Licenziamento per giusta causa: cos’è e quando si verifica?

Il licenziamento per giusta causa è la forma più grave di licenziamento prevista dall’ordinamento italiano e può avvenire solo in situazioni ben precise. Vediamone insieme il funzionamento e quali possono esserne le cause.

6 Novembre 2023
15:03
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Licenziamento per giusta causa: cos’è e quando si verifica?
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Il licenziamento è l’epilogo peggiore che un dipendente possa immaginare per la propria carriera. Ma il datore di lavoro può licenziare il lavoratore come e quando desidera o deve rispettare un iter specifico?

Per nostra fortuna l’ordinamento italiano prevede delle regole apposite in merito, riconoscendo e disciplinando tre diverse forme possibili di licenziamento:

  • Il licenziamento per giusta causa
  • Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo
  • Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Ognuna di queste alternative si verifica in determinate ipotesi e a certe condizioni. Oggi ci soffermeremo su quella che è considerata la più grave delle tre, ossia il licenziamento per giusta causa.

Come mai quello per giusta causa è il licenziamento più grave?

Perché si verifica quando il dipendente ha tenuto una condotta contraria al contratto di lavoro stipulato e, in alcuni casi, si rivela anche lesiva degli interessi dell’azienda stessa.

In queste situazioni il rapporto di fiducia col datore è irrimediabilmente compromesso e il licenziamento risulta essere l’unica soluzione adeguata.

Licenziamento per grave inadempimento

La norma di riferimento è l’art. 2119 del Codice Civile, rubricato Recesso per giusta causa:

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al  prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente”

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, quindi, la giusta causa per il licenziamento sussiste ogniqualvolta al lavoratore è imputabile un grave inadempimento.

L’esempio più frequente può consistere nell’aver violato le regole di comportamento dell’azienda o nel non aver svolto le proprie mansioni o ancora, nell’aver commesso un reato.

Codici etici

Ci vogliamo soffermare brevemente sul primo punto, in merito alla violazione o inosservanza delle regole di condotta. Infatti ogni azienda è solitamente dotata di appositi Codici etici in cui vengono riportate le norme di comportamento che i dipendenti devono seguire.

Le sanzioni variano a seconda della rilevanza e del tipo di violazione.
Per esempio si può incorrere in un rimprovero verbale per i casi meno gravi, fin proprio al licenziamento per giusta causa per le situazioni irrisolvibili.

Quanto sta accadendo al giornalista Andrea Giambruno ne è un esempio. Alcune sue dichiarazioni e comportamenti potrebbero infatti aver violato il Codice etico della Mediaset. Questi ha quindi preferito autosospendersi, mentre l’azienda sta valutando se avviare o meno un’indagine interna.

In ogni caso, a prescindere dai codici di condotta, è fondamentale leggere con attenzione sia il contratto collettivo di riferimento, perché detta la disciplina generale e al suo interno vengono indicati proprio i comportamenti che possono causare un licenziamento per giusta causa, sia il proprio contratto di lavoro che avrà come riferimento il CCNL ma rispetto al quale potrebbe anche variare in maniera migliorativa.

Vi riportiamo un elenco di cause di licenziamento per giusta causa:

  • furto di beni aziendali;
  • diffamazione o minacce al datore o ai suoi colleghi;
  • insubordinazione verso i superiori;
  • manomissione del badge per falsificare la presenza sul lavoro o anche troppe assenze ingiustificate

Ci sono poi casi così gravi come l’insider trading o lo spionaggio industriale, in cui il licenziamento avviene immediatamente e senza essere preceduto prima dal procedimento disciplinare.

Si tratta del c.d. licenziamento in tronco.

La giusta causa nei contratti a tempo determinato e indeterminato

Come disposto dall’art. 2119 c.c., il licenziamento per giusta causa può verificarsi tanto nei confronti del lavoratore con un contratto a tempo determinato quanto nei confronti di quello a tempo indeterminato.

Ma qual è la differenza?

