Nel diritto penale, la preterintenzione è uno degli elementi psicologici del reato, così come previsto dall’articolo 43, comma 2, del Codice Penale, assieme al dolo e alla colpa.
La norma prevede che:
“Il delitto […] è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente”.
Proprio come la sua etimologia, il reato preterintenzionale è quel reato che va ben oltre le intenzioni di chi agisce: infatti, dal latino, prater significa "oltre".
Chi compie l’azione prevede e vuole la realizzazione delle circostanze e delle loro conseguenze ma queste vengono a verificarsi in maniera più grave, pericolosa o dannosa di quello che ci si sarebbe aspettati.
Spieghiamo di seguito le caratteristiche esplicative della preterintenzione, le differenze con le figure affini come la preterintenzione aberrante, il rapporto con i delitti aggravati dall’evento e alcuni esempi.
Natura della preterintenzione
La preterintenzione caratterizza il reato poiché si verifica oltre l’intenzione dell’agente, cioè quando l’azione o l’omissione generano un evento ben più lesivo di quello voluto.
Nel delitto preterintenzionale è possibile constatare la volontà di realizzare un evento minore (ad esempio le lesioni o le percosse), contrapposta alla non volontà di un evento più grave (causare la morte).
La natura della preterintenzione è da lungo tempo discussa in dottrina e sul punto si avvicendano differenti correnti di pensiero.
Vediamole insieme.
Per alcuni (Bettiol, Mantovani e Pisapia) la preterintenzione rappresenterebbe una figura ibrida, a metà tra il dolo e la colpa: dolo per l’evento meno grave voluto, colpa per la conseguenza più grave generata.
Per altri (Fiandaca-Musco e Antolisei), l’evento preterintenzionale viene addebitato al suo agente in virtù del nesso causale che vi sarebbe tra la volontà di realizzare l’evento e la responsabilità oggettiva delle conseguenze da questi generate. Esula da questa visione la possibilità di una connotazione psicologica.
Secondo altri ancora (Patalano), la preterintenzione non sarebbe riconducibile a nessuna delle teorie già esposte perché entrambe partirebbero dalla premessa sbagliata per cui il reato preterintenzionale (lesioni/percosse e morte) altro non sarebbe che un concorso di reati. Diversamente, spiega questa corrente, l’agente avrebbe dalla sua la realizzazione volontaria di un comportamento intenzionale e al quale segue un evento più grave di quello prefigurato.
L’evento lesivo più grave viene addebitato al colpevole perché questi avrebbe potuto evitarlo se solo avesse avuto più accortezza del decorso degli eventi.
Il rapporto di causalità
Il reato preterintenzionale comporta la necessità di verificare la sussistenza del nesso di causalità tra l’evento più grave causato e la condotta originariamente voluta, ciò al fine di escludere che l’evento più grave – per esempio la morte – sia dipeso da cause sopravvenute che da sole sarebbero state comunque sufficienti a produrla.
Ipotizziamo il caso in cui Tizio sia stato ferito e si renda necessario il trasporto in ospedale. Durante il tragitto però l’ambulanza viene coinvolta da un incidente d’auto causato da Mevio, autista inesperto.
Si ritiene che l’azione sia causa integrante dell’evento e che, per le sue modalità di realizzazione e l’utilizzo dei mezzi adoperati, sia adeguata al verificarsi delle circostanze concrete.
Sul punto, è intervenuta anche un’importante sentenza della Corte di Cassazione, n. 15004 del 29 marzo 2004 con cui è stato precisato che può attribuirsi rilevanza anche ad una spinta, poichè espressione dell’energia fisica impiegata ed esercitata direttamente nei confronti della vittima e che rileva ai fini della sussistenza del dolo – nel caso delle percosse o lesioni. Over la stessa energia impressa cagioni la morte, dà luogo alla responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale.
Differenze con eccesso colposo, reato aberrante, premeditazione e aberratio delicti
Il reato preterintenzionale non deve essere confuso con quelle che sono sue figure affini.
La preterintenzione si differenzia dall’eccesso colposo; il reato aberrante; la premeditazione e l’aberratio delicti. Vediamo insieme le differenze:
- Eccesso colposo
Sia per il delitto preterintenzionale sia per l’eccesso colposo, vi sono due eventi: uno meno grave e l’altro più grave. Mentre nella preterintenzione l’evento lesivo più grave è vietato, nell’eccesso colposo, invece, è consentito.
