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19 Settembre 2023
11:00

Danno non patrimoniale: cos’è e come si quantifica

Il danno non patrimoniale è il danno alla sfera personale del soggetto che si sostanzia nella lesione di valori costituzionalmente tutelati.

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Danno non patrimoniale: cos’è e come si quantifica
Avvocato
danno non patrimoniale

Il danno non patrimoniale è il danno alla sfera personale del soggetto che si sostanzia nella lesione di valori costituzionalmente tutelati.

Sulla base di quanto stabilito ai sensi dell’art. 2059 del Codice civile, “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.

La risarcibilità del danno non patrimoniale, dunque, deve essere espressamente prevista, come nelle ipotesi in cui il danno derivi dal compimento di un reato.

Nell’ipotesi in cui la risarcibilità del danno non patrimoniale non sia espressamente prevista, tuttavia, la stessa deve considerarsi ammessa sulla scorta di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del Codice civile ovvero nei casi in cui sia stato leso un diritto della persona tutelato dalla Costituzione (cfr. Corte di Cassazione, sez. un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972).

Cosa si intende per danno patrimoniale

Il danno si definisce patrimoniale quando si sostanzia in una lesione del patrimonio del soggetto. Nell’ambito della categoria del danno patrimoniale, è possibile individuare il danno emergente e il lucro cessante, che sono due componenti di questa tipologia di danno.

Il danno emergente rappresenta l’effettiva lesione patrimoniale subita dal soggetto, mentre il lucro cessante è relativo al mancato guadagno realizzato.

Che cos'è il danno non patrimoniale

Il danno non patrimoniale si sostanzia nella lesione di valori costituzionalmente tutelati.

Nell’ambito della categoria del danno non patrimoniale, è possibile individuare, quali componenti di tale tipologia di danno, il danno biologico, il danno morale, il danno esistenziale.

Quali sono i danni non patrimoniali

Il danno non patrimoniale è unitario, non bisogna credere che vi siano autonome categorie di danno risarcibili. E’ tuttavia possibile individuare nell’ambito di tale categoria una serie di voci, che rappresentano componenti del danno non patrimoniale.

La liquidazione del danno non patrimoniale, dunque, dovrà avvenire considerando il fatto che le varie voci di danno confluiscono nella categoria unitaria, evitando, dunque, duplicazioni risarcitorie.

Ecco le componenti che vengono usualmente individuate in seno alla categoria del danno non patrimoniale.

  • Il danno biologico è relativo a una lesione psico-fisica dell’integrità della persona e, che non va considerata in re ipsa, ma in relazione alle conseguenze pregiudizievoli patite dal soggetto.
  • Il danno morale si sostanzia nella sofferenza psichica patita da un soggetto in conseguenza di un evento dannoso.
  • Il danno esistenziale è relativo, come specificato varie volte in giurisprudenza, al “fare areddituale” del soggetto. Il danno esistenziale sta cioè a indicare un mutamento peggiorativo della qualità della vita di una persona conseguente a un evento lesivo.

Differenza tra danni patrimoniali e non patrimoniali

I danni patrimoniali riguardano la lesione del patrimonio del soggetto, nella loro duplice voce di danno emergente e lucro cessante. I danni non patrimoniali attengono alla sfera intima del soggetto, alla sofferenza psichica subita, al peggioramento della qualità della vita.

Il danno patrimoniale, inoltre, è connotato da atipicità in quanto è stabilito all’art. 2043 del Codice civile che “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona  ad  altri  un  danno ingiusto, obbliga colui che ha  commesso  il  fatto  a  risarcire  il danno”.

Il danno non patrimoniale, che, come anticipato, trova il suo referente normativo nell’art. 2059 del Codice civile, è connotato da tipicità.

Non sempre la distinzione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale è così agevole.

In giurisprudenza è stato stabilito, ad esempio, che l’invalidità che non consente alla vittima di lavorare non integra la lesione di un modo di essere del soggetto, ovvero un danno biologico dello stesso, ma “un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di “chance” ulteriore e distinto da rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 del Codice civile”(Corte di Cassazione, sez. III, sentenza del 12 giugno 2015, n. 12211).

Cosa si prende in considerazione per il calcolo del danno non patrimoniale

Il calcolo del danno non patrimoniale non è agevole, in quanto quelli che vengono in rilievo sono gli aspetti legati alla sofferenza interiore di ciascuno, aspetti difficilmente quantificabili in termini monetari.

In ipotesi di danno esistenziale si prendono in considerazione gli aspetti della vita sui quali ha effettivamente avuto impatto la lesione.

