La responsabilità medica, detta anche responsabilità sanitaria, fa riferimento a tutte quelle situazioni in cui il professionista sanitario è tenuto a rispondere dei danni causati a un paziente e dovuti a errori, omissioni o violazioni degli obblighi inerenti la prestazione sanitaria.
Il tema della responsabilità medica occupa una posizione centrale nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale da tempo.
La giurisprudenza ha fornito soluzioni non sempre univoche, nel tentativo, da un lato, di riconoscere al paziente la piena tutela del diritto alla salute, di cui all’art. 32 della Costituzione; dall’altro, di ricondurre il riconoscimento della responsabilità medica a parametri ben precisi, nel rispetto dei principi fondanti l’ordinamento.
Si tratta di una tematica controversa, anche poiché, sovente, si intrecciano profili relativi all’accertamento della responsabilità civile del medico con profili ulteriori relativi all’accertamento della responsabilità penale di costui.
Il legislatore è intervenuto in materia, con il preciso intento di sciogliere alcuni nodi interpretativi.
Prima di passare alla valutazione della responsabilità in ambito medico sia in ambito civile che penale, è opportuno riportare la definizione di “salute” offerta dal Glossario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) consultabile al seguente link.
Nel Glossario la salute è descritta come: “Uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’assenza di malattia o di infermità”.
Il diritto alla salute e la responsabilità medica nell’ordinamento italiano
La tutela della salute, nel nostro ordinamento, è contemplata in primo luogo dall'art. 32 della Costituzione ove è stabilito che: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
La legge 23 dicembre 1978, n.833 istitutiva del Servizio sanitario nazionale all’art. 1 stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale.La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana”.
Le ipotesi di responsabilità medica, nel nostro ordinamento, possono essere riferite, quanto alla responsabilità civile, alla responsabilità da inadempimento di cui all’art. 1218 e alla responsabilità da fatto illecito di cui all’art. 2043 del Codice civile.
Quanto alla responsabilità penale, possono venire in rilievo, ad esempio, le ipotesi di omicidio colposo o lesioni colpose, disciplinate nel Codice penale.
Va dato atto, sul punto, di un’evoluzione legislativa.
Con decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito in legge 8 novembre 2012, n. 189, (il cosiddetto decreto Balduzzi) all’art. 1, veniva stabilito che “L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
La cosiddetta legge Gelli-Bianco, ovvero la legge dell’ 8 marzo 2017, n. 24, è intervenuta nuovamente sul punto e ha previsto, all’art. 11: “La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività.
Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”.
Con la legge Gelli-Bianco, dunque, sono state previste le cosiddette linee guida cui il personale sanitario deve attenersi.
Viene inoltre inserito nel Codice penale l’art. 590 sexies, ove è previsto che in ipotesi in cui i reati di lesioni colpose e omicidio colposo siano commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo il caso in cui l'evento si sia verificato a causa di imperizia.
In questa ipotesi “la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Integrità fisica e trattamento sanitario: il consenso informato
L’integrità fisica è tutelata ex art. 5 del Codice civile: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume".
Per questo motivo è necessario che l’intervento dei sanitari sia coperto dal consenso validamente prestato.
Nella Costituzione, come ricordato, è stabilito che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non è stabilito dalla legge (art. 32 Cost.).
La liceità di ogni trattamento sanitario, dunque, presuppone il consenso informato.
Il consenso prestato, per essere valido, deve essere corredato da una serie di requisiti, che sono delineati dalla legge 22 dicembre 2017, n. 219.
All’art. 1 è specificato che: “E' promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
Inoltre, “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.
Il consenso deve essere scritto e prestato in modo consapevole.
Nell’ipotesi in cui il paziente rifiuti un determinato trattamento il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa; in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale.
La responsabilità medica in ambito penale
L’accertamento della responsabilità medica in ambito penale attiene alla valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo e oggettivo del reato ai fini dell’affermazione di un giudizio di colpevolezza relativo a un’azione o a un’omissione di un soggetto.
Le figure di reato che possono venire in rilievo in ipotesi di condotta medica caratterizzata da rilievo penale sono quelle, ad esempio, delle lesioni colpose o dell’omicidio colposo ovvero dell’omicidio preterintenzionale o addirittura dell’omicidio volontario.
Quest’ultima ipotesi, in particolare, è stata prospettata dai Giudici in relazione a un’attività medica esercitata non solo in assenza di consenso informato, ma anche in assenza di una reale necessità terapeutica.
Nella specie, si trattava di una Clinica in cui venivano effettuate operazioni inutili al fine di ottenere dei rimborsi.
