Il ricercatore e attivista Patrick Zaki, torturato subito dopo il suo arresto e detenuto per quasi due anni nelle carceri egiziane con le accuse di “minaccia alla sicurezza nazionale; sovversione; diffusione di false notizie; propaganda per il terrorismo e incitamento alle proteste legali” dopo aver pubblicato un post in cui condannava le condizioni discriminatorie patite dai copti, ovvero la minoranza di religione cristiana in Egitto, può finalmente ritenere concluso il suo processo.
La vicenda che ha coinvolto l’attivista ha scosso gli animi e la politica sia italiani che egiziani, arrivando all’indomani della tragica storia che poco tempo prima aveva invece coinvolto un altro ricercatore italiano in Egitto, Giulio Regeni.
Dopo la scarcerazione ordinata dal Tribunale del Cairo lo scorso 7 dicembre 2021 e non essendosi ancora concluso il processo, l’opinione pubblica è rimasta col fiato sospeso per le sorti del ricercatore.
Patrick Zaki, arriva la condanna
Negli ultimi giorni il caso Zaki è tornato a far parlare dei suoi colpi di scena.
Nonostante l’ordine di scarcerazione emesso durante la terza udienza del processo del dicembre 2021, il ricercatore non è potuto rientrare in Italia e concludere il suo percorso di laurea.
Patrick Zaki, infatti, ha potuto soltanto discutere online la sua tesi per il Master GEMMA presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, e successivamente proclamato Dottore a distanza.
Lo scorso 18 luglio, i giudici egiziani hanno emesso la sentenza di condanna a 3 anni di reclusione per l’attivista, condannandolo per il reato di diffusione di notizie false, senza possibilità per il suo avvocato di poter fare appello o ricorso per ribaltarne la situazione.
Uno scenario drammatico su cui si sono pronunciati sia Giorgia Meloni dichiarando “Il nostro impegno per una soluzione positiva del caso di Patrick Zaki non è mai cessato, continua, abbiamo ancora fiducia”, sia l'organizzazione internazionale contro le ingiustizie e in difesa dei diritti umani Amnesty International, attraverso il portavoce Riccardo Noury, ritenendo l’esito della sentenza “Il peggiore degli scenari possibili”.
Al momento dell'annuncio della condanna non sono mancati gli appelli anche da parte di ONG e attivisti del Cairo che chiedevano il rilascio dello studente dell’Università di Bologna, criticando aspramente la sentenza dei giudici.
La grazia presidenziale di Al-Sisi
Nelle ore successive alla condanna, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e i diplomatici della Farnesina si sono tempestivamente attivati per mediare la situazione dopo la condanna definitiva e inappellabile a tre anni per Zaki.
Allo stesso modo, le pressioni internazionali hanno permesso di influire positivamente sulla posizione del governo egiziane e le sorti del conteso caso diplomatico.
Appena 24 ore dopo la condanna, come annunciato da Mohamad Abdelaziz, membro del Comitato per la grazia presidenziale del Cairo,”Il presidente Abdel Fattah al-Sisi […] ha usato i suoi poteri costituzionali e ha emesso un decreto presidenziale, concedendo la grazia a un gruppo di persone contro le quali sono state pronunciate sentenze giudiziarie, tra cui Patrick Zaki”.
La grazia presidenziale ha interessato anche Mohamed Al-Baqer, avvocato di Alaa Abdel Fattah e noto dissidente politico.
Al-Sisi ha quindi fatto ricorso ai suoi poteri presidenziali esercitando uno tra i più importanti atti di clemenza riconosciuti dalla legge.
Resta, però, ancora il dubbio se il decreto di grazia riabiliti Patrick Zaki al diritto di viaggiare che fino ad ora gli veniva precluso, tanto da non permettergli di tornare a Bologna per concludere il suo percorso accademico.