Nella valutazione del danno non patrimoniale subito dal soggetto si prendono in considerazione vari parametri tra cui, ad esempio, nel caso di perdita di un parente, il vincolo affettivo sussistente.

Nelle cosiddette “tabelle milanesi” si fa riferimento alla “qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto, sia in termini di sofferenza interiore patita (da provare anche in via presuntiva) sia in termini di stravolgimento della vita della vittima secondaria (dimensione dinamico relazionale)”.

La casistica sul tema è estremamente ampia, per questo motivo sono state elaborate le citate “tabelle milanesi” sulla quantificazione del danno non patrimoniale.

Il problema che maggiormente si pone, in ordine alla quantificazione del danno non patrimoniale, infatti, riguarda possibili duplicazioni risarcitorie e la possibile mancanza di uniformità nelle decisioni relative a casi analoghi.

Con l’adozione delle Tabelle milanesi, composte da una serie di caselle entro le quali è possibile sussumere il caso considerato, si è tentato di conferire uniformità alla risoluzione di differenti tipologie di controversie.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10579/2021 ha stabilito che: “la tabella elaborata dall'ufficio giudiziario definisce un complesso di caselle entro le quali sussumere il caso, analogamente a quanto avviene con la tecnica della fattispecie, in funzione dell'uniforme risoluzione delle controversie […]. Quando il sistema del punto variabile non è seguito la tabella non garantisce la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell’uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza […]. Garantisce invece uniformità e prevedibilità una tabella per la liquidazione del danno parentale basata sul sistema a punti, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione”.

Sul punto è estremamente utile consultare questo documento con le tabelle milanesi aggiornate al metodo di liquidazione del danno da perdita di un parente (aggiornamento al 2022).

La Corte di Cassazione, sez. III, con sentenza del 31 gennaio 2019, n° 2788, ha precisato che il danno non patrimoniale si articola in una serie di aspetti o voci “aventi funzione meramente descrittiva”, e che sono “il danno morale (identificabile nel patema d'animo o sofferenza interiore subiti dalla vittima dell'illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato), dei quali – ove essi ricorrano cumulativamente – occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell'integralità del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione, da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto (o voce) venga computato due (o più) volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni”.

Il compito cui è chiamato il giudice ai fini della relativa liquidazione, secondo la Cassazione, “va distinto concettualmente in due fasi: la prima, volta a individuare le conseguenze ordinarie inerenti al pregiudizio, cioè quelle che qualunque vittima di lesioni analoghe subirebbe (tenuto conto che, secondo la definizione di cui all'art. 138, il danno biologico s'intende come la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito); la seconda, volta a individuare le eventuali conseguenze peculiari, cioè quelle che non sono immancabili, ma che si sono verificate nel caso specifico. Le prime vanno monetizzate con un criterio uniforme; le seconde con criterio ad hoc scevro da automatismi”.

La prova del danno non patrimoniale

La prova del danno non patrimoniale non è affatto semplice, in quanto involge aspetti della vita di un soggetto che non possono divenire facilmente oggetto di quantificazione.

Va dunque provata l’esistenza del danno e la lesione effettiva dell’interesse giuridicamente protetto dall’ordinamento.

Ai fini della prova del danno biologico, assume valore fondamentale il contenuto della perizia medico-legale.

Quanto alla prova del danno morale, in quanto particolarmente complesso da provare, potrà essere fatto riferimento al fatto notorio, alle presunzioni, alle massime di comune esperienza.

Il risarcimento del danno non patrimoniale

Il danno non patrimoniale, dunque, si risarcisce secondo specifici parametri indicati nelle tabelle milanesi.

Va inoltre ricordato che il risarcimento del danno non patrimoniale può trovare la sua fonte nella responsabilità contrattuale o nella responsabilità extracontrattuale.

Il risarcimento del danno non patrimoniale non deve comportare duplicazioni, per questo motivo le varie voci di danno (biologico, morale, esistenziale) devono confluire nell’ambito di un’unica categoria.

Quanto alla risarcibilità del cosiddetto danno tanatologico ovvero il danno da morte, è stato affermato che lo stesso è costituito dalla perdita della vita, “che è un bene diverso rispetto alla salute,fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “Iure hereditatis” di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso- dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo- della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo"(Cassazione, sez. unite, 22 luglio 2015, n. 15350).

Chi valuta il danno

Il danno è valutato dal giudice. Utile, ai fini della quantificazione del risarcimento del danno non patrimoniale, la perizia medico-legale.

Cosa dice la giurisprudenza in materia

La giurisprudenza sul danno non patrimoniale è molto vasta.

