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31 Maggio 2024
9:00

Giusto processo (art. 111 Cost.): cosa significa, quali sono i principi e le garanzie costituzionali

Il principio del giusto processo è tracciato all’art. 111 della Costituzione italiana, ove è stabilito che ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a un giudice terzo e imparziale.

Giusto processo (art. 111 Cost.): cosa significa, quali sono i principi e le garanzie costituzionali
Avvocato
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Il principio del giusto processo è tracciato all’art. 111 della Costituzione italiana, ove è stabilito che ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a un giudice terzo e imparziale.

Con legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 sono stati aggiunti 5 nuovi commi all’art. 111 della Costituzione, il cui nuovo testo risulta attualmente profondamente modificato rispetto alla versione precedente, in recepimento di quelle istanze di garanzia, già tracciate dalle fonti internazionali, che caratterizzano la struttura fondante il giusto processo.

Si tratta di principi fondamentali di civiltà giuridica, in forza dei quali un soggetto non può essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva, deve essere messo in grado di difendersi nell’ambito del processo e a tal fine ha diritto a essere informato nel più breve tempo possibile delle accuse mosse a suo carico.

A garanzia del corretto esplicarsi del diritto di difesa di ciascuno, le prove devono essere assunte in contraddittorio tra le parti.

Inoltre, il processo deve avere una ragionevole durata, per evidenti ragioni di giustizia.

Vediamo, in dettaglio, che significato assume nel nostro ordinamento il principio del giusto processo e quali sono le garanzie costituzionali in proposito.

Il principio del giusto processo: che significa

Con l’espressione “principio del giusto processo” si fa riferimento a quella serie di garanzie che devono essere riconosciute a ciascuno nell’ambito del processo.

Con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 sono stati inseriti cinque nuovi commi nell’art. 111 della Costituzione, ove sono indicate le garanzie che fondano il giusto processo.

Ogni processo, infatti, deve svolgersi nel rispetto del contraddittorio, in condizioni di parità e dinanzi a un giudice che sia terzo e imparziale, come stabilisce l’art. 111 della Costituzione.

Devono essere garantiti, dunque, il contraddittorio tra le parti, la ragionevole durata dei processi e il diritto di difesa di ciascuno.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali, inoltre, devono essere adeguatamente motivati.

Si tratta di una serie di principi che permettono all’accusato di potersi adeguatamente difendere nell’ambito del processo.

Sulla riforma dell’art. 111 della Costituzione hanno inciso profondamente le fonti di carattere internazionale, come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1948 e il Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966 ove sono chiaramente espressi i principi fondanti il giusto processo, come il diritto di ciascuno di essere giudicato in “equa e pubblica udienza davanti a un tribunale indipendente e imparziale”.

Nella nostra Costituzione erano già tracciati principi fondamentali quali il diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione o la presunzione di innocenza ex art. 27 Cost., ma mancava una indicazione puntuale delle garanzie poste a tutela dell’individuo nell’ambito del processo.

La riforma costituzionale attuata con legge 23 novembre 1999, n. 2, in tale ottica, ha rappresentato un passo fondamentale nella codificazione di quei principi di civiltà giuridica che devono animare uno Stato di diritto.

L’art. 111 della Costituzione e i principi della riforma costituzionale: spiegazione

La legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, con cui è stato disciplinato il principio del giusto processo, ha inciso fortemente sull’attuale formulazione dell’art. 111 Cost., aggiungendo 5 ulteriori commi alla precedente disposizione, ove sono delineate le garanzie di ciascuno nell’ambito del processo.

La riforma costituzionale si è resa evidentemente necessaria in considerazione della valenza fondamentale di tali principi, già previsti da una serie di fonti internazionali.

Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, ad esempio, il principio del giusto processo è tracciato all’articolo 10, ove si stabilisce che: “Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.

Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dunque, è valorizzato il principio di uguaglianza degli individui, i quali hanno diritto a essere giudicati nell’ambito di una pubblica udienza equa e dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale.

