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24 Novembre 2023
15:00

Il datore di lavoro deve provare l’impossibilità di repêchage del dipendente in caso di licenziamento

La Corte di cassazione, con sentenza del 13 novembre n.31451 ha stabilito che la prova dell’adempimento dell’obbligo di repêchage deve ricadere sul datore di lavoro. Vediamo cosa dice la Cassazione nel dettaglio e cosa è tenuto a dimostrare in giudizio il datore di lavoro in caso di licenziamento.

Il datore di lavoro deve provare l’impossibilità di repêchage del dipendente in caso di licenziamento
Avvocato
licenziamento repechage

La Corte di cassazione, con ordinanza del 13 novembre n.31451 ha stabilito che la prova dell’adempimento dell’obbligo di repêchage deve ricadere sul datore di lavoro.

In pratica, il datore di lavoro può legittimamente licenziare il dipendente solo se dimostra di non poterlo adibire ad altre mansioni, anche inferiori, e l’adempimento di tale obbligo deve essere dimostrato dal datore nel processo.

Vediamo cosa ha stabilito la Cassazione nel dettaglio e come può provare il datore di lavoro di aver offerto al lavoratore altre possibilità di impiego prima di licenziarlo.

Il fatto

Un dipendente veniva licenziato e si rivolgeva al Tribunale, in quanto riteneva illegittimo il licenziamento.

Il Tribunale riconosceva la legittimità del licenziamento, in quanto riconducibile a scelte datoriali risultate effettive e non simulate.

La decisione del Tribunale veniva impugnata e in appello i giudici ritenevano che la società datrice di lavoro non avesse assolto la prova dell'adempimento dell'obbligo di repêchage, in particolare risultando "pacifico tra le parti che al ricorrente non sia stata prospettata alcuna possibilità di reimpiego in mansioni inferiori".

Per la cassazione di tale statuizione veniva proposto ricorso alla Suprema Corte.

I principi stabiliti dalla Corte di cassazione

La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con ordinanza del 13 novembre 2023, n. 31451 ha stabilito che, secondo la consolidata giurisprudenza della stessa Corte, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili.

Il datore di lavoro, in pratica, deve provare i fatti di tipo indiziario o presuntivo circa l'impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale.

Solitamente, questa prova viene fornita dimostrando che nella fase concomitante e successiva al licenziamento, per un dato periodo, non ci sono state nuove assunzioni oppure sono state effettuate per mansioni richiedenti competenze diverse da quelle possedute dal lavoratore.

Fin dalla sentenza resa a Sezioni Unite da Cass. SS.UU. n. 7755 del 1998, ha precisato la Corte, è stato sancito il principio per cui la permanente impossibilità della prestazione lavorativa può giustificare il licenziamento sempre che non sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni non solo equivalenti, ma anche inferiori.

Questo poiché ciò che prevale è l'interesse del lavoratore al mantenimento del posto di lavoro, “rispetto alla salvaguardia di una professionalità che sarebbe comunque compromessa dall'estinzione del rapporto”.

La Cassazione ha dunque affermato che il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto “a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore”.

Il testo integrale dell'ordinanza

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 13 novembre 2023  n. 31451

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere

Dott. PANARIELLO Francescopaolo – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31814/2020 proposto da:

(OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS);

– ricorrente – principale –

contro

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– controricorrente – ricorrente incidentale –

2023 avverso la sentenza n. 1899/2020 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 01/10/2020 R.G.N. 461/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/10/2023 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO

che:

la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado, resa all'esito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, azionato da (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) Spa in seguito al licenziamento intimato il (OMISSIS), nella parte in cui ha riconosciuto "l'accertata soppressione del posto di lavoro" cui era adibito il dipendente e la sua "riferibilita' a scelte datoriali risultate effettive e non simulate";
La Corte, tuttavia, ha ritenuto che la societa' datrice di lavoro non avesse assolto la prova dell'adempimento dell'obbligo di repechage, in particolare risultando "pacifico tra le parti che al ricorrente non sia stata prospettata alcuna possibilita' di reimpiego in mansioni inferiori";

in presenza di una "insufficienza probatoria" concernente l'adempimento dell'obbligo di repechage, la Corte ha condannato la societa' al pagamento di una indennita' risarcitoria pari a venti mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto;

per la cassazione di tale statuizione ha proposto ricorso, in via principale, il (OMISSIS) con tre motivi; ha resistito con controricorso la societa', proponendo ricorso incidentale affidato a quattro motivi;

entrambe le parti hanno comunicato memorie;

all'esito della Camera di consiglio, il Collegio si e' riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni.

