Ilaria Salis, arrestata a Budapest un anno fa, è chiusa in una cella di alta sicurezza in Ungheria e nelle ultime ore hanno fatto particolarmente discutere le critiche condizioni detentive a cui è sottoposta.
L’Ungheria, infatti, è già nota agli occhi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la situazione degradante e disumana delle sue carceri, ottenendo la condanna dai giudici di Strasburgo per le misure detentive patite dai detenuti.
In particolar modo quello che ha lasciato sgomenti la famiglia Salis e il Ministro degli Esteri Antonio Tajani sono le immagini scioccanti che ritraggono l'attivista anti-fascista italiana seduta nell’aula del tribunale ungheresi.
Eugenio Losco, uno degli avvocati italiani di Ilaria Salis, ha descritto la scena così: “ è stato scioccante, un’immagine pazzesca. Ci aveva detto che veniva sempre trasferita in queste condizioni ma vederla ci ha fatto davvero impressione. Era tirata come un cane, con manette attaccate a un cinturone da cui partiva una catena che andava fino ai piedi, con questa guardia che la tirava con una catena di ferro. Ed è rimasta così per tre ore e mezza”.
Riccardo Guariglia, Segretario Generale della Farnesina, ha convocato con urgenza l’ambasciatore di Ungheria a Roma per discutere delle condizioni detentive della cittadina italiana.
Si tratta di una violazione della normativa europea ma anche delle regole minime di detenzione richieste dalle Nazioni Unite. Vediamo perché.
Le regole minime di detenzione delle Risoluzioni ONU
La Risoluzione ONU del 30 agosto 1955, ovvero il primo testo nate all’indomani delle atrocità della Seconda Guerra Mondiale, getta le base alle regole adottare in occasione del Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento degli autori di reati, definendo i cd. standard minimi per il trattamento dei detenuti e la gestione delle strutture carcerarie.
Le regole (in origine 95) sono state approvate dall’ECOSOC – ovvero il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite – due anni più tardi, sebbene abbiano visto la loro adozione effettiva soltanto nel 2015, quando l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise di istituire un gruppo intergovernativo con l’intento di rivedere e aggiornare il testo.
Il risultato fu l’adozione di ben 122 regole consacrate alla memoria di Nelson Mandela che trascorse 27 anni della sua vita in carcere.
Le Regole minime per il trattamento dei detenuti della Risoluzione ONU dedica la sua attenzione a diverse aree tematiche, come:
- il rifiuto di ogni tipo di discriminazione basato sull’origine etnica, sociale, politica, religiosa, sessuale ecc;
- il rispetto della dignità e del valore dell’essere umano;
- permettere ai detenuti di conservare il rispetto di sé predisponendo quanto necessario all’igiene personale, ai vestiti e alle condizioni di salute
- ;garantire i servizi sanitari per ogni detenuto, compiendo regolari visite e ispezioni mediche;
- i detenuti devono essere autorizzati, sotto la necessaria sorveglianza, a comunicare con la loro famiglia e garantendo di comunicare con i loro rappresentanti diplomatici e consolari.
Tra le varie tematiche affrontate assume particolare importanza quella dedicata all’applicazione dei mezzi di coercizione, i quali non devono mai essere utilizzati in maniera disumana e degradante nei confronti dei detenuti:
“MEZZI DI COERCIZIONE
33. Gli strumenti di coercizione, come manette, catene, ferri e camicie di forza non devono mai essere applicate come sanzione. Le catene e i ferri non devono essere utilizzati più come mezzi di coercizione. Gli altri strumenti non possono essere utilizzati che nei casi seguenti:
a. come misura precauzionale contro l'evasione, durante il trasferimento, e curando sempre che siano tolti quanto il detenuto compare davanti ad una autorità giudiziaria o amministrativa;
b. per ragioni sanitarie su indicazione del medico;
c. per ordine del direttore, se gli altri mezzi per dominare un detenuto sono falliti, al fine di impedirgli di fare del male a sé o agli altri o di produrre danni; in questi casi il direttore deve consultare di urgenza il medico e fare rapporto all'autorità amministrativa superiore.
