2 Agosto 2024
9:00

L’autonomia differenziata spaccherà l’Italia? Ecco cosa potrebbe accadere

L'autonomia differenziata è realtà. Il rischio è quello di creare "tanti staterelli". Chi è a favore sostiene che le Regioni possano fare meglio dello Stato.

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L’autonomia differenziata spaccherà l’Italia? Ecco cosa potrebbe accadere
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L'autonomia differenziata è realtà e nei prossimi anni, salvo cambi di rotta, potrebbe incidere molto sul funzionamento del nostro Paese. Il rischio principale è quello di creare tanti "piccoli staterelli" con regole diverse tra di loro, con conseguente crescita della complessità della burocrazia. Al contrario, chi è favorevole all'autonomia differenziata, sostiene che ci sarà la possibilità per le singole Regioni di gestire al meglio le materie in cui si sentono più capaci.

Cos'è l'autonomia differenziata

Autonomia differenziata significa che una regione può chiedere di gestire in autonomia alcune materie. Si parla di autonomia "differenziata" e non "normale" in quanto ogni Regione potrà decidere quali materie gestire e, quasi sicuramente, saranno tutte diverse l'una dalle altre. Infatti, le Regioni potranno scegliere quali materie gestire autonomamente fino ad un massimo di 23 e tra queste ci sono: istruzione, energia, ambiente, trasporti, cultura, tutela della salute e via di seguito. È bene chiarire che alcune materie, di interesse nazionale, resteranno saldamente nelle mani dello Stato, senza possibilità di delega. Come la difesa, la politica estera e l’immigrazione.

Cosa cambia rispetto a oggi

  

Oggi lo Stato riceve i soldi del gettito fiscale, cioè i soldi che arrivano dalle tasse e dalle imposte, e decide come ridistribuirli su tutto il territorio nazionale in base alle esigenze di ogni Regione, per garantire i servizi alla popolazione. Ora, invece, le Regioni che chiederanno l’autonomia potranno riottenere dallo Stato parte del gettito fiscale generato nella propria Regione per autogestire le materie che vorranno.

Questo, quindi, non significa che le Regioni tratterranno per sé stesse i soldi incassati dal pagamento delle "tasse". Ma, significa che queste entrate andranno comunque versate allo Stato, che poi le ridistribuirà in base ai singoli accordi fatti tra Stato e Regioni.

Facciamo un esempio: se una Regione volesse gestire tutte e 23 le materie in autonomia, magari chiederà allo Stato di riavere indietro il 90% delle entrate dell’Irpef. A quel punto lo Stato, verosimilmente, rifiuterà e proporrà una controproposta.

Conseguenze dell'autonomia differenziata: cosa sono i LEP

Le regioni più ricche non dovrebbero venire avvantaggiate dall'autonomia a discapito delle regioni meno ricche. Questo, perché lo Stato è costretto a garantire a tutte le persone i servizi essenziali. Ed è proprio qui che entrano in gioco i LEP, o meglio, i “Livelli essenziali delle prestazioni”, cioè dei requisiti minimi, stabiliti dallo Stato, necessari per garantire i servizi in tutte le Regioni. Una cosa molto importante da sapere è che se i LEP non verranno raggiunti in tutte le regioni, nessuna Regione potrà chiedere l'autonomia per una determinata materia.

Facciamo un esempio: mettiamo caso che lo Stato stabilisca come LEP per l’istruzione che ogni Regione deve avere almeno 10 scuole. Ecco, se tutte le Regioni non hanno almeno 10 scuole, nessuna Regione potrà avere l’autonomia sull’istruzione. Nemmeno se ce ne fosse una che ne ha 100.

Questo ci dice una cosa fondamentale: senza i LEP, che al momento in cui scriviamo non sono ancora stati definiti (ma che il Governo dovrà definire entro 24 mesi ) l’autonomia differenziata non potrà partire. O almeno, non potrà partire per quelle materie che richiedono i LEP. Infatti, delle 23 materie per cui si può ottenere l’autonomia, 14 richiedono i LEP: istruzione, ambiente, energia e tutela della salute sono tra queste. Mentre, per le altre 9 che non richiedono i LEP le Regioni possono già chiedere l’autonomia. Parliamo, per esempio, dell’organizzazione della giustizia di pace, del commercio con l’estero e della protezione civile.

Inoltre, l’autonomia non sarà irreversibile e anche con tutte le condizioni rispettate non sarà immediata. Deve prima essere approvata e concessa dallo Stato, e dopo 10 anni ricontrattata.

