Il reato di maltrattamenti in famiglia è disciplinato all’articolo 572 del Codice Penale e intende tutelare la salute e l’integrità psicofisica dei componenti della famiglia da quella serie di comportamenti violenti (sia fisici che verbali) che umilino, degradino e vessino la personalità della vittima in maniera sistematica e perpetrata nel tempo.
La norma punisce le condotte violente di chi agisca contro la propria famiglia o conviventi, o contro chi gli sia affidato per ragioni di autorità, educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia.
La famiglia, tutelata dalla Costituzione dagli artt. 29-31, rappresenta l’aspetto morale ed educativo della società tutta. Dal punto di vista giuridico, si discute sull’elemento essenziale della famiglia: consanguineità oppure convivenza?
Con la disciplina dei maltrattamenti in famiglia, è indiscusso che il reato faccia riferimento anche ai rapporti di convivenza – non solo i vincoli di parentela naturali e civili, ma più in generale la stretta relazione stabile e solidale.
Nell’impianto del Codice Penale, la norma si installa all’interno del Libro II, Titolo XI dedicato ai delitti contro la famiglia, promuovendo la salvaguardia delle relazioni familiari e parafamiliari.
L’attuale formulazione del reato, come noi oggi lo conosciamo, è stata influenzata dalla Legge 1 ottobre 2012, n. 172 la quale ha ratificato la Convenzione di Lanzarote del 2010, ovvero il primo strumento di portata internazionale a tutela dei minori e grazie alla quale l’impianto sanzionatorio è stato particolarmente inasprito.
L’art. 572 c.p.: maltrattamenti contro familiari o conviventi
L’articolo 572 del Codice Penale disciplina il reato di maltrattamenti in famiglia, più correttamente rubricato come “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”, ricomprendendo al suo interno la tutela delle relazioni stabili affettive costituitesi anche al di fuori della famiglia.
La norma prevede che:
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.
Per maltrattamenti, quindi, si intendono quelle vessazioni sia fisiche che psicologiche capaci di ingenerare nella vittima un sentimento di sopraffazione e umiliazione. I maltrattamenti non passano solo per le percosse o le escoriazioni, ma valgono come tali anche le minacce, le umiliazioni, i gesti di disprezzo e offesa, così come le privazioni di tipo economico.
La disciplina in tema di maltrattamenti in famiglia è stata innovata sotto diversi punti di vista da parte della Legge 1 ottobre 2012, n. 172 la quale è intervenuta riformulando sia il titolo dell’articolo (ovvero, la rubrica) sia la formulazione della legge.
Dapprima, infatti, la norma veniva denominata "Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, escludendo dal novero quindi i legami di convivenza. Ciò perché in passato, con il termine “famiglia”, si faceva riferimento esclusivo ai consanguinei, agli affini, ai genitori, mentre adesso il riferimento comprende anche il convivente cd. more uxorio (ovvero, come se fosse marito/moglie).
Alla stregua di ciò, quindi, il reato risulta applicabile chiaramente anche per le famiglie di fatto.
Particolarità indiscussa del reato è che la violenza venga perpetrata all’interno della famiglia stessa, non provenendo dal di fuori e quindi richiamando la sopraffazione violenta ai danni dei propri affetti.
Per questa ragione, è un reato proprio cioè che la condotta può essere compiuta esclusivamente da chi appartenga alla famiglia.
Il reato, affinché possa dirsi sussistente, deve connotarsi della reiterazione temporale degli episodi violenti: non basta la singola aggressione, ma occorre che queste siano necessariamente abituali.
L’art. 572 c.p. è un reato abituale, costituito cioè da una pluralità di fatti commessi con reiterazione e con la volontà, da parte dell’aggressore, di prevaricare la vittima servendosi di vessazioni fisiche e/o morali.
Non importa che gli episodi violenti si alternino a periodi di quiete e stabilità, poiché la reiterazione può essere valutata anche alla stregua di un breve lasso di tempo.
In questa direzione vanno anche autorevoli e recenti pronunce della Corte di Cassazione, come:
- Cassazione, sezione VI, sentenza 10 marzo 2022, n. 8333, per potersi configurare l’abitualità tipica e necessaria in tema di maltrattamenti in famiglia, i fatti lesivi o omissivi devono essere reiterati nel tempo; è necessario che le condotte non siano meramente sporadiche, ma che vi sia una condotta vessatoria persistente;
- Cassazione, sezione VI, sentenza 11 novembre 2021, n. 41053 per cui non è necessario obbligatoriamente che il comportamento vessatorio sia continuo e ininterrotto, ma è anzi possibile che gli atti lesivi si susseguano con normalità nei rapporti di convivenza e/o familiarità;
- Cassazione, sezione VI, 13 aprile 2022, n. 14518 secondo la quale le vessazioni e le sopraffazioni nei confronti della vittima sono elementi per loro natura sufficienti a configurare il reato anche se intervallate da periodi di serenità, dal momento che le manifestazioni ripetute di mancanza di interesse conservano il loro disvalore sociale.