In seguito a queste operazioni, morirono alcuni pazienti.
L’imputato veniva condannato per omicidio volontario commesso con dolo eventuale, in quanto il medico, a dire della Corte, aveva voluto l’evento morte accettando il rischio della verificazione del decesso del paziente.
La Corte di Cassazione penale, sez. V, con sentenza del 9 dicembre 2020, n. 34983 ha invece ribaltato l’esito del giudizio di appello.
La Cassazione, in particolare, ha sostenuto la configurabilità dell’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale, in quanto il soggetto, pur avendo effettuato operazioni inutili e rischiose, aveva agito non volendo l’evento morte, ma al solo scopo di trarre profitti indebiti.
Quanto alle ipotesi di responsabilità colposa del medico, vanno effettuate delle precisazioni in ordine alle modifiche apportate dalla legge Gelli-Bianco.
Sul punto si è espressa la Cassazione a sezioni unite, con sentenza del 22 febbraio 2018, n.870.
Per quanto riguarda la natura delle linee guida introdotte con la legge Gelli-Bianco, la Cassazione ha osservato che esse sono “un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un'accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti”.
Esse, sono “una guida per l'operatore sanitario, sicuramente disorientato, in precedenza, dal proliferare incontrollato delle clinical guidelines”.
Inoltre, le linee guida offrono “una plausibile risposta alle istanze di maggiore determinatezza che riguardano le fattispecie colpose qui di interesse”.
Per ciò che concerne l'articolo 590-sexies, per la Corte, la norma descrive “un presupposto per l'operatività della causa di non punibilità – quella del versare, il sanitario, nella situazione di avere cagionato per colpa da imperizia l'evento lesivo o mortale, pur essendosi attenuto alle linee-guida adeguate al caso di specie – che non è incongruente con la soluzione che promette. Le fasi della individuazione, selezione ed esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee-guida adeguate sono, infatti, articolate al punto che la mancata realizzazione di un segmento del relativo percorso giustifica ed è compatibile tanto con l'affermazione che le linee-guida sono state nel loro complesso osservate, quanto con la contestuale rilevazione di un errore parziale che, nonostante ciò, si sia verificato, con valenza addirittura decisiva per la realizzazione di uno degli eventi descritti dagli articoli 589 e/o 590 cod. pen”.
Per la Corte, la struttura del precetto ricalca quella dell'articolo 3 del decreto Balduzzi “il quale, allo stesso modo, ricavava un'area di irresponsabilità a favore del sanitario che, pur rispettoso ("si attiene") delle linee-guida, potesse riconoscersi in colpa nella causazione dell'evento lesivo dipendente dalla propria professione. Una struttura, cioè, metabolizzata dalla giurisprudenza che su di essa ha edificato un complesso apparato ricostruttivo del precetto”.
Per la Cassazione, in definitiva, la norma in esame continua a sottendere la nozione di "colpa lieve", in omaggio a “Un complesso di fonti e di interpreti che ha mostrato come il tema della colpa medica penalmente rilevante sia sensibile alla questione della sua graduabilità, pur a fronte di un precetto, quale l'articolo 43 cod. pen., che scolpisce la colpa senza distinzioni interne”.
La Corte di Cassazione ha richiamato, inoltre, l'articolo 2236 del Codice civile.
Secondo la Corte, “tralasciando l'ormai sopito dibattito sulla non diretta applicabilità del precetto al settore penale per la sua attinenza alla esecuzione del rapporto contrattuale o al danno da responsabilità aquiliana, merita di essere valorizzato il condivisibile e più recente orientamento delle sezioni penali che hanno comunque riconosciuto all'articolo 2236 la valenza di principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione del genere di problemi sopra evocati ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza”.
Un precetto, secondo la Cassazione, “che mostra di reputare rilevante, con mai perduta attualità, la considerazione per cui l'attività del medico possa presentare connotati di elevata difficoltà per una serie imprevedibile di fattori legati alla mutevolezza del quadro da affrontare e delle risorse disponibili. Sicchè, vuoi sotto un profilo della non rimproverabilità della condotta in concreto tenuta in tali condizioni, vuoi sotto quello della mera opportunità di delimitare il campo dei comportamenti soggetti alla repressione penale, sono richieste misurazioni e valutazioni differenziate da parte del giudice”.
