Gli elementi del contratto costituiscono il contenuto della stipulazione e si distinguono in elementi essenziali del contratto ed elementi accidentali del contratto.
Sono considerati essenziali, gli elementi la cui mancanza determina la nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418 c.c.
Gli elementi accidentali, al contrario, possono essere presenti o meno nella stipulazione contrattuale.
Vediamo, in dettaglio, quali sono gli elementi essenziali e quali sono gli elementi accidentali del contratto, anche attraverso l’analisi delle più recenti pronunce giurisprudenziali.
Gli elementi essenziali del contratto
Sono elementi essenziali del contratto, ai sensi dell’art. 1325 del Codice civile:
- l’accordo delle parti
- la causa
- l’oggetto
- la forma, quando è prescritta dalla legge a pena di nullità.
Vediamo, in dettaglio, in cosa consistono gli elementi essenziali del contratto.
La forma: la manifestazione della volontà
La forma è il modo in cui la volontà delle parti si manifesta esteriormente.
La forma del contratto è libera, ma la legge può prescrivere il rispetto di una determinata forma per la conclusione del contratto.
Ad esempio, per il contratto di compravendita immobiliare è richiesta la forma scritta “ad substantiam”.
Questo vuol dire che la forma scritta è requisito di validità di tale contratto.
Qualora la forma scritta sia richiesta “ad substantiam”, cioè, essa è elemento essenziale del contratto e la sua mancanza determina la nullità della stipulazione contrattuale.
I contratti che devono avere necessariamente forma scritta sono elencati ex art. 1350 c.c.: essi possono essere redatti per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Inoltre, secondo quanto stabilito dall’art. 1352 c.c., se le parti hanno convenuto che il contratto debba avere una determinata forma, quella forma deve essere considerata come voluta per la sua validità.
Diverso è il caso in cui la forma scritta sia richiesta “ad probationem” ovvero solo per la prova della stipulazione contrattuale.
In tale ipotesi, la mancanza della forma scritta non incide sulla validità del contratto ma solo sulla prova dello stesso.
La Corte di Cassazione, sezione II, con ordinanza del 26 gennaio 2024, n. 2558, ha stabilito che: “In tema di contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam (nella specie, preliminare di vendita immobiliare), l'operatività del principio secondo cui il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte, presuppone che detto documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l'individuazione o quantomeno l'individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente.
(In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto invalido il contratto preliminare per la mancata apposizione, nell'ultima pagina, della firma da parte della promittente alienante, ancorché contenente clausole meramente esplicative della volontà di impegnarsi a vendere, già manifestata nelle pagine precedenti regolarmente firmate)”.
Altra interessante pronuncia della Corte di cassazione è l’ordinanza del 24 ottobre 2023, n. 29422 con cui è stato stabilito che: “In tema di contratto di agenzia, l'art. 1742, comma 2, c.c., nel prevedere la forma scritta ad probationem, postula che la prova dell'accordo negoziale sia suscettibile d'essere fornita anche a mezzo di documenti diversi dalla scrittura contrattuale, purché essi abbiano ad oggetto direttamente le intese contrattuali ed il loro contenuto, non essendo sufficiente investano semplicemente circostanze fattuali dalle quali possa, se del caso, risalirsi, per via di inferenza logica, alla stipulazione del contratto”.
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza del 13 marzo 2024, n. 6704 si è invece pronunciata con riguardo al tema della forma del contratto di apprendistato.
La Corte ha stabilito che, “in tema di contratto di apprendistato, il requisito della forma scritta, previsto ratione temporis dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 167 del 2011, va inteso in senso funzionale, in quanto prescritto a pena di nullità "di protezione" di una delle parti contrattuali, sicché esso è rispettato solo quando è redatto per iscritto anche il piano formativo individuale”.
Interessante anche un'altra sentenza in tema di contratto di apprendistato.
La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza del 24 aprile 2023, n. 10826, ha stabilito che: “Il contratto di apprendistato, per la cui stipula è richiesta la forma scritta "ad substantiam", deve necessariamente contenere il piano formativo individuale nel corpo dell'atto, senza possibilità di rinvio ad un documento esterno, in quanto l'elemento professionalizzante qualifica la causa, con la conseguenza che la volontà negoziale del lavoratore deve formarsi sulla base della piena consapevolezza del percorso proposto e della sua idoneità per l'acquisizione della qualifica”.