Solo con un’altra sentenza dei giudici del Cairo, in cui viene dichiarato esplicitamente che Patrick Zaki verrà cancellato dalla lista di persone che non possono lasciare l’Egitto, il divieto di viaggio potrà essere considerato abolito.
Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, gioisce su Facebook per l’esito della vicenda giudiziaria ma ricordando che “la grazia che ha ricevuto oggi non cancella certo il calvario che ha dovuto subire”.
La grazia: cosa dice la legge italiana?
Grazia, commutazione della pena, amnistia e indulto sono atti di clemenza rimessi alla discrezionalità del Presidente della Repubblica e del Governo italiano.
Mentre, la grazia e la commutazione della pena sono detti “di portata individuale”, poichè riguardanti le sorti del singolo condannato; nel caso dell’amnistia e dell’indulto, si parla di provvedimenti collettivi, cioè coinvolgenti una pluralità di detenuti.
Le differenze tra grazia e commutazione della pena, ma anche la spiegazione degli effetti e delle modalità applicative anche per l'amnistia e l'indulto, si consiglia la lettura degli approfondimenti.
La concessione della grazia rientra tra i poteri e le facoltà a cui solo il Presidente della Repubblica può avere accesso, così come previsto dall’articolo 82 Costituzione:
“Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.
Può inviare messaggi alle Camere.
Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.
Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.
Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere.
Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
Presiede il Consiglio superiore della magistratura.
Può concedere grazia e commutare le pene.
Conferisce le onorificenze della Repubblica”.
Il decreto presidenziale con cui viene disposta grazia si basa sul principio di indulgenza (in giuridichese, indulgentia principis), ovvero il perseguimento dell’obiettivo di risocializzazione del reo, a cui ispira il nostro ordinamento, e che rende non più utile la prosecuzione della pena.
La grazia consente di condonare la pena, integralmente o parzialmente, che travolge il condannato o commutare la stessa in un’altra prevista dall’ordinamento, analogamente a quanto accade nel caso dell’indulto
L’effetto del provvedimento è di estinguere sia la pena principale sia la pena accessoria, salvo che sia espressamente previsto dal decreto; tuttavia non estingue gli effetti penali della condanna.
Come viene concessa la grazia in Italia?
Il procedimento di concessione della grazia è oggetto dell’art. 681 c.p.p. (ovvero del Codice di Procedura Penale).
Affinché il Presidente della Repubblica possa concedere la grazia occorre rispettare anche un iter, partendo dalla domanda di grazia che deve essere sottoscritta dal condannato o da un suo congiunto.
La domanda è indirizzata al Presidente della Repubblica, ma viene presentata al Ministro di grazia e giustizia.
Tuttavia, se il condannato è detenuto o internato, la domanda di grazia può essere presentata al Magistrato del Tribunale di Sorveglianza;
Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello esprime il proprio parere Sulla domanda di grazia; però se il richiedente fosse detenuto il parere spetterebbe al Magistrato di Sorveglianza.
Emesso il parere, vengono poi collezionati gli elementi utili a ricostruire la storia del condannato e la sua posizione giuridica.
Una volta intervenuto il perdono anche dalle persone offese del reato, cioè le vittime, la domanda presentata al Ministro di grazia e giustizia viene trasmessa al Presidente della Repubblica, corredata del giudizio favorevole o meno alla clemenza da accordare.
La grazia può anche essere concessa in assenza di domanda o proposta.
In quel caso, una volta emesso il decreto di grazia, il Pubblico Ministero ordina la liberazione del condannato.
L’art. 681 c.p.p.prevede che il decreto di grazia o di commutazione della pena possano essere sottoposti a condizioni.
Il graziato che commette un delitto non colposo entro 5 anni dall’emanazione del Decreto Presidenziale – o entro 10 anni, nel caso di grazia concessa per reati la cui pena d’origine fosse l’ergastolo – non sarebbe più beneficiario dell’atto di clemenza.