La Corte costituzionale, con sentenza dell'11 marzo 2024, n.41 ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità sollevate con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, commi secondo e terzo, della Costituzione, dell’art. 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale.
La Corte ha stabilito, infatti, che non è illegittima la mancata previsione dell'obbligo di avvisare la persona sottoposta a indagini della richiesta di archiviazione per prescrizione del reato formulata dal pubblico ministero.
Secondo la Consulta, infatti, non è detto che le stesse forme di garanzia del contraddittorio previste a favore dell'imputato debbano essere estese all'indagato, il quale dispone di ulteriori mezzi per tutelarsi, previsti dall'ordinamento.
La Corte ha tuttavia tenuto a precisare che un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato, che contenga apprezzamenti sulla colpevolezza della persona indagata, viola “in maniera eclatante” il suo diritto di difesa, il suo diritto al contraddittorio e il principio della presunzione di non colpevolezza.
I fatti di causa
Con ordinanza del 21 novembre 2022, il Tribunale ordinario di Lecce, sollevava in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, commi secondo e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che, anche in caso di richiesta di archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il pubblico ministero debba darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, estendendo a tale ipotesi la medesima disciplina prevista per il caso di archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto, anche sotto il profilo della nullità del decreto di archiviazione emesso in mancanza del predetto avviso e della sua reclamabilità dinanzi al Tribunale in composizione monocratica".
La questione riguarda un magistrato indagato dalla Procura della Repubblica di Lecce in seguito alle dichiarazioni di un imprenditore, il quale lo aveva accusato di avere incassato ingenti somme di denaro in cambio della risoluzione, in termini favorevoli, di una serie di controversie con l’Agenzia delle entrate.
Dopo aver appreso dalla stampa le accuse rivolte nei propri confronti dall’imprenditore, il magistrato denunciava quest’ultimo per calunnia.
Il 29 settembre 2021 il GIP emetteva decreto di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato e, così come previsto dalla legge, né la richiesta di archiviazione, né il successivo decreto di archiviazione venivano comunicati all’indagato.
Il magistrato formulava al pubblico ministero e al GIP dichiarazione di rinuncia alla prescrizione per tutti i reati ipotizzati nei propri confronti, chiedendo altresì che non fosse emesso il decreto di archiviazione, ma il pubblico ministero gli comunicava il non luogo a provvedere sulla sua istanza, poiché il GIP aveva ormai disposto l’archiviazione.
Il magistrato, di conseguenza, proponeva reclamo al Tribunale, ai sensi dell’art. 410-bis cod. proc. pen., avverso il decreto di archiviazione emesso nei propri confronti, assumendone l’illegittimità per violazione del principio del contraddittorio.
Egli, infatti, non era mai stato posto in condizione di esercitare il proprio diritto a rinunziare alla prescrizione, e dunque a esercitare il proprio “diritto al processo” e, quindi, alla prova della sua innocenza, in contrasto con l’art. 24 Cost., e con l’art. 27, comma 2, della Costituzione che prevedono il diritto di difesa e la presunzione di innocenza.
Ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione nei termini sopra descritti, limiterebbe il diritto dell’indagato a rinunciare alla causa estintiva, e pertanto violerebbe:
– l’art. 3 Cost., "creando evidente disparità di trattamento rispetto a chi ben può agevolmente avvalersi del diritto di rinuncia alla prescrizione soltanto perché la maturazione della causa estintiva casualmente coincide con una diversa fase processuale», nonché rispetto alla persona sottoposta alle indagini nei cui confronti venga richiesta l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, che deve essere invece avvisata della richiesta di archiviazione";
– l’art. 24, secondo comma, Cost., "in quanto la rinuncia o meno alla prescrizione rientra in una precisa scelta processuale dell’indagato/imputato formulabile in ogni stato e grado del processo ed esplicativa del proprio inviolabile diritto di difesa inteso come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova";
– l’art. 111, commi secondo e terzo, Cost., "attesa l’elusione del contraddittorio con l’indagato necessario ad assicurargli la piena facoltà di esercitare i suoi diritti, tra cui quello alla rinuncia alla prescrizione".
La sentenza della Corte costituzionale
Secondo la Corte costituzionale, nel merito, le questioni sollevate non sono fondate.
Secondo il giudice a quo, infatti, non solo l’imputato, ma anche la persona sottoposta alle indagini sarebbe titolare di un diritto, di rango costituzionale, a rinunciare alla prescrizione, e a ottenere un giudizio sul merito dei fatti che hanno formato oggetto delle indagini.
Tale diritto discenderebbe dal diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.) e dal diritto al contraddittorio (art. 111, commi secondo e terzo, Cost.), in base al quale dovrebbe essere garantito alla persona sottoposta a indagini di poter sempre ottenere una "verifica di merito" sulla notitia criminis su cui si sono fondate le indagini preliminari.