Al pari, nella preterintenzione l’evento più grave è sempre a carico del suo autore che ha compiuto l’evento minore; nell’eccesso invece ciò avviene solo se si connota della colpa.
- Reato aberrante
In entrambe le figure contrapposte vi è un evento voluto e uno non voluto. Nel caso del delitto preterintenzionale, l’evento non voluto appartiene alla stessa specie di quello voluto e ne rappresenta uno sviluppo più grave; nel reato aberrante l’evento non voluto è di indole diversa, non obbligatoriamente più grave.
- Premeditazione
La premeditazione è contemplabile solo alla stregua dell’evento meno grave di cui si connota la preterintenzione. La conseguenza più grave non può essere premeditabile.
- Aberratio delicti
L’aberratio delicti oggetto sia della dottrina che della giurisprudenza trova disciplina nel codice penale all’interno dell’articolo 586 – “Morte o lesioni conseguenza di un altro delitto”. L’imputazione del colpevole avviene a titolo di responsabilità oggettiva, poiché sussistente effettivamente un nesso di causalità tra l’evento originario e le conseguenze impresse.
La responsabilità oggettiva, di cui all’aberratio delicti, permette di descrivere anche la cd. preterintenzione aberrante e che si distingue dall’articolo 586 c.p. appena visto ma permette una sua lettura combinata con l’articolo 584 c.p. – “Omicidio preterintenzionale”.
Si parla di Omicidio preterintenzionale, se la morte sia diretta conseguenza delle lesioni o delle percosse causate.
Si parla, invece, di Morte o lesioni come conseguenza di un altro delitto nel caso in cui queste siano la conseguenza di un delitto doloso diverso dalle percosse o lesioni (ad esempio, la morte di un tossicodipente dovuta all’overdose da stupefacenti).
La responsabilità oggettiva
Per responsabilità oggettiva si intende la responsabilità attribuita a taluno per il compimento di un’azione, non già in relazione all’elemento psicologico che l’ha generata, ma in base al solo rapporto di causalità con le conseguenze che si sono scatenate.
L’articolo 42 del Codice Penale, al primo comma, prevede che:
“Nessuno può essere punito per un'azione od omissione prevista dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà”.
Ovvero il principio secondo cui nessuno può essere punito per un’azione od omissione se non l'ha commessa con coscienza e volontà.
Il secondo e terzo comma, invece, esprimono la responsabilità oggettiva, intesa come:
“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge.
La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione”.
Secondo la dottrina tradizionale (ovvero Antolisei e Bettiol), è possibile parlare di responsabilità oggettiva innanzi alle seguente caratteristiche:
- esistenza di un evento e di una condotta legati tra loro da un nesso causale e realizzanti un reato;
- assenza di dolo o colpa dell'agente;
- la condotta è attribuibile al volere dell’agente;
- prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
La dottrina più recente (Grosso, Padovani, Fiandaca-Musco, Pagliaro, Mantovani) distingue la responsabilità oggettiva pura, in cui il fatto è attribuito in virtù del solo nesso di causalità; dalla responsabilità oggettiva spuria, cioè quella che riprende gli elementi comuni del dolo e della colpa.
Sono casi della responsabilità oggettiva pura:
- l’aberratio delicti;
- la responsabilità del partecipe per il fatto diverso da quello voluto, ex art. 116 c.p.
Sono casi della responsabilità oggettiva spuria:
- la preterintenzione;
- i reati aggravati dall’evento;
- le condizioni obiettive di punibilità, ex art. 44 c.p.
I delitti aggravati dall’evento
Si definiscono delitti aggravati dall’evento quella categoria di delitti da cui discende un aumento della pena per l’agente quando, oltre al verificarsi dell’evento tipico come ipotesi base, producono un evento ulteriore di cui è chiamato a rispondere per il nesso di causalità.
Un esempio è la calunnia, di cui all’articolo 368 del Codice penale:
“Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata se si incolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un'altra pena più grave.
La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo”.
A propria volta, i delitti aggravati dall’evento si distinguono a seconda che sia indifferente che l’evento ulteriore sia voluto o meno (come nel caso della calunnia); da quelli in cui l’evento più grave deve essere necessariamente non voluto.