CONSIDERATO

che:

i motivi del ricorso principale del lavoratore possono essere come di seguito sintetizzati:

1.1. il primo denuncia: "Violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articoli 3 e 5, dell'articolo 2697 c.c., degli articoli 115 e 116 c.p.c., e della L. n. 300 del 1970, articolo 18, commi 4, 5, 7 (articolo 360 c.p.c., n. 3)"; si deduce che, nella specie, "attesa la manifesta insussistenza del fatto", andasse applicata, "in ogni caso, anche solo per quanto riguarda il mancato obbligo di repechage, la tutela di cui dell'articolo 18 novellato, comma 4";

1.2. il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, criticando la sentenza impugnata per avere ritenuto effettiva la soppressione del posto di lavoro del (OMISSIS);

1.3. col terzo si eccepisce l'omesso esame di un fatto decisivo, a mente dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte territoriale "dato conto dei motivi della mancata ammissione dei mezzi istruttori ritualmente richiesti";

con i motivi del ricorso incidentale la societa' denuncia:

2.1. ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare il fatto che "su tutto il territorio nazionale non esisteva alcuna posizione lavorativa che l'azienda potesse offrire al Sig. (OMISSIS), al momento del licenziamento" (primo motivo);

2.2. ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 4, la "nullita' della sentenza per palese contraddittorieta' della motivazione in violazione dell'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la Corte di Appello non ritenuto provato un fatto e per non aver ammesso, quanto al medesimo fatto, le prove offerte da (OMISSIS)" (secondo motivo);

2.3. ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, "per avere la Corte di Appello ritenuto non provato un fatto e per non aver ammesso, quanto al medesimo fatto, le prove offerte da (OMISSIS), cosi' violando, oltre all'articolo 24 Cost., articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c., anche l'articolo 421 c.p.c., che pone in capo al giudice del lavoro il potere-dovere di ricercare la verita' materiale" (terzo motivo);

2.4. ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 41 Cost., L. n. 604 del 1966, articoli 3 e 5, e articolo 2103 c.c., "per avere la Corte di Appello ritenuto sussistente un obbligo pressocche' incondizionato del datore di lavoro di offrire al lavoratore una posizione, equivalente o inferiore, in alternativa al licenziamento, anche in contesti in cui tale posizione non esiste" (quarto motivo);

per ragioni di priorita' logico-giuridica, occorre esaminare i motivi del ricorso incidentale della societa', in quanto contestano la ritenuta illegittimita' del licenziamento, cosi' come affermata dalla Corte territoriale sotto il profilo della violazione dell'obbligo di repechage;

i quattro motivi, scrutinabili congiuntamente per connessione, non possono trovare accoglimento;

3.1. secondo una oramai consolidata giurisprudenza di questa Corte, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilita' di repechage del dipendente licenziato, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (ab imo: Cass. n. 5592 del 2016); trattandosi di prova negativa, il datore di lavoro ha sostanzialmente l'onere di fornire la prova di fatti e circostanze esistenti, di tipo indiziario o presuntivo, idonei a persuadere il giudice della veridicita' di quanto allegato circa l'impossibilita' di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale (cfr. Cass. n. 10435 del 2018); usualmente si prova che nella fase concomitante e successiva al recesso, per un congruo periodo, non sono avvenute nuove assunzioni oppure sono state effettuate per mansioni richiedenti una professionalita' non posseduta dal prestatore (v. Cass. n. 6497 del 2021, con la giurisprudenza ivi citata al punto 6);