Nel Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966, all’articolo 14, viene stabilito, in particolare, che: “Tutti sono eguali dinanzi ai tribunali e alle corti di giustizia. Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge, allorché si tratta di determinare la fondatezza di un’accusa penale che gli venga rivolta, ovvero di accertare i suoi diritti ed obblighi mediante un giudizio civile”.

Nello stesso modo, nel Patto internazionale dei diritti civili e politici viene valorizzato il diritto a un’udienza equa e pubblica dinanzi a un giudice indipendente e imparziale.

Inoltre, al comma 2, è tracciato il principio di non colpevolezza “Ogni individuo accusato di un reato ha il diritto di essere presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente”.

Al comma 3 sono invece delineate una serie di garanzie a tutela del diritto di difesa di ciascuno.

Ogni individuo, infatti, ha diritto: “ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta” e inoltre “a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta”.

Ogni individuo ha poi diritto “ad essere presente al processo ed a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta; nel caso sia sprovvisto di un difensore, ad essere informato del suo diritto ad averne e, ogni qualvolta l’interesse della giustizia lo esiga, a vedersi assegnato un difensore d’ufficio, a titolo gratuito se egli non dispone di mezzi sufficienti per compensarlo”.

Egli può “interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ad ottenere la citazione e l’interrogatorio dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico” e non può “essere costretto a deporre contro se stesso o a confessarsi colpevole”.

Risulta evidente l’analogia tra l’art. 111 della nostra Costituzione e l’art. 14 del Patto internazionale dei diritti civili e politici.

Nella CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), firmata nel 1950 dal Consiglio d’Europa, il diritto a un equo processo è disciplinato all'art. 6, ove è stabilito, in particolare, che: "Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti”.

Il nostro Parlamento ha dunque inteso dare attuazione ai principi enunciati dalle fonti internazionali, operando una modifica sostanziale dell’art. 111 della Costituzione.

Come indicato nella Relazione della prima commissione permanente affari costituzionali, affari della presidenza del consiglio e dell’interno, ordinamento generale dello Stato e della pubblica amministrazione sui disegni di legge costituzionale nn. 3619, 3623, 3630, 3638 e 3665-A volti all’inserimento del giusto processo nella nostra Costituzione e comunicata alla Presidenza il 25 gennaio 1999: “la nozione di giusto processo ha una “tessitura aperta”, nel senso che non è esauribile tramite un’elencazione esaustiva di criteri congiuntamente definitori. Essa racchiude una serie di princìpi che sono aperti all’evoluzione della coscienza e della cultura civile e politica dei diritti umani, della dottrina e della giurisprudenza”.

La formulazione attuale dell’art. 111 della Costituzione, in effetti, rispecchia la concezione del principio del giusto processo quale nozione avente una “tessitura aperta”, e merita di essere esaminata nello specifico.

L'art. 111, comma 1, della Costituzione stabilisce, in primo luogo, che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo che è regolato dalla legge.

L'art. 111, comma 2, della Costituzione chiarisce cosa debba intendersi per giusto processo: ogni processo si deve svolgere nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale.

Viene inoltre stabilito che la legge ne deve assicurare la ragionevole durata.

I principi immediatamente richiamati in questa prima parte dell’articolo sono, dunque, quello del contraddittorio, che è strettamente legato al concetto di parità delle parti e quello di imparzialità del giudice.

L'art. 111, comma 3, della Costituzione stabilisce che, nel processo penale, la legge deve assicurare che la persona accusata di un reato sia informata della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico nel più breve tempo possibile.

Ella deve disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa e deve avere la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico.

La persona accusata di un reato deve inoltre ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa alle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore.

Qualora la persona accusata di un reato non comprenda la lingua usata nel processo, deve essere assistita da un interprete.

Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova.

Come si vede la formulazione dell’art. 111, comma 3, è notevolmente dettagliata ed esplicita una serie di garanzie relative al diritto di difesa della persona accusata di un reato.

L'art. 111, comma 4, della Costituzione stabilisce che la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.

L'art. 111, comma 5, della Costituzione dispone, inoltre, che devono essere regolati con legge i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.