Forme di violenza
Per maltrattamenti in famiglia è possibile fare riferimento a diverse forme di violenza perpetrate dall’aggressore nei confronti della vittima.
Sono forme di violenza riconducibili al reato di maltrattamenti contro i familiari e i conviventi:
- violenza psicologica;
- aggressioni fisiche;
- lividi;
- escoriazioni;
- graffi;
- minacce;
- insulti;
- violenze sessuali (richiedendo al partner anche rapporti sessuali contro natura);
- privazioni economiche;
- isolare la vittima dai rapporti sociali e lavorativi;
- condotte omissive ostacolino lo sviluppo fisico e morale (astenersi deliberatamente dall’educazione e sostentamento dei figli e della famiglia, per esempio);
- condotte di sopraffazione morale;
- privazione della funzione genitoriale (come nel caso in cui il partner venga escluso dalle scelte economiche, educative e organizzative che riguardino i figli);
- svilimento e screditamento della figura genitoriale;
- stato di disagio perdurante.
E’ bene ricordare che il reato non deve ritenersi escluso o interrotto solo perché intervallato da periodi di “normalità”, ma che anche in quei frangenti è possibile ricostruire l’abitualità della condotta violenta utile a raccogliere elementi a sostegno della denuncia della vittima.
La disciplina del Codice Rosso
La Legge 19 luglio 2019, n. 69, meglio nota come Codice Rosso, è intervenuta con delle modificazioni importanti in tema di violenza di genere e consentendo l’adozione di provvedimenti più velocemente a tutela delle vittime dei reati di maltrattamenti, atti persecutori e violenza sessuale.
La ratio del Codice Rosso è quello di assicurare protezione alla vittima di violenza, garantendo una reazione immediata da parte delle Forze dell’Ordine e arginando lo stigma sociale da cui troppo spesso la persona offesa si sente vincolata e condizionata.
In particolare, la Polizia Giudiziaria depositaria della denuncia sporta dalla vittima di violenza, ha l’obbligo di attivarsi tempestivamente trasmettendo la notizia di reato al Pubblico Ministero.
Il PM entro 3 giorni dalla ricezione ha poi l’obbligo di ascoltare la vittima e procedere alle indagini che non potranno più essere archiviate senza aver prima ascoltato chi ha denunciato.
A questo proposito, per capire l’importanza di questa tempestiva audizione della vittima, è fondamentale ricordare un orientamento ormai granitico della giurisprudenza affermante che le dichiarazioni della persona offesa, ovvero la vittima del reato, possono essere ritenute anche da sole come fondamento della responsabilità penale dell’imputato (Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sent. n. 41461/2012 e Corte di Cassazione, sez. III, sent. n. 4343/14).
Prima dell’avvento del Codice Rosso, la Polizia poteva discrezionalmente decidere se dare avvio alle indagini, valutando senza vincoli la sussistenza o meno di ragioni d’urgenza. Adesso, tale filtro di valutazione è superato poiché l’Autorità Giudiziaria è tenuta a comunicare seduta stante al Pubblico Ministero gli elementi appresi con riferimento alle violenze e ai maltrattamenti.
Ulteriore innovazione operata dalla Legge 69/2019 è senza dubbio l’applicazione dell’aggravante della violenza assistita.
La violenza assistita
La Legge 19 luglio 2019, n. 69 all’interno della formulazione dell’articolo 572 del Codice Penale, ha inserito l’aggravante di cui al comma 2 il quale richiama l’attenzione su un’ulteriore forma di violenza insita già nei maltrattamenti perpetrati in famiglia: la violenza assistita.
Con il termine “violenza assistita”, si fa riferimento al tipo di violenza indiretta a cui assistono i bambini, le donne in stato di gravidanza e le persone disabili durante gli episodi di violenza e maltrattamenti che si consumano all’interno della loro sfera familiare.
Il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia (CISMAI) si pronuncia sul fenomeno come: “Per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza) e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici”.
La violenza assistita, quindi, si connota di tutte quelle forme di violenza che possano riguardare le persone e animali che compongono la sfera familiare del minore, tali da pregiudicare il corretto sviluppo psico-emotivo.
A questo proposito si ricordano casi particolari su cui la Suprema Corte nel corso del tempo si è pronunciata ritenendo integrato il reato maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.:
- “La ripetuta esposizione del minore a contesti erotici inadeguati alla sua età, sì da creare un’atmosfera inadeguata all’equilibrata evoluzione psichica” Cassazione, sezione VI, 22 ottobre 2007, n. 38962;
- “E’ configurabile il reato anche per l’infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, tali da incidere sul suo equilibrio psicofisico” Cassazione, sezione VI, 7 ottobre 2020, n. 27901;
- “La ripetuta sottoposizione di una persona di giovane età a pratiche esoteriche sataniche integra il reato” Cassazione, sezione III, 3 marzo 2010, n. 82844;
- “La condotta iperprotettiva del genitore nei confronti del minore tale da incidere sul corretto sviluppo psicofisico del figlio, pregiudicando anche lo sviluppo dell’autostima” Cassazione, sezione VI, 10 ottobre 2011, n. 36503.