Inoltre, “Nella demarcazione gravità/lievità rientra altresì la misurazione della colpa sia in senso oggettivo che soggettivo e dunque la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell'agente e del suo grado di specializzazione; la problematicità o equivocità della vicenda; la particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato; la difficoltà obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche; il grado di atipicità e novità della situazione; la impellenza; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa”
In conclusione, per la Corte di cassazione, “la colpa dell'esercente la professione sanitaria può essere esclusa in base alla verifica dei noti canoni oggettivi e soggettivi della configurabilità del rimprovero e altresì in ragione della misura del rimprovero stesso.
Ma, in quest'ultimo caso – e solo quando configurante "colpa lieve" -, le condizioni richieste sono il dimostrato corretto orientarsi nel campo delle linee-guida pertinenti in relazione al caso concreto ed il progredire nella fase della loro attuazione, ritenendo l'ordinamento di non punire gli adempimenti che si rivelino imperfetti”.
Ecco l’importantissimo principio di diritto tracciato dalla Corte di cassazione a sezioni unite, con sentenza del 22 febbraio 2018, n. 870:
"L'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:a) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza;
b) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
c) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificita' del caso concreto;
d) se l'evento si e' verificato per colpa "grave" da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficolta' dell'atto medico".
La responsabilità medica in ambito civile
Quanto alla responsabilità sanitaria in ambito civile, vanno tenuti distinti due aspetti.
In primo luogo, va tenuta distinta la responsabilità della struttura sanitaria da quella del medico.
La responsabilità della struttura sanitaria è stata costantemente inquadrata nell’ambito del paradigma della responsabilità contrattuale derivante dal contratto di spedalità, ovvero un contratto atipico con il quale la struttura sanitaria si impegna a offrire al paziente una serie di servizi di tipo assistenziale in ambito sanitario.
Quanto alla responsabilità del medico, secondo una parte della giurisprudenza essa è parimenti inquadrabile nell’ambito del paradigma della responsabilità contrattuale, derivante da “contatto sociale”.
In forza della teoria del “contatto sociale”, in effetti, il medico e il paziente, a prescindere dalla sussistenza di un contratto, sono coinvolti nell’ambito di un rapporto peculiare dal quale derivano diritti e obblighi specifici di lealtà e protezione dell’altrui sfera giuridica.
Sulla base di questa impostazione, la disciplina applicabile è quella dell’art. 1218 del Codice civile in tema di inadempimento contrattuale.
Derivano da questa impostazione una serie di conseguenze.
Con riguardo all’onere della prova: il paziente deve provare l’esistenza del contratto o il contatto sociale, il nesso di causalità tra condotta del medico e danno subito, e deve allegare l’inadempimento del medico idoneo a provocare il danno subito.
Il medico è invece tenuto a provare l’assenza di colpa.
In tale ipotesi la prescrizione del danno è decennale.
La situazione è mutata a seguito della riforma operata con legge Gelli-Bianco.
All’art. 7 viene infatti espressamente stabilito che la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del Codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.
L'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del Codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
E’ stato delineato, dunque, un sistema in cui il medico può beneficiare di una sostanziale inversione dell’onere probatorio poiché il paziente dovrà provare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 del Codice civile ovvero il danno, il nesso causale tra condotta e danno, nonché l’elemento soggettivo della colpa professionale.
In ipotesi di responsabilità extracontrattuale, il termine di prescrizione è di cinque anni.
Interessante una recente sentenza della Corte di Cassazione civile, sez. III, sentenza 23 gennaio 2023, n. 1936 con cui è stato stabilito che: “Deve essere cassata la decisione dei giudici del merito che hanno condannato la struttura ospedaliera a risarcire il paziente a seguito di omessa informazione da parte del chirurgo dell’esistenza di una tecnica alternativa che avrebbe evitato gli esiti negativi e permanenti in concreto verificatisi a seguito dell’evento dannoso, posto che per sostenere che l’omessa informazione fu causa materiale dell’evento di danno la Corte d’appello avrebbe dovuto ricostruire il nesso di causa tra l’omessa informazione e l’evento mediante un giudizio controfattuale, ossia ipotizzando cosa sarebbe accaduto se il medico avesse compiuto l’azione che invece difettò. Occorre rimettere al giudice di rinvio affinché accerti con giudizio controfattuale se possa ritenersi plausibile, in base al criterio della preponderanza dell’evidenza, che una esaustiva informazione del paziente avrebbe indotto quest’ultimo a pretendere che l’intervento avvenisse con la tecnica innovativa”.