La regola generale, dunque, è quella della formazione della prova in contraddittorio tra le parti.

Si può venire meno a questa regola primaria solo in quanto vi sia il consenso dell’imputato oppure per impossibilità di tipo oggettivo o per effetto di provata condotta illecita.

L'art. 111, comma 6, della Costituzione enuncia un principio di grande importanza, poiché dispone che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

La motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è un elemento fondamentale posto a presidio del diritto di difesa di ciascuno, in quanto solo conoscendo le motivazioni alla base di una decisione giudiziale è possibile difendersi correttamente, ad esempio, impugnando il provvedimento dinanzi ad altro giudice.

L'art. 111, comma 7, della Costituzione dispone che, contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge e si può derogare a tale norma solo per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

L'art. 111, comma 8, della Costituzione stabilisce, infine, che contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Il principio del contraddittorio

Il principio del contraddittorio ha una valenza duplice.

Come specificato nella Relazione della prima commissione permanente affari costituzionali, affari della presidenza del consiglio e dell’interno, ordinamento generale dello Stato e della pubblica amministrazione sui disegni di legge costituzionale nn. 3619, 3623, 3630, 3638 e 3665-A volti all’inserimento del giusto processo nella nostra Costituzione e comunicata alla Presidenza il 25 gennaio 1999: “Questo principio ha due sensi: diritto dell’imputato e del suo difensore ad interrogare il teste di accusa, e canone della formazione della prova e della verità processuale”.

Il principio del contraddittorio è dunque “un canone di formazione della verità processuale” ed è strettamente collegato al concetto di “parità delle parti”, in quanto accusa e difesa devono avere le stesse possibilità nell’apportare prove rilevanti a sostegno della propria posizione.

Inoltre, il contraddittorio si fonda su questo criterio: “non è prova quella che non passi al vaglio del controesame. E poiché non può esserci verità (dell’ipotesi accusatoria) se non c’è prova (di tale ipotesi), il contraddittorio (per la prova, e non sulla prova) è strumento per la ricerca della verità” (Relazione della prima commissione permanente affari costituzionali, affari della presidenza del consiglio e dell’interno, ordinamento generale dello Stato e della pubblica amministrazione sui disegni di legge costituzionale nn. 3619, 3623, 3630, 3638 e 3665-A volti all’inserimento del giusto processo nella nostra Costituzione e comunicata alla Presidenza il 25 gennaio 1999).

Le prove, dunque, devono necessariamente passare al vaglio di entrambe le parti prima di essere assunte quali elementi a fondamento della decisione giudiziale.

In giurisprudenza il principio del contraddittorio è stato oggetto di dibattito in un numerose occasioni ed è interessante analizzare alcune massime, per vagliare le numerose sfumature di tale principio fondamentale.

La Corte Costituzionale, ad esempio, con sentenza 27 luglio 2023, n. 172, ha considerato non in contrasto con il principio del contraddittorio i modelli processuali “a contraddittorio eventuale e differito”.

In particolare, la Consulta si è espressa in questi termini: "Il rispetto del principio del contraddittorio non impone che esso si esplichi con le medesime modalità in ogni tipo di procedimento e neppure sempre e necessariamente nella fase iniziale dello stesso, onde non sono in contrasto con i principi del giusto processo (art. 111, secondo comma, Cost.) i modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito, i quali, cioè, in ossequio a criteri di economia processuale e di massima speditezza, adottino lo schema della decisione de plano seguita da una fase a contraddittorio pieno, attivata dalla parte che intenda insorgere rispetto al decisum" (Corte costituzionale, sentenza 27 luglio 2023, n. 172).

Non sono in contrasto con il principio del giusto processo, secondo la Consulta, dunque, i modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito che per esigenze di economia processuale adottino lo schema della decisione “de plano”, che sia seguita da un contraddittorio pieno attivato dalla parte interessata.

La Corte di Cassazione, sezione I civile, con ordinanza del 19 febbraio 2021, n. 4500 si è invece espressa in materia di elezioni amministrative, affermando che il rito camerale previsto dal d.lgs. n. 267/2000 è rispettoso del principio del contraddittorio.

