Principio di importanza primaria nelle democrazie moderne, il diritto alla libera manifestazione del pensiero è un valore fondamentale di civiltà e rappresenta la sintesi del percorso storico, che ha infine condotto all’emancipazione della società da ideologie fondate su inaccettabili visioni autoritarie.
La storia è soprattutto, in tale ottica, un percorso di progressiva affermazione dei valori di giustizia che devono fondare la società, un cammino tormentato, costellato di sacrifici ma anche di trionfi.
Le prime codificazioni della storia, in tale ottica, costituiscono approdi fondamentali, il riconoscimento espresso di alcuni principi ha determinato una notevole svolta nel percorso di progressiva affermazione dei diritti umani.
Le prime codificazioni appartengono a epoche risalenti, la Magna Carta Libertatum risale al 1215, il Bill of Rights è riferibile al 1689, sono documenti che riguardano epoche lontane che erano tuttavia già segnate da evidente fermento.
Nella fase successiva alla Rivoluzione francese del 1789, l’approvazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e della Costituzione francese del 1791, ha costituito un ulteriore passo in avanti verso l’affermazione dei diritti della persona.
Il diritto alla libera manifestazione del pensiero riflette tutte le tensioni di fondo del rapporto cittadino-autorità ed è diretta espressione del principio democratico.
Come si manifesta la libertà di pensiero e come si tutela
Essere libero di manifestare il proprio pensiero vuol dire poter esporre la propria opinione senza temere di incorrere in qualsivoglia genere di repressione o censura.
Manifestare liberamente il proprio pensiero vuol dire, dunque, in primo luogo, esercitare il diritto di critica.
Il diritto di critica si sostanzia nella possibilità di esprimere la propria opinione, anche se in forma di dissenso.
La differenza principale tra diritto di critica e diritto di cronaca consiste nel fatto che il diritto critica è espressione di una valutazione soggettiva mentre l’esercizio del diritto di cronaca ha a che fare con la descrizione del dato obiettivo ovvero il fatto storico, così come si è svolto.
Nonostante vi siano tali differenze, entrambe le manifestazioni di libertà di espressione del proprio pensiero sono state sottoposte a limiti precisi dalla giurisprudenza.
Sia il diritto di critica che il diritto di cronaca, infatti, devono rispettare il criterio della continenza, che riguarda l’appropriatezza delle espressioni utilizzate; della pertinenza, che è relativo all’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e quello della verità dei fatti stessi.
Come ha affermato la Corte di cassazione, sezione III, con sentenza del 13 maggio 2014, n. 10337, infatti, il diritto di critica, nonostante si sostanzi in una manifestazione di un'opinione soggettiva, deve pur sempre esercitarsi non soltanto in presenza di un interesse pubblico all'interpretazione critica della notizia commentata, ma anche nel rispetto della continenza verbale.
La libera manifestazione del pensiero, infatti, va sempre bilanciata con il diritto alla reputazione e all'onore.
La Corte Costituzionale, con ordinanza del 26 giugno 2020, n. 132 ha auspicato una complessiva rimeditazione, anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU e della posizione del Consiglio d'Europa, del bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, con riferimento particolare all'attività giornalistica.
Per la Corte costituzionale, infatti, la libera manifestazione del pensiero va salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, ma il suo legittimo esercizio richiede di essere correttamente bilanciato con altri diritti.
Deve infatti essere tutelata la reputazione della persona, connessa alla sua dignità, che, ricorda la Corte, costituisce un diritto inviolabile ai sensi dell'art. 2 Cost., una componente essenziale del diritto alla vita privata di cui all'art. 8 CEDU, e inoltre un diritto espressamente riconosciuto dall'art. 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.
Espressione del diritto di cronaca è anche il diritto a informare e informarsi.
Il diritto all’informazione implica la possibilità di godere di una pluralità di fonti da cui trarre le notizie d’interesse.
Il pluralismo nell’informazione, dunque, fonda la possibilità per ciascun individuo di trarre da quante più fonti possibili le informazioni.
Il pluralismo nell’informazione, in sostanza, è posto a presidio della stessa libertà di opinione poiché limita o almeno dovrebbe costituire un limite alla coartazione della volontà.
La libertà di manifestazione di pensiero nelle democrazie moderne
Il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero è espressione diretta del principio democratico.
In un Paese democratico, infatti, nessuno può subire limitazioni nel manifestare la propria opinione.
Il fondamento costituzionale del principio di libera manifestazione del pensiero, nel nostro Paese, lo ritroviamo all'art. 21 Cost. ove è disposto:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
Nella nostra Costituzione, dunque, viene garantita la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di stampa, che rappresenta una delle sue espressioni.
Secondo la Costituzione, dunque, tutti possono manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di espressione.
La stampa:
- non può essere contraria al buon costume;
- non può essere oggetto di censura;
- non può essere oggetto di autorizzazione;
- non può essere oggetto di sequestro;
- può essere sequestrata solo in caso di delitti e per atto motivato dell’autorità giudiziaria ovvero da ufficiali di polizia giudiziaria e in questo caso il giudice deve convalidare il sequestro entro 48 ore.