Nel primo caso il datore può recedere, ossia interrompere il rapporto di lavoro prima della scadenza prevista nel contratto.

In quello indeterminato, invece, potrà farlo senza dover dare il preavviso al dipendente.

Quest’ultimo è un elemento determinante da considerare, dal momento che il preavviso è, normalmente, una tutela obbligatoria tanto per il lavoratore quanto per il datore.

Il lavoratore che fornisce il preavviso di dimissioni, permette infatti al datore di gestire per tempo la “perdita” di forza lavoro.

Il datore che dà preavviso di licenziamento permette invece, al dipendente, di conoscere in anticipo l’interruzione del rapporto di lavoro, così da poter iniziare la ricerca di un nuovo impiego.

Come funziona il licenziamento per giusta causa

È ormai chiaro che la condotta del dipendente che non rispetti le regole aziendali o quanto stabilito dal proprio CCNL, ricadrà plausibilmente in una delle “giuste cause” previste dall'ordinamento ai fini del licenziamento.

L’iter in questi casi segue però dei passaggi ben precisi, affinché il lavoratore sia informato sin da subito dell’esistenza di un procedimento disciplinare nei suoi confronti.

Come già anticipato, i provvedimenti si differenziano a seconda della gravità del caso concreto. Il lavoratore potrà quindi incorrere in:

  • un richiamo verbale;
  • un richiamo scritto: si tratta della c.d. lettera di richiamo e che può essergli inviata fino a 3 volte;
  • una sanzione, che diminuirà la sua retribuzione mensile;
  • la sospensione temporanea dal lavoro per uno o più giorni;
  • e infine il licenziamento disciplinare.

Il procedimento disciplinare

Una volta avviato un procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore, sarà essenziale che questi rispetti i tempi e le scadenze previste per esercitare i propri diritti.

Semplificando:

  • Il datore può contestare il fatto o l’illecito al lavoratore tramite un richiamo verbale informale oppure tramite raccomandata formale;
  • a questo punto il lavoratore avrà 5 giorni per presentare le sue difese;
  • passato questo lasso di tempo il datore dovrà comunicargli la lettera finale di licenziamento.

Come impugnare il licenziamento per giusta causa

Quando il dipendente subisca un licenziamento per giusta causa, potrà rivolgersi all'organismo sindacale per avviare la procedura della mediazione. Se in questa sede non verrà raggiunto un accordo tra lavoratore e azienda, allora il provvedimento potrà essere impugnato facendo ricorso in tribunale. 

Qualora in giudizio venga accertata l’insussistenza del fatto materiale contestato, il giudice potrà non solo annullare il licenziamento ma, ex art. 3 co. 2 del Jobs Act (D. lgs. 23/2015), condannerà il datore a reintegrare il lavoratore sul posto di lavoro, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria.

NASPI e licenziamento per giusta causa

Quando invece il licenziamento risulti definitivo, il lavoratore avrà diritto a ricevere la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi), ossia l’indennità di disoccupazione mensile introdotta dal 1° maggio 2015.

Questo perché il licenziamento per giusta causa rientra tra le ipotesi di perdita involontaria del lavoro che danno diritto alla Naspi, come anche riconosciuto dalla stessa INPS.

Nella circolare n. 142 del 29 luglio 2015 si legge infatti che: “Nel medesimo interpello è stato altresì chiarito che anche la nuova indennità di disoccupazione Naspi può essere riconosciuta ai lavoratori licenziati per motivi disciplinari.

Il licenziamento disciplinare, infatti, non può essere inteso quale evento da cui derivi disoccupazione volontaria in quanto la misura sanzionatoria del licenziamento non risulta conseguenza automatica dell’illecito disciplinare ma è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro, costituendone esercizio del potere discrezionale”.

Se vengo licenziato ho diritto al TFR?

La risposta è sì!

Infatti, come espressamente disposto dall’art. 2120 c.c., anche in caso di licenziamento al lavoratore spetterà il trattamento di fine rapporto che si calcolerà “sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della  retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5”.

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