Questo per dire che lo Stato non se ne potrà lavare le mani, deve e dovrà garantire servizi ai cittadini. Lo vuole la Costituzione. Infatti, grazie alla cosiddetta “clausola di salvaguardia”, lo Stato potrà riprendere il “controllo” di determinate materie e sostituirsi alle Regioni, se necessario.

Autonomia differenziata: pro e contro

Per quale motivo una Regione dovrebbe chiedere l'autonomia in una materia? Una Regione potrebbe chiedere l’autonomia se in una certa materia si sente più brava dello Stato e ritiene di poterla gestire meglio, generando quindi più crescita economica in quel settore e/o offrire servizi migliori ai cittadini. Il principio della Legge è questo: i politici locali dovrebbero conoscere le esigenze del proprio territorio meglio dello Stato.

Come funziona l’autonomia differenziata

Facciamo un esempio: una Regione chiede l’autonomia sull’istruzione. Se ottiene il via libera dallo Stato, questa Regione potrà decidere quanto pagare le lavagne, dove comprarle, quanto pagare gli insegnanti, quanti assumerne e via di seguito.

Ora si potrebbe pensare: ma se una Regione più ricca dovesse pagare di più gli insegnanti, come faranno le Regioni meno ricche a competere? Non è che le regioni che offrono stipendi più bassi rischiano di restare senza insegnanti? Il rischio c'è ed è proprio uno dei punti critici dell’autonomia differenziata evidenziati da chi è contro a questa Legge.

Le criticità dell'Autonomia Differenziata

Una delle prime critiche è che l’autonomia differenziata rischia di creare tanti “piccoli staterelli” dentro lo Stato stesso. Potrebbe diventare un caos burocratico. Pensate a un’azienda che lavora in più Regioni, perché magari ha più sedi, e si ritrova a dover gestire i propri business con mille regole diverse per ogni singola Regione. Questo si tradurrebbe in costi più elevati da sostenere per l’azienda, danneggiando l’intera economia.

Un’altra criticità è che si rischia di creare ulteriori squilibri tra le Regioni. Pensiamo a quello che dicevamo prima: se io Regione ricca offro stipendi più alti (agli insegnanti, per esempio) rispetto a quelli che possono offrire Regioni meno ricche, il risultato sarà un’emigrazione da Sud a Nord ancora più forte di adesso.

Nel lungo termine questo potrebbe compromettere la produttività del Paese. E considerando che i salari reali sono di fatto fermi da trent’anni, rischiamo di aggravare la situazione. Inoltre, potremmo anche ridurre di riflesso la competitività delle nostre imprese rispetto a quelle estere, perché meno produttive.

La conseguenza potrebbe anche essere una riduzione del PIL, e se il PIL cala è un problema per tutti, nessuna Regione esclusa. Inoltre, questo aggraverebbe ulteriormente la disuguaglianza tra le varie zone d’Italia e renderà sempre più difficile risolvere i problemi. Questo perché: meno soldi = meno investimenti.

Poi, un altro problema è quello delle cosiddette “economia di scala”. Fatta semplice, e restando sempre sull’istruzione, è un fenomeno per cui se è lo Stato a comprare per tutti le scrivanie e i banchi, otterrà condizioni migliori rispetto a se lo facesse ogni singola Regione. Questo perché, verosimilmente, lo Stato comprerà da una singola azienda e non da tante aziende diverse, ottenendo condizioni più favorevoli. Pensiamoci un attimo: può ottenere più sconto un soggetto che acquista 100 banchi o uno che ne compra 10? Ovviamente chi ne compra 100.

Comunque, al momento l’autonomia differenziata a livello pratico non è di fatto ancora quasi nulla. Perché occorre definire i LEP di cui parlavamo prima. E poi perché per poterla attuare serve finanziare i LEP in tutte le Regioni. Tradotto: servono fondi. E anche qui, altro punto critico: la definizione dei LEP potrebbe comportare nuovi o maggiori costi per lo Stato, è scritto nel testo del ddl Calderoli, all'articolo 4. Quindi, l'autonomia differenziata potrebbe non essere "a costo zero" per lo Stato.

Inoltre, una volta definiti i LEP, ci sarà tutto un iter da seguire. Le richieste dovranno partire dalle Regioni che vogliono l’autonomia, a quel punto andrà raggiunta un’intesa tra Regioni e Stato entro 5 mesi. E, l’intesa, che poi di fatto è l’autonomia, durerà massimo 10 anni. Poi, dovrà essere rinnovata. Realisticamente, prima del 2026 le Regioni difficilmente potranno ricevere autonomia su quelle materie che richiedono i LEP.