3.2. cio' premesso, le censure presuppongono sostanzialmente l'assunto, errato in diritto, secondo cui l'obbligo di repechage – che il datore di lavoro deve assolvere per evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo – debba essere strettamente limitato alle sole mansioni rientranti nel livello di inquadramento posseduto dal lavoratore da licenziare, ovvero in quello immediatamente inferiore, tanto che le deduzioni come le richieste di prova formulate nel corso del giudizio, cosi' come specificate nel ricorso per cassazione, riguardano il 7 e il 6 livello;

ancora nella memoria ex articolo 380 bis.1, la ricorrente in via incidentale illustra le sue doglianze lamentando sia che i giudici d'appello avrebbero ritenuto "priva di valore probatorio la tabella prodotta da (OMISSIS) sub doc. 36 della fase di opposizione, nella quale la Societa' ha elencato tutti i lavoratori assunti dopo il licenziamento del Sig. (OMISSIS) in tutte le sedi italiane, con inquadramento al 7 e 6 livello, rispettivamente il livello di appartenenza del Sig. (OMISSIS) e il livello immediatamente inferiore", sia che la Corte territoriale non abbia "ammesso le ulteriori prove dedotte da (OMISSIS) a conferma dei dati contenuti nella tabella sub doc. 36";

poiche' la societa' nulla di specifico ha dedotto in ordine alle eventuali assunzioni operate dall'impresa nel periodo controverso in tutte le sue sedi e in tutti i livelli di inquadramento inferiori al 6, legittimamente la Corte territoriale ha ritenuto, con una valutazione che involge i documenti prodotti e le richieste probatorie di pertinenza del giudice del merito, che il datore di lavoro non avesse assolto all'obbligo sul medesima gravante, ne' tanto meno avrebbe potuto attivare poteri officiosi su circostanze non allegate dalla parte;

3.3. sin da Cass. SS.UU. n. 7755 del 1998 e' stato sancito il principio per il quale la permanente impossibilita' della prestazione lavorativa puo' oggettivamente giustificare il licenziamento L. n. 604 del 1966, ex articolo 3, sempre che non sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni non solo equivalenti, ma anche inferiori; l'arresto riposa sull'assunto razionale dell'oggettiva prevalenza dell'interesse del lavoratore al mantenimento del posto di lavoro, rispetto alla salvaguardia di una professionalita' che sarebbe comunque compromessa dall'estinzione del rapporto;

il principio, originariamente affermato in caso di sopravvenuta infermita' permanente, e' stato poi esteso anche alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovute a soppressione del posto di lavoro in seguito a riorganizzazione aziendale, ravvisandosi le medesime esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro da ritenersi prevalenti su quelle di salvaguardia della professionalita' del lavoratore (Cass. n. 21579 del 2008; Cass. n. 4509 del 2016; Cass. n. 29099 del 2019; Cass. n. 31520 del 2019);

e' stato, cosi', affermato che il datore, prima di intimare il licenziamento, e' tenuto a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore (cfr. Cass. n. 10018 del 2016; v. pure Cass. n. 23698 del 2015; Cass. n. 4509 del 2016; Cass. n. 29099 del 2019);

l'orientamento ha ricevuto l'avallo indiretto della Corte costituzionale (sent. n. 188 del 2020) che, nel ritenere non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'Allegato A al Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 37, comma 1, n. 5), laddove prevede la possibilita' di applicare la retrocessione quale sanzione disciplinare "sostitutiva" della destituzione, ha considerato proprio la richiamata giurisprudenza di legittimita', affermando che, "in ossequio alla logica del "male minore"", "la tutela della professionalita' del lavoratore cede di fronte all'esigenza di salvaguardia di un bene piu' prezioso, quale il mantenimento dell'occupazione";