Come anticipato, il diritto alla libera manifestazione del pensiero è codificato anche in ambito sovranazionale.
Il riferimento al diritto alla libera manifestazione del pensiero si trova, in primo luogo, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’art. 11.
Viene infatti riconosciuta espressamente la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
Anche nel primo Emendamento della Costituzione americana è tutelata la libera manifestazione del proprio pensiero: “Il Congresso non potrà porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione o per proibirne il libero culto, per limitare la libertà di parola o di stampa o che limitino il diritto della gente a riunirsi in forma pacifica e a presentare petizioni al governo per riparare alle ingiustizie”.
Ulteriore riferimento è presente nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Illuminante il preambolo dove viene ricordato che “Il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità, e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo”.
Nel preambolo è inoltre scritto che “è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione”.
Queste riflessioni rivestono carattere fondamentale e rivelano la necessità che i diritti a tutela della persona umana trovino una codificazione espressa.
All’articolo 18 viene dunque stabilito che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”.
All’art. 19 è inoltre stabilito che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
Nessuno, dunque, può essere molestato per aver espresso legittimamente la propria opinione.
In un Paese democratico, in definitiva, non vi possono essere limiti che vadano a incatenare il pensiero libero.
Gli unici limiti sono rappresentati, in sostanza, dalle previsioni del Codice penale.
Si può manifestare la propria opinione liberamente, ma questa opinione non può ledere la reputazione o l’onore altrui.
Qualora la manifestazione libera del pensiero travalichi i limiti prestabiliti, può risolversi, ad esempio, nel reato di diffamazione o di calunnia, ovvero tramutarsi in veri e propri atti di istigazione, che, se integranti figure di reato, sono sanzionati espressamente dal Codice penale.
La libertà di manifestazione del pensiero nel mondo digitale
Nell’epoca attuale, caratterizzata dalla massiccia presenza dei social nella nostra vita quotidiana, si pone da qualche anno il problema di regolamentare la libertà di espressione del proprio pensiero nel mondo digitale.
Alla base dell'utilizzo dei social vi è infatti, sovente, un grosso fraintendimento.
Si può credere di essere liberi di praticare l’offesa gratuita, senza doverne rispondere nelle sedi opportune, in quanto i social possono apparire come un luogo franco.
Non è affatto così.
I social sono paragonabili a una pubblica piazza.
Quanto detto sintetizza il pensiero della giurisprudenza.
La Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza del 25 marzo 2022, n. 10762 ha infatti stabilito che: “La diffusione su di una piattaforma social di un messaggio dal contenuto diffamatorio posta la potenziale enorme diffusione del messaggio che per la natura del mezzo utilizzato è capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persona, integra una condotta aggravata del predetto reato”.
La diffamazione su facebook è dunque un’ipotesi di diffamazione aggravata.
Le offese e l’odio manifestato sui social possono avere conseguenze precise.
Soprattutto se questo odio può avere come conseguenza quella di diffondere, ad esempio, opinioni di stampo razzista.
A proposito dell’hate speech va richiamato l’art. 14 della CEDU ove è stabilito che: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.
Sul punto la Corte di Cassazione, con la sentenza n.25759/20222, ha ripercorso la consolidata giurisprudenza della Corte EDU che ha affermato che “l’istigazione all'odio non richiede necessariamente il riferimento ad atti di violenza o delitti già consumati in danno del ricorrente, in quanto i pregiudizi rivolti alle persone ingiuriando, ridicolizzando o diffamando talune frange della popolazione e isolandone gruppi specifici – soprattutto se deboli – o incitando alla discriminazione, sono sufficienti perché le autorità interne privilegino la lotta contro il discorso diffamatorio, a fronte di una libertà di espressione irresponsabilmente esercitata e che provoca offesa alla dignità e alla sicurezza di queste parti o gruppi della popolazione”.
La Cassazione ha inoltre ricordato gli indici individuati dalla Corte Edu per valutare l’hate speech ovvero il modo in cui la comunicazione è effettuata, il linguaggio usato, il contesto in cui è inserita, il numero delle persone cui è rivolta l'informazione, la posizione ricoperta dall'autore della dichiarazione e “la posizione di vulnerabilità o meno del destinatario della stessa”.
La Corte di Cassazione, sez. I, con sentenza del 3 febbraio 2022, n. 3808 ha stabilito che: “Integra il reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, nonché sulla negazione della Shoah la distribuzione di volantini e l'affissione di manifesti nella pubblica via inneggianti alla superiorità della razza bianca contro la presenza del giudaismo in Europa, ispirati al nazionalsocialismo e alla negazione dell'Olocausto ebraico, non potendo essere invocata la scriminante del diritto alla libera espressione del pensiero nella diffusione di asserzioni negazioniste o "revisioniste" del tutto avulse dalla critica e dall'analisi storica di fatti definitivamente accertati e documentati dalla comunità internazionale”.
Quest’ultima sentenza assume un valore centrale, in quanto la Corte chiarisce la valenza che assume il negazionismo.
La Corte di Cassazione stabilisce, inoltre, che inneggiare alla superiorità di una razza non può assolutamente equivalere a manifestare liberamente il proprio pensiero.