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5 Gennaio 2024
9:00

Crediti non spettanti e inesistenti: termine di accertamento di 8 anni per i crediti inesistenti (Cassazione Sezioni Unite)

Le Sezioni Unite Civili, con una importantissima sentenza dell’11 dicembre 2023, n. 34419, hanno risolto un contrasto interpretativo sorto in seno alla Sezione tributaria e riguardante la corretta distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e crediti d’imposta non spettanti, ai fini della valutazione del termine entro cui l’Amministrazione finanziaria può esercitare l’attività di accertamento e ai fini dell’applicabilità del corretto regime sanzionatorio. Vediamo in dettaglio quali sono i principi di diritto sanciti dalla Corte di cassazione.

Crediti non spettanti e inesistenti: termine di accertamento di 8 anni per i crediti inesistenti (Cassazione Sezioni Unite)
Avvocato
crediti di imposta inesistenti

Le Sezioni Unite Civili, con una importantissima sentenza dell’11 dicembre 2023, n. 34419, hanno risolto un contrasto interpretativo sorto in seno alla Sezione tributaria e riguardante la corretta distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e crediti d’imposta non spettanti, ai fini della valutazione del termine entro cui l’Amministrazione finanziaria può esercitare l’attività di accertamento e ai fini dell’applicabilità del corretto regime sanzionatorio.

Le Sezioni Unite Civili hanno dunque affermato i seguenti principi di diritto:

In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento”.

In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, è applicabile la sanzione di cui all’art. 27, comma 18, d.l. n. 185 del 2008, vigente ratione temporis, ovvero, se più favorevole, quella prevista dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano le sanzioni previste dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 ovvero dall’art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997 come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 qualora ratione temporis applicabile”.

Vediamo in dettaglio la questione trattata dalla Cassazione.

I fatti di causa

La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposta da una società per azioni avverso la sentenza della Commissione provinciale tributaria di Milano, che a sua volta aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di accertamento relativo agli anni d'imposta 2006 e 2007, relativo al recupero di un’agevolazione riconosciuta per l’acquisto di beni strumentali e posta in compensazione in maniera indebita.

L’avviso di accertamento era stato emesso poiché la società contribuente aveva utilizzato i beni strumentali anche per prodotti editoriali non in lingua italiana, perdendo conseguentemente l’agevolazione.

La società per azioni aveva proposto ricorso in Cassazione, in particolare riproponendo l’eccezione di decadenza del potere accertativo dell’Agenzia delle entrate.

La Sezione Tributaria rimetteva la causa al Primo Presidente per valutare l’assegnazione della stessa alle Sezioni unite, per la risoluzione di un contrasto interpretativo interno alla Sezione tributaria in  ordine alla distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e non spettanti, distinzione che assume rilievo ai fini dell'individuazione del termine per l’esercizio della potestà accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il Primo Presidente disponeva l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

La Sentenza delle Sezioni Unite Civili

La questione su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite riguarda la nozione di crediti d'imposta inesistenti e quella di crediti d'imposta non spettanti.

I crediti di imposta inesistenti sono disciplinati dall’art. 27 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 e dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 5 che così stabilisce: “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

I crediti d'imposta non spettanti sono invece disciplinati dal d.lgs. 18 dicembre 1997, all’art. 13, comma 4 che così stabilisce: . “Nel caso di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l'applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”.

Si può notare come la distinzione tra le due tipologie di credito sia rilevante ai fini della disciplina applicabile.

In caso di crediti d'imposta inesistenti, infatti, il potere accertativo della Amministrazione finanziaria è sottoposto al termine di decadenza più lungo di otto anni  e la sanzione per l’indebita compensazione è più grave poiché va dal 100% al 200% dei crediti.

La ricorrente aveva rilevato che l’Agenzia delle entrate aveva sempre contestato la spettanza del credito e non la sua esistenza, per questo la contestazione sarebbe dovuta avvenire entro il 31/12 2011 ma l’avviso di accertamento era stato notificato soltanto in data 29/02/2012.

