La sentenza n°3940/2024 del Consiglio di Stato, ha stabilito che le proroghe delle concessioni balneari per le spiagge, decise dal governo Meloni, non sono valide in quanto in contrasto con la direttiva europea Bolkestein sulla concorrenza.
Il tema delle concessioni balneari è quindi tornato in auge ancora una volta sia per l'inasprirsi dello scontro politico, anche in vista delle elezioni europee dell'8 e 9 giugno, sia per l’avvicinarsi dell’imminente stagione estiva.
Ma andiamo con ordine
I Passaggi salienti della vicenda
In origine una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, aveva ritenuto illegittimo, nell’ormai lontanissimo 2016 il sistema di proroga automatica delle concessioni balneari italiane, poiché non conforme al diritto sovranazionale e in particolare alla famosa direttiva Bolkestein (2006/123/CE).
Utile sarebbe ricordare che, con l’adesione dell’Italia alla Comunità economica europea dal 1957 e poi all’Unione Europea dal 1993, lo Stato italiano – così come gli altri Stati membri – ha attribuito alcune delle proprie funzioni all’Unione Europea, limitando pertanto la propria sovranità in alcuni ambiti a favore dell’ordinamento sovranazionale (ossia quello dell’UE se non è chiaro).
In parole semplici, si parla da un lato di principio di attribuzione, su cui si fonda l’ordinamento sovranazionale, e dall’altro di principio del primato del diritto sovranazionale sul diritto interno, fatto salvo il limite dei principi fondamentali della Costituzione (il cosiddetto “nocciolo duro”).
Nel 2018, la legge n. 145 varata dal primo Governo Conte, disattendeva la sentenza della Corte di Giustizia, prevedendo la proroga automatica e generalizzata delle concessioni balneari in essere fino al 31.12.2033.Nel 2021 questa legge fu oggetto di due sentenze gemelle del Consiglio di Stato in adunanza plenaria le quali affermarono che la proroga automatica delle concessioni balneari già rilasciate risulta “tamquam non esset” (ossia come non esistesse), dal momento che, come detto poco più su, in accordo con l’adesione all’Unione Europea, le leggi nazionali che dispongono – o disporranno – la proroga automatica contrastano con l’ordinamento dell’Unione Europea e, in quanto tali, non devono essere applicate né dalla Pubblica Amministrazione, né dai giudici.
Quindi, ad esempio, le proroghe disposte dai Comuni non potrebbero produrre effetto, in quanto derivanti da una legge inapplicabile.
Con legge 118 del 2022 con il governo Draghi, vennero recepiti gli effetti delle sentenze dell’Adunanza Plenaria e della Corte di Giustizia, concedendo ai balneari la possibilità di un anno di “proroga tecnica” della concessione, quindi fino al 31.12.2024.2024 con il decreto cosiddetto milleproroghe il governo Meloni ha stabilito un'ulteriore proroga del termine delle concessioni in essere al 31.12.2025.
Sentenza n. 3940/2024 del Consiglio di Stato
Questo breve ma necessario riepilogo è servito per inquadrare la situazione ad oggi ed arrivare al 30 aprile 2024, data di pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato (n. 3940/2024), con la quale è stata confermata la scadenza del termine delle concessioni balneari al 31.12.2023, obbligando così le amministrazioni comunali a disapplicare eventuali deroghe al 31.12.2024.
Con questa sentenza si ribadisce in altre parole l’immediata necessità di ricorrere alle procedure di gara pubblica, che assicurano pari trattamento tra i soggetti economici potenzialmente interessati, per assegnare le concessioni demaniali che presentino determinate caratteristiche (come la scarsità della risorsa naturale) e soprattutto rispettare la concorrenza nonchè la normativa europea, altrimenti si rischiano notevoli sanzioni.
Cosa si intende per scarsità della risorsa naturale?
L’art. 12 della direttiva Bolkestein ravvisa nella scarsità della risorsa naturale uno dei presupposti necessari per negare la possibilità di rinnovare in via automatica le concessioni in oggetto e quindi imporre il ricorso alla gara pubblica.
La sua definizione è però piuttosto fumosa, tanto da lasciare un certo margine interpretativo in capo agli Stati membri circa le modalità con cui valutarne la sussistenza, seppure affidandosi a criteri oggettivi e trasparenti.
Ad esempio, i giudici nazionali hanno inteso la scarsità della risorsa naturale come limite ontologico, ossia il trattarsi di un bene per sua natura destinato a essere limitato sia per numero sia per estensione.
Altri invece hanno valorizzato anche l’aspetto qualitativo, oltre a quello quantitativo, da intendere come la capacità della risorsa di attrarre potenziali concorrenti.
La Corte di Giustizia, tornata sul tema nel caso Ginosa del 2023, ha affermato che la scarsità della risorsa naturale va valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero a livello locale.
