Il condominio è una specie di comunione forzosa.
Questo perché, nell’ambito di un edificio, una serie di soggetti si trovano a condividere parti comuni, rispetto alle quali assumono la posizione di comproprietari e parti che sono escluse dal regime di comunione, poiché trattasi di abitazioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini.
Alla regolamentazione del condominio vanno applicate le norme che ritroviamo nell’ambito del Libro III, Titolo VII, Capo II, che è dedicato alla materia specifica del “Condominio negli edifici”.
Per quanto non espressamente previsto dal Capo II, ai sensi dell’art. 1139 del Codice civile, si applicano le norme in tema di comunione, contenute nel Capo I.
Differenza tra comunione e condominio: il caso del “condominio minimo”
Il criterio tracciato dal Codice civile è dunque chiaro: il condominio è una forma peculiare di comunione, le norme applicabili sono quelle specifiche codificate per il condominio, ma qualora non ci sia una previsione espressa, si applicano le norme sulla comunione in generale.
La disciplina in tema di condominio è stata profondamente innovata dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, la cosiddetta "Riforma del condominio", che ha inciso profondamente sugli articoli del Codice civile sopra menzionati.
Il condominio, rispetto alla comunione, ha dunque una sua specificità, in quanto a differenza della comunione, vi sono parti di proprietà esclusiva rispetto alle quali le parti in comune presentano un vincolo di accessorietà.
Non sempre è agevole tracciare una linea di demarcazione tra disciplina della comunione e disciplina del condominio.
Sul punto si è espressa, ad esempio, la Corte di cassazione con sentenza pronunciata a Sezioni Unite il 31 gennaio 2006 n. 2046.
La Corte di cassazione ha chiarito che “la specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici -la tipicità, che distingue l'istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo – si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio).
Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139 cod. civ. si applicano all'edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà”.
Nella specie, la Corte di cassazione si era pronunciata in relazione all’applicabilità delle norme in tema di condominio all’ipotesi del cosiddetto “condominio minimo” ovvero il condominio composto da due soli condomini.
Taluni, infatti, affermavano l’applicabilità delle norme in tema di comunione all’ipotesi del condominio minimo, in ragione della presenza dei soli due condomini, escludendo l’applicabilità delle norme in tema di condominio.
La Cassazione ha chiarito che “se nell'edificio almeno due piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse, il condominio – considerato come situazione soggettiva o come organizzazione – sussiste sulla base della relazione di accessorietà tra cose proprie e comuni e, per conseguenza, indipendentemente dal numero dei partecipanti trovano applicazione le norme specificamente previste per il condominio negli edifici”.
Di conseguenza, ha concluso la Cassazione, in relazione al rimborso delle spese delle parti comuni non trova applicabilità il 1110 del Codice civile, dettato in tema di comunione, bensì trova applicazione il 1134 del Codice civile, dettato in tema di condominio.
Ciò che dunque caratterizza il condominio è la relazione di accessorietà, rispetto alla comunione, in cui tale relazione di accessorietà tra parti di proprietà comune e parti di proprietà esclusiva non sussiste.
Anche solo in presenza di due condomini, dunque, si è in presenza di un condominio e vanno applicate le norme specifiche in tema di condominio dettate al Capo II.
Parti comuni dell’edificio (art. 1117 del Codice civile)
La norma di cui all’art. 1117 del Codice civile disciplina le parti comuni dell’edificio.
Le parti comuni non possono essere divise, a meno che un'eventuale divisione non alteri il godimento delle stesse da parte dei condomini e ciò avvenga con il consenso di tutti (art. 1119 c.c.).
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio (art. 1117 del Codice civile):
- tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
- le aree destinate a parcheggio nonché' i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune;
- le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
Come è stato specificato in giurisprudenza, “la comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate all’art. 1117 c.c. sorge nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l’edificio, sicché, per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto la situazione condominiale è opponibile ai terzi” (Cass. sez. II, 17 febbraio 2020, n.3852).
Inoltre, l’art. 1117 del Codice civile “non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, la stessa può invece essere superata solo dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato origine al condominio” (Cass., sez. II, 17 febbraio 2020, n.3852).
Si può modificare la destinazione d’uso delle parti comuni in un condominio?