Le Sezioni unite sono dunque passate al vaglio della questione oggetto della controversia ripercorrendo gli opposti orientamenti sul punto.

Secondo l’orientamento maggioritario, non vi sarebbe alcuna differenza tra le nozioni di credito inesistente e credito non spettante.

Si è affermato che “l’art. 27, comma 16, d.l. 185/2008, conv. l. 2/2009, non intende elevare l'inesistenza" del credito a categoria distinta dalla "non spettanza" (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico giuridico), ma intende solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche talora complesse riguardanti l'investimento generatore del credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 d.P.R. per il comune avviso di accertamento» «dunque, ogni qualvolta il credito derivante dall'operato investimento non sussiste, per ciò solo deve ritenersi inesistente nel senso precisato dalla norma» (Cass. n. 10112 del 21/04/2017 e Cass. n. 19237 del 02/08/2017; seguite poi da Cass. 24093 del 30/10/2020; Cass. n. 354 del 13/01/2021; Cass. n. 31859 del 05/11/2021)”.

In dissenso a questa interpretazione si sono poste le sentenze “gemelle” n. 34443, 34444 e 34445 del 16/11/2021.

Le sentenze n. 34444 e n. 34445 del 2021, concludono nel senso di ritenere che il precedente orientamento “vada necessariamente superato anche per effetto della citata novella, non tanto e non già perché quest'ultima sia direttamente applicabile alla fattispecie, ratíone temporis, bensì perché nella stessa definizione positiva di "credito inesistente" può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell'originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d'imposta indebitamente utilizzati”.

Secondo le Sezioni Unite va condiviso questo ultimo orientamento.

Secondo la Cassazione, infatti: “La problematica di fondo si incentra su un duplice ordine di profili: in primo luogo, se le due nozioni (credito inesistente e credito non spettante) abbiano, effettivamente, un oggetto differente e, in tal caso, quali siano i caratteri distintivi; in secondo luogo, se, con riguardo alla condotta di indebito utilizzo in compensazione di un “credito inesistente” ovvero “non spettante”, sia ravvisabile, e da quando, un regime giuridico differente e quali siano i presupposti che ne condizionano l’applicabilità”.

La Corte ha poi specificato che bisogna verificare se, e in quale misura, le definizioni introdotte dal legislatore nel 2015 corrispondano a nozioni già esistenti e ricavabili da principi generali dell’ordinamento tributario e quale sia il rapporto con la disciplina introdotta nel 2008.

Le Sezioni Unite hanno effettuato un’analisi sulla nozione di credito inesistente: “Appare opportuno partire dal dato, intuitivo e di comune conoscenza anche secondo il linguaggio comune, che la nozione di “inesistenza” evoca, sul piano fenomenico, la non appartenenza alla realtà: lo specifico evento o circostanza – che determina l’insorgere del credito – non esiste o non si è mai realizzato. A tali situazioni è assimilabile l’ipotesi in cui il credito (la pretesa), pur regolarmente sorto, sia venuto meno per “consumazione” perché già utilizzato dal soggetto interessato. Queste connotazioni, infine, possono assumere rilievo assoluto, nel senso che l’inesistenza riguarda la totalità dei consociati, oppure carattere relativo in quanto condizioni riferite a specifici soggetti; in questo caso il credito o la pretesa non “esistono” per il soggetto che li invoca, senza che interferisca con questa conclusione la circostanza che essi esistano per altri soggetti o per un diverso rapporto”.

Sul piano giuridico tributario, inoltre, ha specificato la Cassazione: “la nozione è indubbiamente più sottile poiché postula, accanto ad una declinatoria fenomenica, anche la ricognizione positiva, con riguardo alle singole previsioni d’imposta, di quei requisiti – condizioni, termini e forme – normativamente imposti come elementi costitutivi dei singoli crediti d’imposta. In particolare, il credito va considerato inesistente non solo quando le attività e i presupposti fondanti non sono mai venuti in essere ma anche quando siano assenti le ulteriori condizioni essenziali – formali o sostanziali – previste dal legislatore.

