La Suprema Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in tema di diffamazione e messaggi inviati a mezzo social network.
Secondo la Corte, non può parlarsi di diffamazione nel caso del messaggio inviato a un solo destinatario in chat privata e statuisce come l’uso del social non comporti l’accettazione del rischio di una maggiore diffusione.
Il fatto
Tizio citava in giudizio l'ex fidanzata Caia, sostenendo di essere stato denigrato e screditato agli occhi di amici e colleghi comuni a seguito dei messaggi inviati dalla donna a questi tramite chat private Facebook.
Secondo Tizio, infatti, il proposito di Caia sarebbe stato quello di volerlo isolare da amici e colleghi, danneggiando la sua reputazione, pertanto richiedeva il risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava Caia a risarcire il danno morale quantificato in euro 5.000. In secondo grado, tuttavia, la Corte d’Appello riteneva di rigettare integralmente la domanda risarcitoria di Tizio per insussistenza degli elementi costitutivi della diffamazione.
Secondo la Corte d’Appello, i messaggi inviati da Caia venivano indirizzati a un destinatario alla volta sotto forma di comunicazione riservata e pertanto riteneva che:
- dalla condotta di Caia era possibile ritenere non integrata la diffamazione per assenza dell’elemento oggettivo, dal momento che i messaggi inviati ai singoli destinatari nelle rispettive chat private non integrano la caratteristica della comunicazione diretta rivolta a una pluralità di persone;
- le comunicazioni inviati erano prive di contenuto denigratorio, ma frutto della semplice delusione sentimentale causati dalla fine della relazione sentimentale con Tizio.
Avverso tale pronuncia, Tizio ricorreva per Cassazione ritenendo che la Corte d’Appello avesse omesso di valutare l’idoneità della condotta tenuta da Caia alla luce del fatto che, ancorché messaggi inviati separatamente e privatamente, uno di questi era stato inoltrato e conosciuto da terzi.
I terzi estranei alla comunicazione diretta di Caia, avevano pertanto avuto conoscenza anche delle frasi e delle espressioni offensive rivolte nei confronti di Tizio, danneggiando la sua immagine anche al di fuori del contesto delle sue relazioni personali.
La decisione
La Corte di Cassazione, sezione 3, civile, con ordinanza n. 5701 resa il 4 marzo 2024, investita della questione, ha rigettato il ricorso proposto da Tizio sulla scorta del fatto che, ancorché non lusinghiere le espressioni diffuse da Caia nei confronti di Tizio e diretta agli amici, tradivano una delusione personale dovuta alla fine della relazione e non di certo una volontà offensiva.
In secondo luogo, gli Ermellini hanno ritenuto non configurabile la diffamazione per insussistenza degli elementi costitutivi, tra cui l’assenza della pluralità di destinatari.
Le comunicazione, ovvero i messaggi, rese da Caia erano stato inviate privatamente e a singoli destinatari.
Potrebbe ritenersi integrata la fattispecie solo nel caso in cui la donna avesse provocato e aizzato i singoli destinatari a diffondere all’esterno i propri messaggi.
Infine, la Suprema Corte ha ritenuto di non sia possibile affermare che l’autrice della condotta, sol perché abbia scelto il mezzo della chat sul social network, abbia accettato il presunto rischio di diffusione consapevolmente.