Quale pena è prevista dall’art. 572 c.p.?
In caso di maltrattamenti contro familiari e conviventi, la pena base del reato è della reclusione da 2 a 6 anni.
Tuttavia, la pena può essere aumentata della metà, se i comportamenti vessatori sono commessi alla presenza o in danno di un minore, di una persona disabile o di una donna in stato di gravidanza (ex art. 572 comma 2 c.p.).
Inoltre, ai sensi del comma 3 dell’art. 572 c.p., se dai maltrattamenti derivi una lesione grave la pena è della reclusione da 4 a 9 anni.
Se derivi una lesione gravissima la reclusione è da 7 a 15 anni.
Se derivi la morte, invece, la reclusione è da 12 a 15 anni (pensiamo al caso in cui la vittima di violenza scelga di suicidarsi o a seguito delle percosse venga uccisa).
Sospensione condizionale della pena
La sospensione condizionale della pena è una delle cause di estinzione del reato – ovvero uno tra i fatti giuridici che l’ordinamento individua come ragione per escludere la punibilità dell’illecito compiuto – ed è disciplinata dagli articoli 163-167 del Codice Penale.
Con l’avvento del Codice Rosso e l’intenzione di accelerare la tutela garantita alle vittime di violenza di genere e violenza domestica, è stata inserita un’ulteriore previsione all’articolo 165 c.p. – “Obblighi del condannato”.
La Legge 19 luglio 2019, n. 69, ha infatti inserito nella norma il nuovo comma 4, il quale prevede che il colpevole del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi possa godere del beneficio solo se la pena sospesa sia “subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati”.
La decisione del giudice dovrà contenere l’indicazione del tipo di percorso di recupero che si ritiene maggiormente rispondente alle finalità e al caso concreto; gli obiettivi che si devono perseguire; la durata e il termine di conclusione dello stesso.
La procedibilità
Il reato ex art. 572 c.p., ovvero i maltrattamenti contro familiari e conviventi, è procedibile d’ufficio, ovvero ricevuta la denuncia della vittima, la Polizia Giudiziaria ha l’obbligo di attivarsi tempestivamente trasmettendo la notizia di reato al Pubblico Ministero.
Il Pubblico Ministero entro e non oltre 3 giorni dalla denuncia ha poi l’obbligo di ascoltare la vittima e procedere alle indagini che non potranno più essere archiviate senza aver prima ascoltato chi ha denunciato.
La condizione di procedibilità del reato indica il modo attraverso cui rendere nota all’Autorità giudiziaria la violazione dei propri diritti e a partire dalla stessa verranno eseguite le attività investigative idonee a raccogliere gli elementi utili a sostegno della denuncia sporta dalla vittima.
Dal momento che il reato è procedibile d’ufficio, la volontà eventuale della vittima di voler ritirare la propria denuncia-querela è del tutto indifferente poiché, una volta messa l’Autorità giudiziaria al corrente del reato, questa compirà tutti i procedimenti necessari ad accertare le circostanze.
In ogni caso, della richiesta di archiviazione o delle eventuali modificazioni alle misure cautelari applicate al colpevole, la vittima del reato ha l’obbligo di riceverne tempestiva comunicazione.
Giurisprudenza sui maltrattamenti in famiglia
La giurisprudenza è ricca di casi su cui la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi, dirimendo situazioni più o meno controverse.
Vediamo alcune delle fattispecie di maggiore interesse.
A proposito della condotta violenta:
- “Integra gli estremi del reato la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un’altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante, che non ricorre qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti”. Cassazione sezione VI, 23 gennaio 2019, n. 2935;
- “Le vessazioni e le sopraffazioni nei confronti delle vittime costituiscono elementi di per sé sufficienti della condotta a configurare il delitto di maltrattamenti anche quando intervallate da atteggiamenti privi di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, dal momento che le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo”. Cassazione, sezione VI, 8 marzo 2022, n. 14518.
Con riferimento al dolo generico richiesto dal reato:
- “Il dolo […] non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte aggressive e lesive, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima”. Cassazione, sezione VI, 14 luglio 2003. n. 33106;
- “Non rileva per l’integrazione del reato, nella specie i maltrattamenti in danno della moglie, il credo religioso dell’autore delle condotte, non potendo ritenersi che l’adesione ad un credo che non sancisca la parità dei sessi nel rapporto coniugale, giustifichi i maltrattamenti in danno della moglie”. Cassazione, sezione VI, 12 agosto 2009, n. 32824.
Il reato di maltrattamenti in famiglia tutela l’integrità psicologica, fisica dei contesti familiari, ma anche del minore che assistita alle aggressioni fisiche e verbali.
Il reato, infatti, può giungere anche a conseguenze disastrose, portando la vittima a non immaginare altra via d’uscita.
L’ordinamento, grazie anche ai lavori attuativi del Codice Rosso, interviene in tal senso e garantisce alla vittima di violenza un’immediata reazione a sua protezione e tutela.