Se sussiste l’esigenza di identificare quali siano gli elementi la cui mancanza impedisce il perfezionarsi della fattispecie agevolativa, è tuttavia evidente che non tutti gli elementi (e gli adempimenti) che partecipano alla realizzazione della fattispecie assumono un necessario rilievo costitutivo, potendo influire su aspetti meramente formali ovvero incidere solo sull’efficacia della pretesa. In tali ipotesi, il credito esiste ma non è utilizzabile in tutto o in parte, sicché il credito non può validamente od efficacemente esser posto in compensazione”.

Ha dunque concluso la Cassazione che: “Le due categorie, dunque, appaiono strutturalmente distinte e, sul piano logico, alternative: il credito è inesistente oppure esiste ma è non spettante”.

Secondo la Cassazione, “Dal complessivo quadro normativo su evidenziato emerge che, recepita positivamente la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti (art. 10 quater), ai fini tributari sin dall’origine (art. 27, commi 16 e ss) l’intervento del legislatore è stato mirato a fornire una disciplina specifica in caso di compensazioni con crediti inesistenti”.

La novella di cui al d.lgs. n. 158 del 2015 con riguardo ai crediti inesistenti, “non ha dunque innovato ma, più congruamente, si è limitata a fornire chiarezza, anche formale, al dato normativo rispetto ai contenuti già esistenti con riguardo all’azione di accertamento dell’Ufficio, precisando i requisiti per l’applicazione del regime più rigoroso, in quanto debbono ricorrere, cumulativamente, le seguenti condizioni: a) il credito deve essere inesistente, ossia di esso deve mancare (in tutto o in parte) il «presupposto costitutivo»; b) tale mancanza («l’inesistenza») non è riscontrabile in sede di controllo ex artt. 36 bis e 36 ter d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972 (come tali inclusivi anche degli elementi rilevabili in sede di anagrafe tributaria)".

In altri termini, “non si profila una "soluzione di continuità" tra la vecchia e la nuova disciplina, con la conseguenza che la seconda può essere utilmente impiegata come elemento di valutazione ermeneutica della prima (v. in tal senso Sez. U, n. 12476 del 24/06/2020; Sez. U, n. 8504 del 25/03/2021), sicché va affermato che anche anteriormente all’intervento operato con il d.lgs. n. 158 del 2015, solamente a fronte della ricorrenza di entrambe le suddette condizioni il credito doveva essere considerato inesistente e poteva trovare applicazione, per l’accertamento della condotta di indebita compensazione di crediti inesistenti, il più lungo termine di otto anni di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 e la sanzione prevista dal successivo comma 18”.

In conclusione, per la Corte, “appare evidente che la definizione di crediti inesistenti e crediti non spettanti debba intendersi senza soluzione di continuità – rientrando nella nozione della prima quali elementi costitutivi entrambi i requisiti ora esplicitamente previsti dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 e già inclusi nell’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 ed assumendo rilevanza residuale quella di cui all’art. 13, comma 4 – e unitaria tra ambito penale e tributario.

Si tratta di esito che, oltre a discendere dal dato letterale delle norme, risponde a criteri di coerenza e di razionalità di sistema e alle finalità, obbiettive, perseguite dal legislatore.

Per completezza, va sottolineato che non sussiste alcuna distonia rispetto alla lettera dell’art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997: la norma si riferisce a crediti “esistenti”, sicché è idonea ad includere anche le ipotesi di crediti che, ancorché carenti dei presupposti costitutivi, siano, tuttavia, suscettibili di riscontro in sede di controllo automatizzato, e, quindi, per definizione normativa “non inesistenti”.

La Cassazione ha dunque formulato il seguente principio di diritto:

In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento”.

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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