I presupposti per l’attuazione dell’art. 12 della Direttiva n. 2006/123/Ce
Per quanto attiene la Direttiva servizi, ovvero la Dir. 2006/123/Ce è importante capire che la Corte ha precisato cosa significhi “regime di autorizzazione” per la direttiva Direttiva Bolkenstein“ e da tempo, la giurisprudenza europea (come pure quella nazionale) ha chiarito che i principi posti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sono di applicazione generale, tali da dover essere osservati in relazione a qualsiasi tipologia contrattuale.
Da ciò ne deriva che non solo per quanto riguarda gli appalti di lavori, servizi e forniture (che sono disciplinati in modo specifico dalla Dir. N. 2014/23/UE), ma anche per le concessioni di beni pubblici di rilevanza economica, nonché per le concessioni di appalti e servizi sotto soglia comunitaria, i predetti principi devono trovare concreta e diretta applicazione” .
La Corte, richiamando l’art. 6 della direttiva n. 2006/123, ha precisato che per “regime di autorizzazione”, si intende: “qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio”.
Considerando poi l’importanza del ruolo rivestito dalla direttiva, la Corte, ha richiamato integralmente l’art. 12 della Dir. N. 2014/23/UE, avente ad oggetto l’aggiudicazione dei contratti di concessione.
Ed è stato oggetto di attenzione da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea anche l’art. 15 della Dir. n. 2014/23/UE, riguardante la materia dell’aggiudicazione delle concessioni, con riguardo al diritto comunitario.
Nel nostro paese, in presupposti su cui si fonda la normativa delle concessioni demaniali marittime, sono tre:
- la preferenza accordata a chi è già titolare della concessione stessa;
- il periodo esteso della concessione (sino a venti anni);
- la proroga incontrollata allo scadere ciclico dei sei anni.
Vediamo che l’art. 16 del D.L. 26 marzo 2010, n. 59, al primo comma, prevede che nella concessione di autorizzazioni per attività terziarie, le quali siano quantitativamente esigue, in virtù della “scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili”,sorga l’obbligatorietà di procedure di selezione sufficientemente pubblicizzate”.
Và posta attenzione poi anche al comma 4 dello stesso articolo 16 del D.L. 26 marzo 2010, n. 59, il quale escludei la possibilità che “al prestatore (concessionario) uscente o ad altre persone a questi legate da particolari legami”, sia consentito attribuire qualsiasi tipo di beneficio, nello specifico il cd. diritto d’insistenza.
Dunque, presupposta l’obbligatorietà della gara (art. 12, par. 1), con riferimento alla quale, la Corte, richiamando l’antecedente argomento n. 43 della sentenza, ribadisce la competenza del magistrato nazionale nell’applicare i principi, i giudici hanno esaminato la questione della durata temporale della concessione (art. 12, par. 2), insieme con quello delle eccezioni ammesse (art. 12, par. 5).
La Corte ha quindi statuito che una legge nazionale la quale contempla un rinnovo, ai sensi di legge, del periodo di scadenza delle concessioni corrisponde a una loro proroga automatica.
Questo è negato dal par. 2 dell’art. 12.
Ai ricorrenti che affermano come il rinnovo sia motivato dal bisogno di ammortizzare gli investimenti fatti, la Corte controbatte e ribadisce che l’art. 12, par. 3, contempla, esplicitamente, l’opportunità che i Paesi, nella determinazione dei criteri per la procedura di selezione, tengano in considerazione gli interessi generali.
A ciò si aggiunga che la protezione dell’affidamento di chi ha investito necessiterebbe della prova, di volta in volta, che il soggetto titolare della concessione poteva aspettare, in maniera legittima, la proroga della propria concessione, al punto di fare i connessi investimenti.
La Corte in ogni caso ritiene che tale giustificazione non è sufficiente a giustificare un rinnovo automatico previsto legislativamente, e pertanto, attribuito, senza distinzione alcuna, a tutti i rinnovi di concessioni demaniali di talchè il collegio ritiene, in conclusione, che:
- “una legislazione domestica, la quale contempli un rinnovo automatico delle concessioni marittime e lacuali esistenti, per finalità turistico – ricreative, senza una qualche procedura selettiva tra i possibili concorrenti, sia impedita dalla presenza di una normativa comunitaria come quella contemplata dall’art. 12, parr. 1,2,3, della Dir. n. 2006/123,
- La decisione poi tratta, unitamente, quelle che sono le questioni rimesse dai T.a.r. nazionali, con le quali viene domandato se gli artt. 49, 56 e 106 del T.F.U.E. siano di impedimento alla legislazione domestica la quale prevede il rinnovo in questione”.
