Il cosiddetto tempo tuta, inteso come il tempo che il dipendente impiega per indossare e dismettere adeguatamente la divisa aziendale, va ricompreso nell’orario di lavoro quando indispensabile a conformarsi al potere del datore di lavoro.
Si tratta di eterodirezione che può avere riscontro anche in ragione della funzione specifica che devono assolvere gli indumenti e che facciano ragionevolmente ipotizzare di non essere indossati fuori dall’orario di lavoro.
Vediamo il recente provvedimento emesso dalla Corte di Cassazione.
Il fatto
I dipendenti Tizio, Caio e Sempronio decidono di ricorrere giudizialmente per veder riconosciuta la retribuzione loro spettante per il tempo impiegato per la vestizione e svestizione delle divise aziendali.
Il datore di lavoro, infatti, aveva richiesto ai dipendenti di indossare la divisa nel corso dello svolgimento della mansione lavorativa ma di indossare la stessa nei locali aziendali prima di timbrare il cartellino di inizio turno. Allo stesso modo, la divisa doveva essere tolta al termine della prestazione.
La decisione
La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 5 dicembre 2023, n. 33937 ha ribadito l’eterodirezione del tempo impiegato dal dipendente per indossare e dismettere la divisa di lavoro.
Per eterodirezione deve intendersi l’indispensabile soggezione del dipendente al potere del datore, da un punto di vista organizzativo, direttivo e di controllo.
Secondo gli Ermellini, l’eterodirezione può essere desunta non solo da un’esplicita disciplina d’impresa, ma può anche rinvenirsi alla stregua di elementi impliciti dalla specifica funzione e natura assunta dagli indumenti di lavoro che, per questo motivo, sono diversi da quelli utilizzati o utilizzabili nella quotidianità del dipente.
Sulla stessa scia anche la giurisprudenza ormai consolidata (Cass. 1252/2016 e 16604/2019) e per cui la divisa necessariamente richiesta al dipendente sul luogo di lavoro può trovare ragione nelle regole di igiene necessarie da osservarsi per la prestazione lavorativa.