Con riguardo al contratto d’opera stabilito con la P.A., invece, la Corte di Cassazionea Sezioni Unite, ha stabilito con ordinanza del 19 maggio 2023, n. 13849 che, “Se privo della forma scritta prevista "ad substantiam", il contratto d'opera professionale stipulato con la P.A. (ancorché rientrante in attività svolta "iure privatorum") è affetto da nullità, la quale rileva nel rapporto tra l'amministrazione e il professionista, ma giammai può costituire causa di esclusione della responsabilità di quest'ultimo nei confronti dei terzi”.
Infine, la Corte di Cassazione, sez. III, con ordinanza del 21 settembre 2023, n. 27057 ha stabilito che: “Nel regime giuridico delle tariffe a forcella per i trasporti su strada, dettato dalla l. n. 298 del 1974, ai fini della derogabilità della tariffa minima, ex art. 13 del d.m. 18 novembre 1982, la forma scritta dell'accordo è requisito richiesto "ad substantiam", con la conseguenza che deve escludersi l'inidoneità della fattura emessa dal vettore – sulla base di bolle di accompagnamento delle merce contenenti riferimenti ad accordi in deroga – a rappresentare la forma scritta dell'accordo, non essendo surrogabile l'onere formale con altri mezzi di prova, quali le presunzioni o dichiarazioni confessorie”.
L’accordo
L’accordo delle parti si realizza quando le volontà dei contraenti si incontrano.
All’art. 1326 c.c. è stabilito che il contratto è concluso nel momento in cui colui che ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.
La conclusione del contratto può essere istantanea oppure caratterizzata da trattative che possono anche sfociare in un contratto preliminare, seguito successivamente da un contratto definitivo.
L’accettazione deve essere conforme alla proposta effettuata, in caso contrario corrisponde a nuova proposta.
Sovente la giurisprudenza si è espressa con riguardo alla contestualità della proposta e dell’accettazione ai fini della conclusione del contratto.
La Corte di Cassazione, sez. III, con ordinanza del 21 novembre 2023, n. 32337 ha statuito che: “Al fine di soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam, i contratti conclusi dalla P.A. non postulano la necessaria contestualità di proposta e accettazione, essendo sufficiente che le stesse, pur se contenute in documenti distinti, siano consacrate in un unico testo. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto non integrato il suddetto requisito nel caso di una convenzione, sottoscritta dai professionisti proponenti, che era stata allegata e richiamata quale parte integrante dalla delibera con cui la giunta comunale, presieduta dal sindaco, aveva proceduto al conferimento del relativo incarico)”.
In altra interessante prouncia, la Corte di Cassazione, sez. II civile, con ordinanza del 30 giugno 2023, n. 18579, ha stabilito che: “Il requisito della forma scritta "ad substantiam", richiesto per la validità del compromesso e della clausola compromissoria, non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo esso realizzarsi anche con lo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione del deferimento della controversia ad arbitri. (Fattispecie relativa ad un contratto di fornitura di olio fondato su un ordine di acquisto seguito da accettazione contenente una clausola di arbitrato irrituale, alla quale aveva fatto seguito la conferma dell'ordine da parte dell'acquirente con espressa menzione di tale clausola)”.
Come si può ben dedurre, dunque, la contestualità di proposta e accettazione non è condizione indefettibile ai fini della formazione della volontà contrattuale.
In altra interessante pronuncia sul tema, la Corte di Cassazione, sezione II civile, con sentenza del 23 marzo 2022, n. 9476 ha stabilito che: “La notificazione dell'accettazione della donazione, prevista dall'art. 782, comma 2, c.c. per i casi in cui proposta ed accettazione siano contenuti in atti pubblici distinti, deve essere eseguita in modo rituale e costituisce requisito indispensabile per il perfezionamento del relativo contratto che, pertanto, prima del suo verificarsi non può considerarsi ancora concluso, con conseguente irrilevanza della prova della conoscenza, in capo al donante, dell'accettazione del donatario, ove acquisita aliunde”.