Cosa succede se una Regione non rispetta i LEP

Lo Stato non se ne potrà lavare le mani, perché deve e dovrà garantire i servizi alle persone. Lo vuole la Costituzione. Infatti, grazie alla cosiddetta “clausola di salvaguardia” prevista all’Articolo 120 della Costituzione, lo Stato potrà sostituirsi alle Regioni, se necessario.

L’autonomia differenziata è incostituzionale?

Per rispondere a questa domanda bisogna tornare indietro al 2001, quando ci fu la riforma del Titolo V, e successivo referendum costituzionale.

Questa riforma è arrivata in un momento in cui nel nostro Paese le spinte autonomiste di diverse Regioni erano molto forti. In molti volevano il federalismo, un po’ come negli USA o in Germania. Invece, il Governo di centrosinistra dell’epoca, per l’esattezza il Governo Amato, optò sì per dare la possibilità alle Regioni di avere più autonomia, ma senza dare loro la possibilità di gestire tutto a proprio piacimento.

I referendum ci fu perché quando si prova a modificare la Costituzione, se non si raggiunge la maggioranza di almeno due terzi in Parlamento, serve un referendum “costituzionale”. Un po’ come accadde con la riforma costituzionale del Governo Renzi nel 2016. Ad ogni modo, il referendum del 2001 sull’autonomia lo vinse il “Sì” con il 64,2% dei voti.

Questo è importante da sapere perché oggi non si sta modificando la Costituzione, ma si sta “applicando” quella riforma basandosi sull’Articolo 116 della Costituzione. Quindi: no, l’autonomia differenziata non è incostituzionale.

Però, attenzione: l’AIC, ovvero l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, solleva più di qualche dubbio: il Parlamento, così com’è scritta la Legge, non ha voce in capitolo sulla definizione dei LEP, ma si limita solo a dire “sì o no”. Per capirci: è il Presidente del Consiglio che ha il potere di avviare il negoziato con una Regione e di approvare i LEP attraverso i DPCM: il Parlamento, però, non può intervenire sull’accordo tra Governo e Regioni, ma si limiterà a ratificare i DPCM col voto in aula.

L’Autonomia differenziata porterà il Sud a essere sempre più povero e il Nord sempre più ricco? 

Difficile dirlo. Perché dal punto di vista della burocrazia il rischio è quello di creare difficoltà alle imprese e ai cittadini in tutta Italia, tanto al Nord quanto al Sud. Però, il Sud potrebbe essere svantaggiato sulla questione degli stipendi. Cioè, se una Regione più ricca paga di più gli insegnanti, come dicevamo, nella Regione meno ricca chi ci rimane? Questo vale un po’ per tutti i settori ovviamente.

“Però ci sono i LEP, quindi le Regioni più povere non saranno lasciate indietro”, si potrebbe pensare. Il problema è che non è così semplice. Innanzitutto, perché in più di 20 anni (cioè da quando è stato riformato il famoso Titolo V) nessun governo è riuscito a definire i LEP.

Ma soprattutto, un esempio di LEP esiste già: stiamo parlando dei LEA, cioè i livelli essenziali di assistenza, attivati sin dal 2001 e che dovrebbero garantire un livello minimo della sanità in tutte le Regioni. Il problema è che, nonostante i LEA, alcune regioni sono rimaste (e rimangono tutt’ora) sotto il livello prestazionale che dovrebbe essere garantito, favorendo il fenomeno della “migrazione sanitaria”. Negli anni è addirittura successo che la sanità in alcune regioni è stata commissariata (cioè è intervenuto direttamente lo Stato). In molti, quindi, prendendo proprio come riferimento quello che è accaduto con i LEA, temono che le stesse criticità possano avvenire anche con i LEP.

In conclusione,  la questione è molto complessa e finché non saranno definiti i LEP è difficile fare previsioni. Al di là della propaganda che si sta facendo, sia tra chi è a favore dell’autonomia e chi è contro, è importante che passi bene questo concetto: parliamo di una Legge estremamente complessa, i cui effetti non sono prevedibili e che, con molta probabilità, saranno visibili solo dopo anni.

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Sasha Rizzo
Creator
Sono nato l’11 novembre del 1996 a Novi Ligure e ho la passione per l’economia fin da ragazzino. Infatti, ho frequentato ragioneria alle superiori e mi sono laureato a Genova in Economia Aziendale per poi specializzarmi in Management con la Magistrale. Oggi, con Lexplain ho unito la passione per l’economia a quella per la divulgazione.
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