34. Il tipo e i mezzi di impiego degli strumenti di coercizione devono essere fissati dall'Amministrazione penitenziaria centrale. La loro applicazione non deve protrarsi oltre il tempo necessario”.
Le Regole penitenziarie europee
Sulla scia del lavoro compiuto dalle Nelson Mandela Rules delle Nazioni Unite, anche il Consiglio d’Europa ha inteso adottare delle regole comuni in tema di trattamento penitenziario.
Si tratta della Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee e adottata dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2006, in occasione della 952esima riunione dei Delegati dei Ministri.
Tenuto conto della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali e della giurisprudenza resa dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, le cd. Regole penitenziarie europee intendono assicurare i requisiti di sicurezza, ordine, disciplina, rispetto della dignità umana nei confronti dei detenuti, preparandoli al reinserimento sociale.
Le Regole penitenziarie europee si snodano attorno 108 articoli e così suddivisi:
- Parte I (artt. 1-13), i principi fondamentali;
- Parte II (artt. 14 – 38), le condizioni di detenzione;
- Parte III (artt. 39 – 48), la salute e le cure sanitarie;
- Parte IV (artt. 49 – 70), l’ordine negli istituti penitenziari;
- Parte V (artt. 71 – 91), direzione e personale;
- Parte VI (artt. 92 – 93), ispezioni e controlli;
- Parte VII (artt. 94 – 107), detenuti imputati;
- Parte VIII (artt. 102 – 107), detenuti condannati;
- Parte IX (art. 108), l’aggiornamento delle Regole.
Così come richiamato per gli standard minimi per il trattamento dei detenuti, anche le Regole europee concentrano la propria trattazione sui mezzi di contenzione:
“Mezzi di contenzione
68. 1. E’ proibito l’uso di catene e di ferri.
2. Le manette, le camicie di forza ed altri mezzi di contenzione non devono essere usati tranne:
a. se necessario, come precauzione contro le evasioni durante un trasferimento, purché esse vengano rimosse quando il detenuto compare dinanzi all’autorità amministrativa o giudiziaria, a meno che tale autorità decida altrimenti; o
b. per ordine del direttore, se falliscono altri metodi di controllo, al fine di proteggere il detenuto da atti di autolesionismo, di impedirgli di arrecare danni ad altri o di prevenire gravi danni alle cose e purché in tali casi il direttore informi immediatamente il medico e faccia rapporto subito all’autorità penitenziaria superiore.
3. Gli strumenti di contenzione non devono essere applicati per un periodo maggiore di quello strettamente necessario.
4. Il modo di utilizzo di tali mezzi di contenzione deve essere specificato nella legislazione nazionale”.
Le condanne europee per le condizioni detentive ungheresi
I diritti dei detenuti ungheresi e di quanti si trovino ristretti negli istituti penitenziari del paese sono stati più volte al centro delle osservazioni delle ONG a tutela dei diritti umani e spesso anche interessati dalle condanne europee.
Per esempio, l’Helsinki Hungarian Committee rappresenta una delle ONG che monitorano più assiduamente le condizioni disumane e degradanti del sistema carcerario di Budapest.
Allo stesso modo, nel corso degli anni non sono mancate le pronunce di condanna rese dalla Corte CEDU nei confronti dell’Ungheria per la violazione della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo.
Il trattamento penitenziario subito da Ilaria Salis inequivocabilmente non rispetta le norme basilari europee e internazionali che fissano i requisiti minimi a cui le persone detenute devono essere sottoposte e che, in questo momento, ben possono ritenersi in violazione dei principi di cui all’art. art 3 CEDU e che vieta che i trattenuti siano sottoposti a trattamenti disumani e degradanti,