L’accettazione, è stato più volte, precisato, non può essere desunta dal silenzio della parte.
In tal senso, la Corte di Cassazione, sez. II civile, con sentenza del 30 agosto 2023, n. 25460, ha stabilito che: “In tema di formazione del contratto, l'accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l'onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell'altro”.
L’accettazione, inoltre, è frutto della libera volontà dell’oblato.
La Corte di Cassazione, sez. III, con sentenza del 27 dicembre 2016, n. 27017 ha stabilito che: “Non è configurabile una responsabilità precontrattuale in capo all'oblato in caso di mancata accettazione di una proposta contrattuale poziore nel tempo ed economicamente più vantaggiosa rispetto a quella diversa preferita, non gravando sul destinatario di plurime proposte contrattuali alcun obbligo di accettare quella ricevuta temporalmente per prima, ovvero di accettare l'offerta economicamente migliore, sicchè il medesimo è libero, in difetto di obblighi eventualmente insorgenti da una precorsa trattativa, di accettare la proposta ravvisata preferibile in base a considerazioni anche prescindenti da valutazioni di carattere meramente economico”.
Va inoltre distinta la forma in cui avviene l’accettazione dalla forma in cui l’accettazione viene comunicata.
La Corte di Cassazione, sez. II, con ordinanza del 18 gennaio 2023, n. 1462 ha infatti chiarito che: “Nei contratti che esigono la forma scritta "ad substantiam" e siano conclusi tra persone lontane, la forma dell'accettazione, su cui ricade il vincolo formale a pena di nullità, deve essere tenuta distinta dalla forma della comunicazione dell'accettazione – ossia dei mezzi di conoscenza dell'avvenuta accettazione per iscritto – che non esige alcun vincolo formale, sicché, ai fini della loro conclusione, è sufficiente che il proponente abbia avuto mera notizia dell'accettazione scritta della proposta, senza necessità della sua trasmissione”.
La causa
La definizione di causa del contratto è stata costantemente al centro del dibattito dottrinale.
Abbandonata definitivamente una prima impostazione in base alla quale la causa veniva sostanzialmente identificata con i motivi individuali alla base del contratto, si è affermata una concezione della causa di stampo oggettivistico.
In base a tale impostazione, la causa può essere definita quale funzione economico-sociale del contratto.
In tale ottica, il controllo di meritevolezza del contratto andrebbe condotto sulla base del seguente criterio: gli interessi perseguiti sarebbero meritevoli di tutela in quanto volti a soddisfare una utilità sociale.
Questa considerazione della causa quale funzione astratta della stipulazione contrattuale, sostanzialmente coincidente con il tipo di contratto legalmente previsto, è stata tuttavia criticata da coloro che invece hanno guardato alla causa del contratto quale funzione economico-individuale, ovvero sintesi degli effetti che il contratto mira a produrre.
Si è parlato, a tal proposito, di causa in concreto del contratto, ovvero di ragione pratica che è alla base dell’affare posto in essere dai singoli, e che può essere dedotta dall’analisi del complesso della regolamentazione contrattuale.
Negare la valenza della teoria che individua la causa quale funzione economico-sociale del contratto, sostanzialmente corrispondente con il tipo legale previsto dal legislatore, vuol dire abbracciare un concetto di causa in concreto che presuppone un giudizio di liceità fondato sulla valutazione degli interessi effettivamente perseguiti dalle parti con la stipulazione contrattuale.
Se, infatti, si identifica la causa del contratto con il tipo legale predisposto dal legislatore, il giudizio di liceità non trova spazio alcuno.
Ogni contratto, solo in quanto tipico, risulterebbe dunque giuridicamente lecito.
La teoria della causa in concreto del concreto reca, dunque, importanti risvolti con riguardo, in particolare, alla valutazione della liceità della stipulazione contrattuale.
Un contratto non può essere considerato lecito solo in quanto tipizzato dal legislatore: andrà valutato, di volta in volta, l’assetto concreto posto in essere dalle parti.
La causa del contratto deve essere lecita.
