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9 Settembre 2023
13:00

Il diritto alla salute

Il diritto alla salute occupa una posizione centrale nel nostro ordinamento. Esso trova espresso riconoscimento nella norma di cui all'art. 32 della Costituzione, ed è parimenti contemplato in una serie di fonti di carattere sovranazionale.

Il diritto alla salute
Avvocato
il diritto alla salute

La tutela del diritto alla salute occupa una posizione centrale nell'ambito del nostro ordinamento e nelle fonti di carattere sovranazionale.

Come indicato nel Glossario dell'OMS la salute va intesa secondo un'accezione ampia e cioè come "Uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’assenza di malattia o di infermità".

La tutela della salute nelle fonti di carattere sovranazionale

Nelle fonti di carattere sovranazionale il diritto alla salute è richiamato in numerosi articoli.

Ai sensi dell’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 è infatti stabilito che: “Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione,al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità,vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure e assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso devono godere della stessa protezione sociale”.

Ai sensi dell’art. 11 della Carta Sociale Europea del 1961 è stabilito che: “Per assicurare l’effettivo esercizio del diritto alla protezione della salute, le Parti si impegnano ad adottare sia direttamente sia in cooperazione con le organizzazioni pubbliche e private, adeguate misure volte in particolare: 1 – a eliminare quanto possibile le cause di una salute deficitaria; 2 – a prevedere consultori e servizi d’istruzione riguardo al miglioramento della salute e allo sviluppo del senso di responsabilità individuale in materia di salute; 3 – a prevenire, per quanto possibile, le malattie epidemiche, endemiche e di altra natura, nonché gli infortuni”.

All'art. 12 del Patto Internazionale sui Diritti Economici Sociali e Culturali adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 viene stabilito che: “Gli Stati parte del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire. Le misure che gli Stati parte del presente Patto dovranno prendere per assicurare la piena attuazione di tale diritto comprenderanno quelle necessarie ai seguenti fini: a) la diminuzione del numero dei nati morti e della mortalità infantile, nonché il sano sviluppo dei minori; b) il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene ambientale e industriale; c) la profilassi, la cura e il controllo delle malattie epidemiche, endemiche, professionali e d’altro genere; d) la creazione di condizioni che assicurino a tutti servizi medici e assistenza medica in caso di malattia”.

Nella Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazione della biologia e della medicina firmata a Oviedo, il 4 aprile 1997 viene stabilito che: “L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”.

All’art. 3 è inoltre stabilito che: "Le Parti prendono, tenuto conto dei bisogni della salute e delle risorse disponibili, le misure appropriate in vista di assicurare, ciascuna nella propria sfera di giurisdizione, un accesso equo a cure della salute di qualità appropriata”.

Fondamentale, nella Convenzione di Oviedo, il riferimento al consenso del paziente quale fondamento del trattamento medico, in quanto espressione della libera autodeterminazione del soggetto.

All’art. 5 è codificata la norma fondamentale in tema di consenso: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.

Quanto al diritto dell’Unione europea, all’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea viene stabilito che “Ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche e attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”.

Il diritto alla salute nella Costituzione

Nella nostra Costituzione, la tutela della salute è realizzata dalla norma di cui all’art. 32:La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Notevole è l’opera di interpretazione giurisprudenziale operata dalla Corte costituzionale sul punto, ben sintetizzata dalla sentenza del 20 dicembre 2022, n. 256.

La Corte ha ribadito, in tale circostanza, che “La tutela apprestata al diritto alla salute dall'art. 32 Cost. non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone, fermo restando che da ciò non può derivare la compressione del nucleo irriducibile del diritto alla salute, quale ambito inviolabile della dignità umana”.

La Corte costituzionale ha cioè individuato un “nucleo rigido” da cui sarebbe costituito il diritto alla salute, che è considerato “incomprimibile”.