Si registrano alcuni contrasti interpretativi, in particolare sulla risarcibilità delle varie voci di danno, contrasti che sono sorti in quanto è parso che la liquidazione delle varie voci di danno non patrimoniale si risolvesse nel riconoscimento di duplicazioni risarcitorie.

Il danno biologico

Quanto al danno biologico, la Corte di Cassazione, sez. III civ., con sentenza del 2 settembre 2022 n. 25887 ha precisato che in mancanza di effettive conseguenze pregiudizievoli, non si può configurare un danno risarcibile.

La Corte di Cassazione ha dunque chiarito che in caso di danno c.d. lungo latente, il risarcimento deve essere liquidato solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell’infezione.

Nello stesso senso la Corte di Cassazione, sezione III, con sentenza del 17 febbraio 2023, n. 5119 ha stabilito che “in caso di danno cd. lungolatente (nella specie, contrazione di epatite C, asintomatica per più di venti anni, derivante da trasfusione), il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione”.

Sulla base dello stesso principio, la Corte di Cassazione, sezione III, ordinanza 10 maggio 2023, n. 12605 ha affermato che “la presenza di postumi macropermanenti (nella specie, del 50%) non consente di desumere automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima, potendo per altro verso integrare un danno da lesione della capacità lavorativa generica il quale, risolvendosi in una menomazione dell'integrità psico-fisica dell'individuo, è risarcibile in seno alla complessiva liquidazione del danno biologico”.

Il danno morale

Quanto alla risarcibilità del danno morale, la Corte di Cassazione, sez. III, con ordinanza 12 luglio 2023, n. 19922 ha sostenuto che, “ai fini della liquidazione del danno morale, ontologicamente diverso dal danno biologico, ben possono essere utilizzate le Tabelle milanesi, nelle versioni successive al 2008, laddove comprendono nell'indicazione dell'importo complessivo del danno anche una quota diretta a risarcire il danno morale, secondo il criterio logico-presuntivo di proporzionalità diretta tra gravità della lesione e insorgere di una sofferenza soggettiva, a condizione che nel caso concreto tale liquidazione sia giustificata da un corretto assolvimento dell'onere di allegazione e prova e senza riconoscere ulteriori importi, altrimenti incorrendosi in una duplicazione risarcitoria”.

La Corte di Cassazione, sezione VI, con ordinanza 13 aprile 2022, n. 12060 ha stabilito che: “Il danno morale, quale sofferenza interiore patita dal soggetto leso, si realizza nel momento stesso in cui l'evento dannoso si verifica, di modo che la sua liquidazione dev'essere effettuata con riferimento a tale momento, senza che assuma rilievo la durata del periodo di residua sopravvivenza della vittima, come invece accade con riferimento alle ripercussioni afferenti alla sfera dinamico-relazionale del soggetto, naturalmente suscettibili di proiezione futura in rapporto alla sua effettiva permanenza in vita”.

Il danno esistenziale

Come anticipato va segnalato che una parte della giurisprudenza ha negato consistenza all’autonoma categoria del danno esistenziale.

In tal senso si è espressa la Corte di cassazione, sez. un., con sentenza dell’11 novembre 2008, n. 26972 e più di recente la Corte di cassazione, sezione III, sentenza 13 gennaio 2016, n. 336.

La Cassazione ha affermato che "non è ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria del "danno esistenziale", in quanto, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., sicché la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una non consentita duplicazione risarcitoria; ove, invece, si intendesse includere nella categoria i pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, la stessa sarebbe illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili alla stregua del menzionato articolo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la decisione del giudice di merito di non liquidare, con voce autonoma, il danno esistenziale da morte del congiunto, per essere stato già liquidato il relativo danno non patrimoniale comprensivo sia della sofferenza soggettiva che del danno costituito dalla lesione del rapporto parentale e del conseguente sconvolgimento dell'esistenza)”.

Nello stesso senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. IV, sentenza 23 febbraio 2021, n. 6913: “In tema di riparazione per ingiusta detenzione, deve escludersi che tra le conseguenze ulteriori indennizzabili possa essere ricompresa una voce a titolo di danno esistenziale, perché il pregiudizio che con questa tipologia di danno non patrimoniale viene evidenziato non è diverso ed autonomo da quello conseguente alla stessa privazione della libertà personale, di per sè idonea, da sola, a sconvolgere per un periodo consistente le abitudini di vita della persona. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva rigettato la richiesta di risarcimento di ulteriori danni derivanti dal clamore mediatico avuto dalla vicenda processuale)”.

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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