Secondo quanto dispone il Codice civile, all’art. 1343, la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
La causa si considera illecita anche quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.
Diversa è la disciplina predisposta con riguardo al motivo illecito: il contratto si considera illecito, infatti, quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune a entrambe (art. 1345 c.c.).
Interessante la giurisprudenza in tema di causa del contratto.
La Corte di Cassazione, sez. III, con ordinanza del 19 luglio 2023, n. 21128 ha stabilito che: “In tema di applicabilità della norma di cui all'art. 33, comma 2, lett. o), c.cons, l'incremento eccessivo e non giustificato del prezzo rispetto a quello iniziale, in quanto non suppone necessariamente che, nell'economia complessiva del rapporto, ne risulti per forza alterato l'aspetto funzionale dell'adeguatezza delle rispettive prestazioni, non incide sulla causa del contratto e non determina lo squilibrio tra le rispettive prestazioni ma assume la diversa qualificazione di presupposto di legittimazione dell'azione di recesso, per cui gli aumenti del prezzo, autorizzati ad iniziativa unilaterale del professionista, possono essere praticati "ad libitum" sino alla soglia dell'eccesso, la quale, se non è stata definita in anticipo dalle parti, deve essere verificata dal giudice in sede di contestazione dell'efficacia della clausola”.
Utile la lettura anche di altra sentenza della Corte di cassazione in occasione della quale è valutata la causa del contratto di lavoro.
La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza del 12 aprile 2021, n. 9556, ha infatti chiarito che: “La sopravvenuta e permanente inidoneità totale del lavoratore subordinato allo svolgimento dell'attività lavorativa, ex art. 2, comma 12, della l. n. 335 del 1995, configura un caso di impossibilità assoluta della prestazione per il venir meno della causa del contratto, sicché la risoluzione del rapporto è oggettivamente vincolata, perché consegue "al fatto in sé" dell'inidoneità psicofisica all'espletamento del lavoro, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà da parte del datore, né il rispetto del termine di preavviso, di modo che non è dovuta la relativa indennità sostitutiva. Pertanto, a detta ipotesi non può essere applicata la disposizione pattizia di cui all'art. 49 del c.c.n.l. Agenzie Fiscali 2002-2005, che si riferisce ad una inidoneità rapportata alle mansioni proprie della qualifica rivestita e cioè alla possibilità del lavoratore di svolgere, presso il datore, un proficuo lavoro, tanto che l'Amministrazione "può" procedere alla risoluzione del rapporto, manifestando la volontà di esercitare il recesso cui è collegato il preavviso”.
La Corte di Cassazione, sez. III, con ordinanza del 8 giugno 2023, n. 16367 ha inoltre stabilito che: “In tema di "sale and lease back", contratto socialmente tipico, ai fini della violazione del divieto di patto commissorio non è necessaria la congiunta ricorrenza dei tre indici sintomatici, quali l'esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l'impresa venditrice utilizzatrice, le difficoltà economiche di quest'ultima e la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente, in quanto assume rilevo fondamentale che la complessiva operazione negoziale sia finalizzata a realizzare una causa concreta di garanzia, in luogo dell'effettivo trasferimento dei beni, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito, anche sulla base di altri idonei indici rivelatori”.
Altra interessante sentenza in tema di valutazione della causa in concreto del contratto è quella pronunciata da Corte di Cassazione, sezione III civile, del 17 gennaio 2017, n. 921.
La Corte di Cassazione ha stabilito che: “L’accordo con il quale una parte si obbliga ad acquistare periodicamente, per conto dell’altro contraente, le quote di un sistema del “Superenalotto” da essa stessa elaborato e predisposto, custodendole ed anticipandone il costo, con l’intesa che il regolamento dei conti debba avvenire con cadenza settimanale, costituisce un contratto atipico la cui causa concreta è resa palese dalle contrapposte obbligazioni, le quali escludono la gratuità del negozio e tendono ad un risultato del tutto lecito, atteso che la funzione concretamente realizzata è quella di consentire ad un soggetto l’esercizio di un gioco d’azzardo regolato e posto sotto il controllo dello Stato, e quindi non rientrante nell’ambito dell’art. 718 c.p.”.