Il diritto alla salute nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale: l’obbligatorietà dei vaccini

L'opera di bilanciamento operata dal legislatore del diritto alla salute con altri diritti costituzionalmente tutelati è alquanto complessa.

Sul punto si è pronunciata la Corte costituzionale in molteplici occasioni.

Di notevole interesse la recente sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2023 n. 14

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui prevede l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 per il personale sanitario e la sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie conseguente all’inadempimento dello stesso.

La questione di legittimità costituzionale veniva sollevata per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34 e 97 della Costituzione.

Veniva inoltre sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 Cost.

La Corte costituzionale ha dovuto fornire delle risposte in ordine alle ipotesi in cui entrino in conflitto la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute, contemplate dall’ art. 32 Cost.

La Corte ha richiamato, in proposito, la sentenza della stessa Corte costituzionale n. 118 del 1996 con la quale è stato chiarito come “il perseguimento dell’interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute di quanti a essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile”.

Nella stessa pronuncia è stato affermato che "[t]ali trattamenti sono leciti, per testuale previsione dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta a una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 1994, con l’esigenza che si prevedano a opera del legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto” (Corte costituzionale, sentenza n. 118 del 1996).

Nella sentenza più volte richiamata, viene infine stabilito questo principio.

E’ di notevole interesse, in quanto attiene alle “scelte tragiche” del diritto ovvero a quell’ineliminabile rischio di complicanze che sottende ogni scelta, e che non può essere equamente ripartito tra tutti.

La legge che impone l’obbligo della vaccinazione, ha affermato la Corte costituzionale, “compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi e individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate “scelte tragiche” del diritto: le scelte che una società ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro caso, l’eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio di un male (nel nostro caso, l’infezione che, seppur rarissimamente, colpisce qualcuno dei suoi componenti). L’elemento tragico sta in ciò, che sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri. Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche […] la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a questo genere di scelte pubbliche”.

La Corte costituzionale ha inoltre ricordato come il bilanciamento tra il diritto alla salute individuale e quello collettivo sia divenuta operazione ancora più drammatica, considerato l’avvento della pandemia.

Fatte queste doverose premesse, la Corte costituzionale ha negato la sussistenza di profili di incompatibilità costituzionale della previsione dell'obbligo vaccinale del personale sanitario e della previsione della sospensione come conseguenza in caso di inadempimento.

Ha affermato la Corte che: “Il principale dato medico-scientifico garantito dalle autorità istituzionali nazionali ed europee, preposte al settore, è costituito, fin dal momento dell’adozione della disposizione censurata e a tutt’oggi, dalla natura non sperimentale del vaccino e dalla sua efficacia, oltre che dalla sua sicurezza. Relativamente ai primi due profili – che lo stesso giudice rimettente sostanzialmente non contesta – convergono le conclusioni dell’AIFA, dell’ISS e del Segretariato generale del Ministero della salute”.

Quando si è in presenza di una questione concernente il bilanciamento tra due diritti, infatti, ha stabilito la Corte, “il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalità, che richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi”.

Stesso rispetto della proporzionalità viene individuato dalla Corte con riguardo alla conseguenza prevista “in termini di sacrificio dei diritti dell’operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus”.

Per la Corte, infatti, “il legislatore ha introdotto, sin dall’inizio, una durata predeterminata dell’obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all’andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito”.

La scelta è proporzionata anche “quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione”.

In ultimo, la Corte si è soffermata sugli aspetti risarcitori relativi ai danni da vaccino.

In primo luogo, resta fermo il diritto a un indennizzo in caso di eventi avversi “comunque riconducibili al vaccino, inerenti a quel rischio ineliminabile di cui si è già detto sopra”.

Inoltre, resta ferma la responsabilità civile di cui all’art. 2043 del Codice civile per l’ipotesi in cui “il danno ulteriore sia imputabile a comportamenti colposi attinenti alle concrete misure di attuazione […] o addirittura alla materiale esecuzione del trattamento stesso” (sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 1990).

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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