Il collegio ha comunque premesso che le norme nazionali vadano valutate, non tanto, con riferimento alla legislazione comunitaria primaria, quanto a quella secondaria, come, ad esempio: regolamenti e direttive, tenendo in conto anche la circostanza che gli articoli da 9 a 13 della Dir. n. 2006/123 concretizzano, già, un’armonizzazione completa riguardante i servizi, nella stessa regolamentati.
Ciò detto, le pregiudiziali riguardanti l’interpretazione del diritto primario si presentano, unicamente, “nella misura in cui l’art. 12 della citata direttiva non sia applicabile ai procedimenti principali” e come già accennato al punto 43 della decisione, lo stesso è un requisito che va indagato da parte dello stesso organo giudicante nazionale.
In base a tali premesse, il Collegio ha esaminato le questioni sottoposte alla propria cognizione.
Frattanto, le autorizzazioni di cui alle procedure primarie sicuramente sono ricomprese all’interno dell’art. 49 TFUE, in considerazione del fatto che le stesse fanno riferimento ad un diritto di stabilimento nel territorio del demanio, riservato all’utilizzazione commerciale per scopi turistico-ricreativi.
La conseguenza è che le norme del TFUE e, specificamente, il principio di non discriminazione nei procedimenti di assegnazione, devono essere osservati dagli enti pubblici.
Il Collegio nella sua decisione precisa che il suddetto principio riveste uno specifico rilievo nel momento in cui l’autorizzazione abbia un coinvolgimento cross-border sicuro, che va interpretato, quale considerevole opportunità per aziende che abbiano la sede principale dei propri affari e interessi, in Stati diversi da quello dell’amministrazione aggiudicatrice.
L’esistenza di un coinvolgimento cross-border sicuro deve essere verificato, prendendo in considerazione tutti i presupposti del caso.
Con riguardo al caso di specie, il Collegio ha sostenuto che le istruzioni date dal tribunale rimettente, nel giudizio C-458/14 permettono di sostenere che l’autorizzazione in oggetto ha un coinvolgimento transfrontaliero certo.
La difesa del Governo italiano, viene poi analizzata nel punto in cui l’Italia adduce che i rinnovi sono legittimati dal bisogno di permettere agli imprenditori di ammortare i capitali impiegati.
Secondo il Collegio, il rispetto del principio della certezza di diritto, come, ad esempio, nell’ipotesi di autorizzazioni attribuite in un momento in cui i doveri di trasparenza nella procedura non valevano ancora, costituirebbe una condizione, affinché la cennata disparità di trattamento possa essere legittimata.
Alcuni in dottrina ritengono che la compatibilità del regime delle proroghe legali delle autorizzazioni demaniali marittime con il diritto comunitario e, per di più, come le suddette concessioni non siano regolamentate dalla direttiva servizi.
Molteplici appunti possono essere mossi alla suddetta argomentazione.
Bisogna premettere, poi, come l’applicazione generalizzata dei principi comunitari a tutela del buon svolgimento del mercato unico sia stata, già, attestata, da tempo, dalla giurisprudenza amministrativa.
Ci si riferisce a principi, affermati, da tempo, dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale ha statuito come la regolamentazione del rinnovo automatico costituisca un impedimento all’entrata di diversi possibili imprenditori, creando ostacoli alla sua crescita tali da modificare il mercato.
Come affermato dalla Corte di Giustizia, la direttiva servizi è self executing, ossia auto esecutiva.
Successivamente, i potenziali candidati scartati, seppure soltanto dalla presenza alla gara – per via dei rinnovi automatici susseguitisi – potrebbero appellarsi, tutt’al più, al principio della certezza del diritto.
Riflessioni conclusive
In conclusione, in considerazione degli argomenti suindicati, la previsione normativa che contempla un rinnovo automatico delle autorizzazioni esistenti è, dunque, ritornando sulla sentenza in oggetto, incompatibile con la Dir. Servizi n. 2006/123.
Conseguentemente e inevitabilmente, la scelta del concessionario di un bene del demanio, avente rilevanza economica, sottostà ai principi comunitari, e, pertanto, va espletata al termine di una procedura di selezione di carattere pubblicistico, la quale assicuri l’apertura al mercato e la concorrenza tra gli imprenditori economici.
Per ultimo, appaiono non agevolmente presumibili, metodi di selezione concorsuali nei quali, a fianco a operatori economici, aventi proprie scritture contabili e relativa autonomia privata, prendano parte enti pubblici non economici (in ogni caso con soldi statali e con il connesso vincolo di rendicontazione), che beneficino, in egual modo, di simile “autonomia gestionale e libertà di contrattazione”.
Ulteriori episodi di questa saga sono sicuramente ancora da scrivere, fintantoché il settore non verrà regolamentato e quindi si fornirà certezza giuridica per tutti i soggetti coinvolti.