La causa in concreto è stata valutata in rapporto alla stipulazione di un contratto in forma orale da Corte di Cassazione, sez. III, con ordinanza del 4 maggio 2018, n. 10612: “Nel contratto stipulato in forma orale, la qualificazione giuridica della natura del rapporto negoziale deve essere effettuata sulla base della cd. causa concreta, ovvero degli interessi che il negozio è concretamente diretto a realizzare e, nell'impossibilità di un'interpretazione testuale, deve farsi riferimento alla tipica funzione economico-sociale del contratto, sicché la parte che prospetti una diversa qualificazione dell'operazione contrattuale realizzata è gravata dall'onere di provare la sussistenza di ulteriori elementi che consentano di individuare in concreto uno scopo pratico del negozio diverso dalla funzione propria dello schema legale tipico”.
La causa in concreto perseguita dalle parti con la stipulazione contrattuale ha un importante rilievo in sede di interpretazione del contratto.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sez. III civile, con sentenza del 19 marzo 2018, n. 6675: “In tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, dell'interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle parti, oltre che dell'interpretazione secondo buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte”.
Interessante, sul tema della causa in concreto, anche Corte di Cassazione, sez. III civile, che con sentenza del 22 novembre 2019, n. 30509 ha enunciato il seguente principio: “Il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell'autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile (qual è l'obbligazione dell'appaltatore), contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l'identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante); inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l'elemento dell'accessorietà, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un "vicario" del debitore, l'obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all'obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all'adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore”.
Quanto l'illiceità del causa in concreto, va citata Corte di Cassazione, sezione III civile, che con sentenza del 29 settembre 2015, n. 19220 ha affermato: “Il contratto di locazione avente ad oggetto un locale seminterrato da adibite ad attività lavorativa (nella specie, di natura industriale) è nullo, ex art. 1343 c.c., per l'illiceità della causa concreta, in quanto diretto a realizzare un godimento del bene corrispondente ad un'attività vietata dall'ordinamento con norma imperativa, costituita dall'art. 8 d.P.R. n. 303 del 1956 (applicabile "ratione temporis")”.
L’oggetto
Con il termine oggetto del contratto si fa riferimento alla prestazione cui è tenuta la parte.
Alcuni, tuttavia, con il termine oggetto del contratto fanno riferimento al contenuto dello stesso.
L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile (art. 1346 c.c.).
Il contratto che sia sottoposto a condizione sospensiva o a termine è tuttavia valido se la prestazione, che inizialmente era impossibile, diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine.
Nel contratto può essere dedotta anche la prestazione di cose future, salvo particolari divieti stabiliti dalla legge (art. 1348 c.c.).
La determinazione dell’oggetto può anche essere deferita a un terzo, il quale deve procedere con equo apprezzamento, a meno che non risulti che le parti vogliano rimettersi al suo mero arbitrio.
In quest’ultimo caso, la determinazione del terzo si può impugnare soltanto se risulti in mala fede e questa mala fede va provata dalle parti.
In tema di oggetto del contratto e della sua delimitazione, si veda Corte di Cassazione, sez. III civile, ordinanza 11 gennaio 2024, n. 1261: “Nel contratto di assicurazione della vita la clausola che esclude la copertura per l'evento morte dovuto a determinate cause, preventivamente individuate, delimitando il rischio garantito, attiene all'oggetto del contratto, e non è una clausola limitativa della responsabilità, con la conseguenza che non deve essere specificamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c., e che non rientra nell'ambito della tutela del consumatore contro le clausole abusive, perché l'art. 34 del c.cons. esclude che la valutazione del carattere vessatorio della clausola possa essere riferita all'oggetto del contratto e all'adeguatezza del corrispettivo”.
Gli elementi accidentali del contratto
Sono elementi accidentali del contratto:
- la condizione
- il termine
- l’onere
Condizione
La condizione inserita in un contratto può essere sospensiva o risolutiva.
La condizione sospensiva del contratto è un evento futuro e incerto cui le parti subordinano l’efficacia del contratto (art. 1353 c.c.).