3.4. nella specie, la mancata deduzione da parte della societa' circa le ulteriori posizioni di altri lavoratori eventualmente assunti in livelli di inquadramento inferiori al sesto ha anche precluso in radice qualsiasi valutazione circa la compatibilita' con il bagaglio professionale del dipendente licenziato, avendo la difesa di (OMISSIS) Spa proposto la comparazione solo con i lavoratori assunti nel 6 e 7 livello;

invero, pur non potendosi pregiudizialmente negare che l'obbligo di repechage possa incontrare un limite nel fatto che il licenziando non abbia la capacita' professionale richiesta per occupare il diverso posto di lavoro, tuttavia e' evidente che cio' debba risultare da circostanze oggettivamente riscontrabili palesate dal datore di lavoro; diversamente ragionando si lascerebbe l'adempimento dell'obbligo alla volonta' meramente potestativa dell'imprenditore, che potrebbe riservare la scelta a valutazioni che, in quanto occulte, non potrebbero essere sindacabili neanche nella loro effettivita' e veridicita' (in termini: Cass. n. 13809 del 2017; Cass. n. 23340 del 2018);

ma cio' evidentemente postula che il datore di lavoro innanzi tutto alleghi quali siano le mansioni eventualmente affidate ai nuovi assunti, anche laddove impiegati in mansioni inferiori, onde consentire al giudice del merito di verificare, sulla base di circostanze oggettivamente riscontrabili palesate dal datore di lavoro, se le capacita' e le esperienze professionali possedute dal licenziato fossero davvero tali da precludergli l'utile impiego nelle mansioni, anche inferiori, cui sono stati destinati i neoassunti; tanto in coerenza con la primazia dell'interesse alla conservazione del posto di lavoro rispetto alla tutela della professionalita', salvo che, una volta prospettata al prestatore, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, l'utilizzo in compiti meno qualificanti, questi decida di non accettare la soluzione alternativa;

confermata l'illegittimita' del licenziamento, occorre esaminare il primo motivo del ricorso principale del lavoratore, che riguarda la tutela indennitaria applicata dalla Corte territoriale in luogo di quella reintegratoria;

esso e' ammissibile nella parte in cui deduce la violazione "della L. n. 300 del 1970, articolo 18, commi 4, 5, 7" ed e' anche fondato, in conformita' all'attuale assetto normativo delineato dalla disposizione Statutaria novellata, quale definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, successive al deposito dell'impugnazione;

costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale

l'efficacia delle sentenze dichiarative dell'illegittimita' costituzionale di una norma di legge, quali quelle sopra citate, non si estende ai soli rapporti gia' esauriti per formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l'ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto medesimo, mentre tale efficacia si dispiega pienamente in tutte le altre ipotesi (Cass. n. 2406 del 2003; Cass. n. 1277 del 2002; Cass. n. 1203 del 1999; Cass. n. 891 del 1974);

orbene, con la sentenza n. 125 del 2022, il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 7, secondo periodo, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42, lettera b), limitatamente alla parola "manifesta", con la conseguenza che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la "insussistenza dei fatto"-fatto da intendersi nella giurisprudenza consolidata di questa Corte inaugurata da Cass. n. 10435 del 2018 comprensivo della impossibilita' di ricollocare altrove il lavoratore-va applicata la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimita' del recesso; inoltre, con la sentenza n. 59 del 2021, era gia' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale della medesima disposizione nella parte in cui prevedeva, in caso di accertata illegittimita' del licenziamento, un potere discrezionale del giudice in ordine all'applicazione della tutela reale (cfr. Cass. n. 16975 del 2022; Cass. n. 30167 del 2022; Cass. n. 34049 del 2022; Cass. n. 34051 del 2022; Cass. n. 35496 del 2022; Cass. n. 36956 del 2022; Cass. n. 37949 del 2022; Cass. n. 38183 del 2022; Cass. n. 1299 del 2023; alle quali tutte si rinvia anche ai sensi dell'articolo 118 disp. att. c.p.c.);

l'accoglimento del primo motivo del ricorso del lavoratore, soddisfa pienamente il suo interesse dal punto di vista della tutela applicabile e assorbe gli altri due motivi proposti dal medesimo;

pertanto, respinto il ricorso incidentale, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformera' a quanto statuito, regolando anche le spese;

ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese. Rigetta il ricorso incidentale. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente in via incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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