I recenti attacchi tra Hamas e Israele gettano luci e ombre sui principi del diritto internazionale e sul ruolo delle Nazioni Unite negli scenari di guerra.
L’opinione pubblica sembra spaccata tra chi difende le ragioni della guerra preventiva palestinese e chi invece invoca la legittima difesa israeliana sollecitata da una guerra (forse) inaspettata.
Nel diritto internazionale, la reazione di uno Stato a un’aggressione illecita ricevuta risponde all’esigenza di autotutela, ovvero il farsi giustizia da sé per difendere il proprio territorio, la sicurezza e preservare i cittadini.
Mentre nel diritto interno parlare di legittima difesa significa riferirsi a una circostanza eccezionale e ammissibile solo entro certi limiti, nel diritto internazionale questa rappresenta invece una regola conclamata.
Gli unici limiti imposti allo Stato che intenda ricorrere all’autotutela sono il divieto di ricorrere alla minaccia e all’uso della forza, come previsto dall’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite.
Vediamo cos’è il principio di legittima difesa nel diritto internazionale.
Le fonti della legittima difesa nel diritto internazionale
Il principio della legittima difesa è stato codificato per la prima volta all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite del 1945, disponendo che:
“Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.
La norma regolamenta per la prima volta il diritto naturale dello Stato di ricorrere alla legittima difesa individuale o collettiva, a partire dal momento in cui uno Stato membro delle Nazioni Unite subisca un attacco armato e finché il Consiglio di Sicurezza ONU non abbia predisposto le misure necessarie ad assicurare la pace e la sicurezza internazionale.
Tutte le misure a cui gli Stati facciano ricorso per esercitare la legittima difesa, devono essere comunicate tempestivamente al Consiglio di Sicurezza e possono mantenersi solo fino al suo intervento per ristabilire la pace.
Prima dell’avvento della Carta delle Nazioni Unite, la necessità di difendersi da un attacco illegittimo sferrato dal nemico, rappresentava una consuetudine: minacciare uno Stato significava attentare al suo diritto di sovranità riconosciuto a livello internazionale e ciò lo legittimava a ricorrere alla guerra come arma di difesa utilizzando qualunque mezzo – anche se sproporzionato e illegittimo rispetto all'attacco ricevuto – pur di preservare la propria esistenza.
Questa consuetudine portava a giustificare le condotte degli Stati che, nonostante contrarie agli obblighi internazionali, si appellavano alle necessità di “self-defense” e “self-preservation”, ovvero l’esigenza di difendere la sicurezza, l’integrità territoriale e l’incolumità dei propri cittadini.
Nel corso del tempo è diventata stringente l’esigenza di regolamentare il ricorso alla legittima difesa che spesso diventava la motivazione scelerata richiamata dagli Stati.
Le Convenzioni del XX secolo, anche alla luce della tragicità della Seconda Guerra Mondiale, hanno sancito definitivamente la rinuncia alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, sfociando nell’esplicito divieto di cui all’art. 2, pa. 3 e 4 della Carta delle Nazioni Unite:
“3. I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo.
4. I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.
I presupposti della legittima difesa nel diritto internazionale
Il diritto internazionale è chiaro nel fissare le condizioni entro cui è possibile parlare di legittima difesa in tempo di guerra, a dirlo è proprio l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Il principio di legittima difesa incontra un unico presupposto, ovvero l’esistenza di un attacco armato in atto.
L’aggressione che legittima lo Stato a ricorrere all’autodifesa può essere sia l’offesa mossa dall’esercito regolare dello Stato-aggressore, sia qualunque altra operazione di attacco per cui siano stati ingaggiati mercenari, bande irregolari e terroristi.
La legittima difesa, quindi, può essere solo la risposta a un attacco armato ricevuto e mai una reazione alla manifestazione di forza fatta dal nemico per reagire a propria volta alla presenza di occupazione.
Inoltre, la legittima difesa deve essere necessaria e proporzionata: vale a dire che il contro-attacco è l’unica risorsa disponibile per garantire la sicurezza dei cittadini e il proprio diritto di sovranità, ma anche che non può esorbitare il tipo di attacco ricevuto (ndr., se si viene attaccati da una freccia, non si può rispondere con la bomba atomica).
I limiti e le controversie della legittima difesa nel diritto internazionale
L’uso della legittima difesa non può essere indiscriminato e non può essere invocato per qualsivoglia tipo di attacco ricevuto.
Secondo la Carta delle Nazioni Unite, infatti, sono esplicitamente vietati la minaccia e l’uso della forza armata: cerchiamo di spiegare cosa significano.
Minacciare un attacco o ricorrere materialmente all’uso della forza per mettere in una posizione di soggezione uno Stato più debole, rappresentano per prime delle condizioni che possono generare una reazione difensiva e ciò con il risultato di invertire la posizione dello Stato-aggressore con quella dello Stato-aggredito.
Tutti gli Stati infatti sono chiamati all’obbligo di risolvere i conflitti in maniera pacifica, ricorrendo quindi ad azioni diplomatiche e negoziati internazionali che possano mediare le reciproche richieste.
Nel corso del tempo, tuttavia, non sono mancate le controversie sul punto, ovvero se i limiti imposti alla legittima difesa codificati dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, potessero incontrare delle giustificazioni.
Una parte della dottrina ha sostenuto la liceità dell’uso della forza quando questa serva per scopi umanitari oppure contro minacce terroristiche, ovvero:
- proteggere la vita dei propri cittadini durante le tensioni in uno Stato straniero, come nel caso dell’attacco degli Stati Uniti a Teheran nel 1980 per salvare il personale diplomatico americano tenuto in ostaggio;
- per fermare le atroci violazioni dei diritti umani perpetrate dagli Stati, pensiamo all’intervento dei paesi NATO nel corso del massacro in Kosovo;
- reagire contro gli Stati che stabiliscono gruppi terroristici nei confini nazionali, come nel caso della campagna militare in Afghanistan da parte degli Stati Uniti all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.
Il ruolo del Consiglio di Sicurezza
E’ innegabile il riconoscimento a livello mondiale che assume l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nonostante le critiche a proposito della portata vincolante delle sue decisioni.
Come richiamato anche dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, il ricorso alla legittima difesa da parte dello Stato aggredito che intenda rispondere agli attacchi alla sua sovranità può essere protratto fino e non oltre l’intervento del Consiglio di Sicurezza ONU, che ha il compito di mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
L’intervento del Consiglio di Sicurezza si sostanzia nell'avvio di negoziati e mediazioni volti al raggiungimento di un accordo che concili le ragioni degli Stati; in caso di combattimenti, il Consiglio chiede il cessate il fuoco oppure, infine, per aiutare le popolazioni colpite, far rispettare la tregua o intervenire nel processo di ricostituzione della pace, invia i propri corpi speciali.
Tra gli interventi, assumono particolare importanza anche le sanzioni economiche imposte agli Stati aggressori e sotto forma di embargo sugli armamenti.