La destinazione d’uso delle parti comuni dell’edificio può essere modificata, ai sensi dell’art. 1117-ter del Codice civile.
L’approvazione deve avvenire in assemblea ed è necessario un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio.
Non tutte le modificazioni sono ammesse.
Sono infatti vietate le modifiche che rechino pregiudizio alla stabilità dell’edificio o alla sicurezza del fabbricato oppure che ne alterino il decoro architettonico (art. 1117 del Codice civile, ultimo comma).
Si possono fare innovazioni in un condominio?
Stesso discorso va fatto per le innovazioni. Sono infatti ammesse innovazioni che vadano a migliorare l’utilizzo della cosa comune, se approvate in assemblea, ma non possono essere effettuate innovazioni che arrechino danno alla stabilità dell’edificio (art. 11120 del Codice civile, ultimo comma).
Se l’innovazione comporta una spesa gravosa o ha carattere esclusivamente voluttuario, inoltre, i condomini sono esonerati dall’obbligo di contribuire alla stessa (art. 1121 del Codice civile).
Anche le innovazioni effettuate nella propria unità immobiliare non possono essere effettuate qualora rechino pregiudizio alla stabilità dell’edificio (art. 1122 del Codice civile).
Per quanto concerne l’installazione di impianti di videosorveglianza su parti comuni, l’approvazione della stessa è effettuata in assemblea.
La destinazione d’uso delle parti comuni viene tutelata in maniera espressa dal Codice civile.
Viene infatti stabilito che qualora determinate attività incidano negativamente sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, sia l’amministratore che i singoli condomini possono chiedere la cessazione dell’attività in assemblea (art. 1117 quater del Codice civile).
Diritti dei condomini sulle parti comuni e spese (art. 1118 del Codice civile)
Nel Codice civile è presente una disciplina specifica in tema di diritti dei partecipanti sulle parti comuni all’art. 1118.
Viene in primo luogo stabilito che il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene, salvo che il titolo disponga diversamente.
Non vi è possibilità per il condomino di rinunciare al suo diritto sulle parti comuni, ecco perché il condomino non può nemmeno sottrarsi al pagamento delle spese relative alle parti comuni, neanche qualora modifichi la destinazione d'uso della propria unità immobiliare.
Le spese relative alle parti comuni vengono suddivise in base alle tabelle millesimali.
All’ultimo comma viene inoltre specificato che “il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.
In tal caso costui è comunque tenuto a concorrere al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma.
La ripartizione delle spese comuni nel Condominio (art. 1123 del Codice civile)
Le spese comuni vengono disciplinate all’art. 1123 del Codice civile ove è espressamente disposto che:
“Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.
Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
La suddivisione delle spese relative alla manutenzione delle parti comuni è dunque fondata su due criteri: uno è quello del valore della proprietà di ciascuno, l’altro è relativo all’uso effettivo che ciascun condomino fa della cosa comune.
Il criterio dell’uso è ancora più evidente nella disposizione successiva, in quanto, ai sensi dell’art. 1124 del Codice civile è stabilito che le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti da coloro che ne fanno effettivo utilizzo.
Lo stesso vale per ciò che concerne l’uso del lastrico solare.
Se infatti il lastrico solare è utilizzato solo da alcuni condomini, un terzo delle spese relative sono a carico degli stessi. La parte restante è a carico degli altri condomini.
Nell’ipotesi in cui il proprietario dell’ultimo piano voglia costruire un nuovo piano sul proprio, può farlo, a meno che ciò non arrechi danno alla stabilità dell’edificio o ne pregiudichi il valore architettonico.
Il proprietario dell’ultimo piano, in questo caso, è tenuto a corrispondere un’indennità a favore degli altri condomini (art. 1127 del Codice civile)
Perimento dell’edificio
Ai sensi dell’art. 1128 del Codice civile, è stabilito che “Se l'edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto”.
In ipotesi di ricostruzione dell’edificio, il condomino che non intenda partecipare alle spese può cedere il suo diritto agli altri.
L’amministratore di condominio: chi è e quando deve essere nominato?
Per gestire al meglio il condominio viene nominato un amministratore.
Se vi sono più di otto condomini e l’assemblea non provvede alla nomina dell’amministratore, alla nomina stessa provvede il giudice, su ricorso di uno o più condomini o dell’amministratore dimissionario (art. 1129 del Codice civile).
