare il vincolo fiduciario di cui all'art. 2105 c.c.".
Chi viene licenziato per motivi disciplinari ha diritto alla NASpI?
Chi viene licenziato per motivi disciplinari ha diritto alla NASpI, poiché si tratta comunque di un’ipotesi di perdita involontaria del lavoro.
Lo ha stabilito, tra l’altro, l’INPS, con circolare n. 142 del 29 luglio 2015: “Nel medesimo interpello è stato altresì chiarito che anche la nuova indennità di disoccupazione NASpI può essere riconosciuta ai lavoratori licenziati per motivi disciplinari.
Il licenziamento disciplinare, infatti, non può essere inteso quale evento da cui derivi disoccupazione volontaria in quanto la misura sanzionatoria del licenziamento non risulta conseguenza automatica dell’illecito disciplinare ma è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro, costituendone esercizio del potere discrezionale”.