La Corte costituzionale ha premesso che, recependo gli orientamenti giurisprudenziali della stessa Consulta, il legislatore del 2005, nel riscrivere l’art. 157 del codice penale, ha espressamente precisato al settimo comma che "la prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato".
Il riferimento testuale, ha chiarito la Consulta, "è qui soltanto all’imputato, e dunque a colui nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale ai sensi dell’art. 60, comma 1, cod. proc. pen.".
Questo, tuttavia, non escluderebbe, secondo la Corte, la possibilità di estendere in via ermeneutica alla persona sottoposta alle indagini il diritto di rinunciare alla prescrizione, anche in considerazione del fatto che l’art. 61 cod. proc. pen. dispone in via generale che "i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari" (comma 1), e che "alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all’imputato, salvo che sia diversamente stabilito" (comma 2).
Questa regola, tuttavia, secondo la Consulta, non può essere considerata applicabile al codice penale con riferimento alla prescrizione, che ha natura sostanziale.
La Corte ha poi continuando analizzando la giurisprudenza costituzionale sul punto e affermando che la ratio essenziale delle pronunce con le quali si è riconosciuto all’imputato il diritto costituzionale di rinunciare all’amnistia e alla prescrizione riposa "sulla necessità di consentire all’imputato medesimo di tutelare il proprio onore e la propria reputazione contro il pregiudizio rappresentato da un’accusa formalizzata nei suoi confronti".
Secondo la Corte, tuttavia, tale diritto non pare debba "in ogni caso estendersi anche alla fase precedente all’esercizio dell’azione penale".
Questo poiché "la mera iscrizione nel registro delle notizie di reato che consegue all’acquisizione di una notitia criminis non implica ancora che il pubblico ministero abbia effettuato alcun vaglio, per quanto provvisorio, sulla sua fondatezza: tant’è vero che l’art. 335-bis cod. proc. pen. esclude oggi espressamente qualsiasi effetto pregiudizievole di natura civile o amministrativa per l’interessato in ragione di tale iscrizione, la quale è un atto dovuto una volta che il pubblico ministero abbia ricevuto una notizia di reato attribuita a una persona specifica.
Più in generale, l’iscrizione nel registro è – e deve essere considerata – atto “neutro”, dal quale sarebbe affatto indebito far discendere effetti lesivi della reputazione dell’interessato, e che comunque non può in alcun modo essere equiparato ad una “accusa” nei suoi confronti".
La Corte ha inoltre affermato di essere ben consapevole dei danni che possono derivare all'imputato dall'iscrizione nel registro degli indagati: "Al riguardo, va sottolineato come l’interessato disponga anzitutto dei mezzi ordinari a difesa della propria reputazione – a cominciare dalla denuncia e/o querela per calunnia e diffamazione aggravata, sino all’azione aquiliana – contro qualsiasi privato che lo abbia ingiustamente accusato di avere commesso un reato, nonché contro ogni indebita utilizzazione, da parte dei media, degli elementi di indagine e dello stesso provvedimento di archiviazione, così da presentare di fatto la persona come colpevole".
Inoltre, "un elementare principio di civiltà giuridica impone che tutti gli elementi raccolti dal pubblico ministero in un’indagine sfociata in un provvedimento di archiviazione debbano sempre essere oggetto di attenta rivalutazione nell’ambito di eventuali diversi procedimenti (civili, penali, amministrativi, disciplinari, contabili, di prevenzione) in cui dovessero essere in seguito utilizzati, dovendosi in particolare assicurare all’interessato le più ampie possibilità di contraddittorio, secondo le regole procedimentali o processuali vigenti nel settore ordinamentale coinvolto.
E ciò tenendo sempre conto che durante le indagini preliminari la persona sottoposta alle indagini ha possibilità assai limitate per esercitare un reale contraddittorio rispetto all’attività di ricerca della prova del pubblico ministero e ai suoi risultati (riassunti o meno che siano in un provvedimento di archiviazione), i quali dunque non potranno sic et simpliciter essere utilizzati in diversi procedimenti senza che l’interessato possa efficacemente contestarli, anche mediante la presentazione di prove contrarie".
In pratica, l'indagato ha sempre la possibilità di azionare gli altri mezzi di tutela predisposti dall'ordinamento a garanzia della propria reputazione, di conseguenza non è necessario estendere allo stesso le stesse garanzie a tutela del contraddittorio previste per l'imputato.
Tutto ciò premesso, la Corte ha comunque tenuto a precisare che un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato, ove siano espressi apprezzamenti sulla colpevolezza della persona indagata, viola “in maniera eclatante” il suo diritto di difesa, il suo diritto al contraddittorio e il principio della presunzione di non colpevolezza.
La Corte ha infine dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, commi secondo e terzo, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecce, sezione seconda penale.