L’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso (art. 1129 del Codice civile).
L'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. L'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore.
Che succede se l’amministratore di condominio è inadempiente?
Nei casi in cui siano emerse gravi irregolarità commesse dall’amministratore, i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell'assemblea per revocare il mandato all'amministratore (art. 1129 del Codice civile)
Secondo quanto disposto ex art. 1129 del Codice civile, costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità:
- l'omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale;
- il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;
- la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell'assemblea;
- la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma;
- la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini;
- l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio, qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio;
- l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva;
- l'inottemperanza agli obblighi di cui all'articolo 1130, numeri 6), 7) e 9);
- l'omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente articolo.
Quali sono i doveri dell’amministratore di condominio?
Le attribuzioni dell’amministratore di condominio sono indicate ex art. 1130 del Codice civile.
Va premesso che l’amministratore agisce in veste di rappresentante dei condomini, e può agire in giudizio sia contro i condomini che contro i terzi (art. 1131 c.c.).
Egli deve (art. 1130 del Codice civile):
- eseguire le deliberazioni dell'assemblea, convocarla annualmente per l'approvazione del rendiconto condominiale di cui all'articolo 1130-bis e curare l'osservanza del regolamento di condominio;
- disciplinare l'uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini;
- riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni; compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio;
- eseguire gli adempimenti fiscali; curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio;
- curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità;
- conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell'edificio e del condominio;
- fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso;
- redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni.
Deve essere redatto un apposito rendiconto condominiale, contenente le voci di entrata e di uscita e tutti i dati relativi alla situazione patrimoniale del condominio (art. 1130-bis c.c.).
L’assemblea dei condomini nel Codice civile
L’assemblea dei condomini è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio (art. 1136 del Codice civile).
La deliberazione, per essere valida, deve essere approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti o almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136 c.c.).
Le attribuzioni dell’assemblea dei condomini sono elencate all’art. 1135 del Codice civile.
L’assemblea dei condomini provvede (art. 1135 c.c.):
- alla conferma dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione;
- all'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini;
- all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e all'impiego del residuo attivo della gestione;
- alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori;
- se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti.
L'assemblea condominiale può annullare una precedente delibera?
Le delibere assembleari sono obbligatorie per tutti i condomini (art. 1137 del Codice civile).
Ogni condomino assente, dissenziente o astenuto, può impugnare la delibera assembleare contraria alla legge o al regolamento di condominio e chiederne l’annullamento (art. 1137 c.c.).
La Corte di cassazione si è occupata recentemente di un’ipotesi relativa a una controversia instauratasi tra un condomino e l’intero condominio.
Il condomino, in particolare, chiedeva l’annullamento della delibera assembleare.
La Corte di cassazione ha stabilito, con ordinanza del 2 febbraio 2023, n. 3192, che: “In ipotesi di deliberazione assembleare volta ad autorizzare l'esercizio di un'azione o la prosecuzione di una controversia giudiziaria tra il condominio e un singolo condomino, venendosi la compagine condominiale a scindere, di fronte al particolare oggetto della lite, in base ai contrapposti interessi, non sussiste il diritto del singolo condomino a partecipare all'assemblea, né, quindi, la legittimazione dello stesso a domandare l'annullamento della delibera per omessa, tardiva o incompleta convocazione, allorché sia portatore unicamente di un interesse in conflitto con quello rimesso alla gestione collegiale”.
Il singolo condomino, il quale abbia un interesse in conflitto con l’assemblea, poiché l’oggetto della stessa è relativo a una controversia giudiziaria tra il condominio e lui stesso, non può dunque di certo chiedere l’annullamento della delibera assembleare per omessa, tardiva o incompleta convocazione.
Il regolamento di condominio: quando è obbligatorio?
Negli edifici con un numero di condomini superiore a dieci è obbligatoria l’approvazione di un regolamento di condominio che deve contenere:
- norme relative all’uso delle cose comuni;
- norme relative alla ripartizione delle spese;
- norme per la tutela del decoro dell’edificio;
- norme relative all’amministrazione.
Le norme del regolamento di condominio non possono vietare di possedere o detenere animali domestici (art. 1138 del Codice civile, ultimo comma).