La condizione sospensiva impossibile rende nullo il contratto (art. 1354 c.c., secondo comma).
Gli effetti collegati al verificarsi della condizione retroagiscono al momento della conclusione del contratto.
L’avveramento della condizione, tuttavia, non pregiudica la validità degli atti di amministrazione compiuti dalla parte a cui spettava l’esercizio del diritto in pendenza della condizione stessa (art. 1361 c.c.).
La condizione risolutiva del contratto è un evento futuro e incerto cui le parti subordinano la risoluzione del contratto (art. 1353 c.c.).
La condizione risolutiva impossibile si ha come non apposta (art. 1354 c.c., secondo comma).
La condizione non può essere contraria a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, pena la nullità del contratto.
Va inoltre specificato che è nulla la condizione meramente potestativa, ovvero la condizione collegata alla mera volontà di una parte.
Molto interessante il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sezione II civile, che con ordinanza del 28 marzo 2023, n. 8733 ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di successioni testamentarie, la condizione sospensiva illecita apposta ad una istituzione d'erede può convertirsi, ai sensi dell'art. 1424 c.c., in un onere o in un legato solo su richiesta di parte, non essendo consentito al giudice attribuire d'ufficio ad una disposizione "mortis causa" una qualificazione giuridica diversa da quella voluta dal testatore e risultante dalla scheda testamentaria. (Nella specie, la Corte ha escluso che la donazione di un immobile del soggetto istituito erede, prevista come condizione sospensiva della disposizione testamentaria istitutiva d'erede, giudicata illecita per violazione del principio della libertà di autodeterminazione del donante, potesse convertirsi d'ufficio in un onere o in un legato a carico dell'erede)”.
Altra interessante pronuncia: Corte di Cassazione sezione II civile, ordinanza del 25 novembre 2022, n. 34861: “In tema di contratto sottoposto a condizione sospensiva, stabilire se quest'ultimo sia divenuto definitivamente efficace in caso di avveramento della condizione, o se sia divenuto definitivamente inefficace nel caso in cui, dopo l'avveramento della condizione, sia sopravvenuto un evento che riporti le parti nella condizione antecedente all'avveramento della condizione sospensiva, è una "quaestio voluntatis", come tale oggetto di un accertamento di fatto del giudice di merito, insindacabile in Cassazione se non nei limiti previsti dall'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (Nella specie, la ricorrente aveva lamentato, davanti alla S.C., il fatto che i giudici di merito, nell'affermare che, con il reperimento, da parte sua, di un'occupazione lavorativa, si era verificato l'evento che, per accordo intervenuto in sede di separazione, condizionava la divisione della casa coniugale di comune proprietà col coniuge, non avevano valutato il suo sopravvenuto licenziamento)”.
Quanto alla condizione apposta nell’interesse di uno solo dei contraenti, va citata Corte di Cassazione, ordinanza 4 novembre 2021, n. 31728: “La condizione può ritenersi apposta nell'interesse di uno solo dei contraenti solo in presenza di una clausola espressa in tal senso o di elementi che inducano a ritenere che l'altra parte non abbia alcun interesse al suo verificarsi. Nell'accertare se la clausola sia stata apposta nell'interesse di uno solo dei contraenti si deve tenere conto della situazione al momento della conclusione del contratto”.
Termine
Il termine iniziale è un evento futuro e certo cui le parti subordinano l’efficacia iniziale del contratto.
Il termine finale è un evento futuro e certo e quando si verifica il contratto cessa di avere efficacia.
Modo
Il modo è un onere che può gravare su un soggetto beneficiario di un negozio a titolo gratuito, viene infatti previsto in materia di donazione e testamento.
All’art. 793 del Codice civile, infatti, viene stabilito che la donazione può essere gravata da un onere e il donatario è tenuto ad adempiere all’onere nei limiti del valore della cosa donata.
Ai sensi dell’art. 647 c.c., invece, è stabilito che sia all’istituzione di un legato che a quella di erede può essere apposto un onere.
L’onere illecito o impossibile si considera come non apposto ma se ha costituito l’unico motivo determinante la conclusione del negozio, la stipulazione è da considerarsi nulla.