Quanto agli effetti protettivi del contratto verso i terzi, la Corte di Cassazione, sez. III, civ., sentenza 15 febbraio 2022 n. 4904 ha stabilito che: “La responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale. Di fatto, il rapporto contrattuale che si instaura fra il paziente e la struttura sanitaria (o il medico) esplica i suoi effetti tra le sole parti del contratto e, pertanto, l’inadempimento della struttura o del professionista genera responsabilità ‘‘contrattuale’’ esclusivamente nei confronti del paziente”.
La Corte di Cassazione, sez. III, con sentenza, dell’8 luglio 2020, n. 14258 ha inoltre stabilito che: “In tema di richiesta di risarcimento danni avanzata dagli stretti congiunti di un paziente con problemi psichici ricoverato presso una struttura sanitaria, qualora essi facciano valere il danno patito "iure proprio" da perdita del rapporto parentale, in particolare nel caso in cui l'iniziativa autolesionistica del malato si risolva in un atto suicidario portato a compimento a causa dell'omessa vigilanza, deve escludersi che l'azione esercitata sia riconducibile alla previsione dell'art. 1218 c.c., poiché il rapporto contrattuale è intercorso solo tra la menzionata struttura ed il ricoverato; ne consegue che l'ambito risarcitorio nel quale la domandadeve essere inquadrata è necessariamente di natura extracontrattuale, atteso che questi ultimi non possono essere nella specie qualificati "terzi protetti dal contratto", potendo postularsi l'efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l'interesse del quale tali terzi siano portatori risulti anch'esso strettamente connesso a quello regolato già sul piano della programmazione negoziale”.
Il nesso di causalità nell’accertamento della responsabilità medica
Ai fini dell’accertamento del nesso di causalità tra danno ed evento è interessante riportare la sentenza della Corte di Cassazione del 1 giugno 2022, n. 17918.
La Corte ha specificato che “per determinare una causalità giuridicamente rilevante, occorre selezionare, tra le varie condizioni che possono concorrere nella causazione dell'evento dannoso, soltanto quelle che non appaiano del tutto inverosimili.
Ha precisato la Corte che “In tal senso, il principio di equivalenza delle cause (c.d. teoria condizionalistica: articolo 41 c.p., comma 1) trova un duplice temperamento. Il primo, fornito dalla teoria della c.d. regolarita' o adeguatezza causale, per cui la responsabilità è esclusa per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili al momento della condotta; il secondo, dato dalla teoria della c.d. causalità efficiente, per cui il novus actus superveniens (la nuova serie causale) è tale da sterilizzare il principio dell'equivalenza delle cause se la condotta sopravvenuta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto, cosi' da potersi ascrivere l'evento soltanto a quest'ultimo agente”.
Per la Corte, “Un siffatto accertamento deve compiersi, in ambito di responsabilità civile, sulla scorta del criterio (o regola di funzione o, altrimenti detta, regola probatoria) del "piu' probabile che non", conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana)”.
Differenze tra responsabilità medica civile e responsabilità medica penale
A seguito dell’excursus effettuato, vale la pena tirare le somme e stabilire in cosa consistono le differenze tra responsabilità medica in ambito civile e responsabilità medica in ambito penale, che si sostanziano in fattispecie autonome, come è stato specificato più volte in giurisprudenza.
La responsabilità medica in ambito civile va riferita alla struttura ospedaliera e al medico.
Nel primo caso è di tipo contrattuale, nel secondo caso è di tipo extracontrattuale, a meno che non sia stato stipulato un contratto tra le parti.
Dalla individuazione di un’eventuale responsabilità del medico e della struttura sanitaria, discende l’obbligo risarcitorio a favore del paziente danneggiato.
Dall’accertamento della responsabilità medica in ambito penale discende l’inflizione di una sanzione di tipo penale per il medico che abbia agito con colpa o con dolo.
Qualora il medico abbia agito con colpa lieve e ricorrano gli estremi indicati dall’art.590 sexies del Codice penale, la responsabilità penale dello stesso è esclusa.
Il danno risarcibile
Qualora il medico (o la struttura sanitaria) incorra in un’ipotesi di responsabilità civile, è tenuto a risarcire il danno, che può essere patrimoniale e non patrimoniale.
Il danno patrimoniale attiene a una lesione del patrimonio del danneggiato e può essere risarcito quale danno emergente, (che attiene alla diminuzione patrimoniale del danneggiato) e lucro cessante (relativo alle mancate possibilità di guadagno che il danneggiato ha patito).
Il danno non patrimoniale è risarcibile in ipotesi di lesione di valori costituzionalmente tutelati e può essere declinato secondo una serie di voci, come quella del danno morale, del danno biologico e del danno esistenziale.