In particolare, la Cassazione ha statuito che: “In materia di elezioni amministrative, il rito camerale richiamato dall'art. 143, comma 11, del d.lgs. n. 267 del 2000, risulta compatibile con la tutela dei diritti soggettivi e degli status, nonché rispettoso del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, in quanto idoneo a contemperare le esigenze di effettività della tutela dell'aspirazione del cittadino ad accedere alle cariche elettive pubbliche, con quelle di rapida definizione delle questioni concernenti la sua incandidabilità”.

La Corte di Cassazione, sezione VI penale, con sentenza del 12 febbraio 2016, n. 6090 ha invece stabilito che: “Il decreto di archiviazione emesso "de plano" in violazione del principio del contraddittorio – in ragione dell'omessa valutazione dell'opposizione della persona offesa – deve essere annullato senza rinvio e gli atti devono essere restituiti al Giudice per le indagini preliminari, avente competenza funzionale, e non al Tribunale”.

Un decreto di archiviazione emesso “de plano” in violazione del principio di contraddittorio, dunque, secondo la Cassazione va annullato senza rinvio.

Tale decreto viola il principio del contraddittorio nell’ipotesi in cui non venga valutata l’opposizione della persona offesa.

Il principio di imparzialità del giudice

L’art. 111 della Costituzione fa espresso riferimento al principio di imparzialità del giudice.

Nella Relazione della prima commissione permanente affari costituzionali, affari della presidenza del consiglio e dell’interno, ordinamento generale dello Stato e della pubblica amministrazione sui disegni di legge costituzionale nn. 3619, 3623, 3630, 3638 e 3665-A volti all’inserimento del giusto processo nella nostra Costituzione e comunicata alla Presidenza il 25 gennaio 1999, infatti, viene specificato che: “L’indipendenza riguarda lo status istituzionale del giudice: egli non deve essere sottoposto ad alcun altro potere, ma solo alla legge che deve applicare”.

Un giudice imparziale, dunque, è un giudice indipendente.

Il principio di indipendenza della magistratura è tracciato, tra l’altro, all’art. 101 della Costituzione ove è espressamente stabilito che: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

All’art. 104 Cost. è inoltre stabilito che: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

Interessante la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite in materia: “Il magistrato del P.M. ha l'obbligo disciplinare di astenersi ogni qual volta la sua attività possa risultare infirmata da un interesse personale o familiare giacché l'art. 52 c.p.p., che ne prevede la facoltà di astensione per gravi ragioni di convenienza, va interpretato alla luce dell'art. 323 c.p., ove la ricorrenza di "un interesse proprio o di un prossimo congiunto" è posta a base del dovere generale di astensione, in coerenza con il principio d'imparzialità dei pubblici ufficiali ex art. 97 Cost., occorrendo, altresì, equiparare il trattamento del magistrato del P.M. – il cui statuto costituzionale partecipa dell'indipendenza del giudice – al trattamento del giudice penale, obbligato ad astenersi per gravi ragioni di convenienza ai sensi dell'art. 36 c.p.p.” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 26 marzo 2021, n. 8563).

Inoltre, la Corte Costituzionale, ha chiarito recentemente che un giudice imparziale è anche un giudice non condizionato dalla “forza della prevenzione” ovvero dalla “naturale tendenza a confermare una decisione già presa”.

La Consulta, con ordinanza del 23 febbraio 2023, n. 28 ha invero espresso i seguenti principi: “Il principio di terzietà e imparzialità del giudice, sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost. e dall'art. 6, par. 1, CEDU, esclude che possa giudicare di una controversia un giudice che abbia un interesse proprio nella causa ovvero che abbia già precedentemente svolto funzioni decisorie nella stessa causa: preclusione, quest'ultima, finalizzata a evitare che la decisione sul merito possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione – ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto – scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda”.

La ragionevole durata del processo

Corollario ulteriore del principio del giusto processo è quello della ragionevole durata.

Ottenere giustizia dopo un periodo di tempo eccessivo, infatti, può equivalere a non ottenerla.

Stesso concetto è espresso nella Relazione della prima commissione permanente affari costituzionali, affari della presidenza del consiglio e dell’interno, ordinamento generale dello Stato e della pubblica amministrazione sui disegni di legge costituzionale nn. 3619, 3623, 3630, 3638 e 3665-A volti all’inserimento del giusto processo nella nostra Costituzione e comunicata alla Presidenza il 25 gennaio 1999: “Una giustizia tarda è una giustizia denegata”.

Ognuno ha diritto a che la decisione giudiziale intervenga nel più breve tempo possibile.

Com’è noto, le lungaggini processuali sono una piaga della giustizia, e per far fronte a questa problematica il legislatore è intervenuto a più riprese attuando una serie di consistenti riforme che incidono sulla durata dei processi.

Interessanti le sentenze in materia della Corte costituzionale che si è espressa sul tema a più riprese.

La Corte Costituzionale, con sentenza del 13 giugno 2023, n. 116 ha delineato, ad esempio, coordinate ermeneutiche fondamentali.

In particolare, la Consulta ha stabilito che: “La ragionevole durata del processo è oggetto, oltre che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e imparziale”.

Inoltre: “Corrisponde a un preciso dovere costituzionale per il legislatore conformare la disciplina vigente all’obiettivo di assicurare una sollecita definizione dei processi, dal momento che la ragionevole durata è un connotato identitario della giustizia del processo”.

La Consulta ha inoltre evidenziato la necessità di bilanciamento di tale principio: “La nozione di “ragionevole” durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento particolarmente delicato tra i molteplici – e tra loro confliggenti – interessi pubblici e privati coinvolti. Ciò impone una cautela speciale nell’esercizio del controllo della legittimità costituzionale delle scelte processuali compiute dal legislatore, al quale compete individuare le soluzioni più idonee a coniugare l’obiettivo di un processo in grado di raggiungere il suo scopo naturale dell’accertamento del fatto e dell’eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l’esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Ne consegue che una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. potrà essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa”.

Infine la Corte Costituzionale ha ricordato che: “La ragionevole durata è declinata dalla Costituzione e dalla CEDU come canone oggettivo di efficienza dell’amministrazione della giustizia e come diritto delle parti, comunque correlati ad un processo che si svolge in contraddittorio davanti ad un giudice imparziale”.

In altra occasione, la Corte Costituzionale, con sentenza 11 aprile 2023, n. 67 ha stabilito che: "Il principio secondo cui la legge assicura la ragionevole durata del processo va contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali, sicché il suo sacrificio non è sindacabile ove sia frutto di scelte non prive di valida ratio giustificativa. A tale principio arrecano, pertanto, un vulnus solamente norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza".

Il diritto di difesa

L’art. 111 della Costituzione traccia una serie di coordinate che conducono alla valorizzazione del diritto di difesa di ciascuno nell’ambito del processo.

Il diritto di difesa è tracciato nella Costituzione, nelle sue linee generali, all’art. 24 ove è stabilito che “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.

L’art. 111 della Costituzione dispone che la persona accusata di un reato deve essere informata della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico nel più breve tempo possibile.

Ella, infatti, deve disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa e deve avere la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico.

Inoltre, l'art. 111, comma 6, della Costituzione enuncia un principio fondamentale poiché dispone che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

La motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è un elemento fondamentale posto a presidio del diritto di difesa di ciascuno, poiché solo conoscendo le motivazioni alla base di una decisione giudiziale è possibile difendersi correttamente, ad esempio, impugnando il provvedimento dinanzi ad altro giudice.

Molto interessanti delle pronunce recenti della Corte di cassazione, ove si fa riferimento alla tutela del diritto di difesa della parte, che non può ritenersi leso per effetto della mancata conoscenza dell'algoritmo utilizzato per la decriptazione della messaggistica acquisita.

La Corte di Cassazione, sezione VI penale, con sentenza del 7 dicembre 2023, n. 48838 ha enunciato il seguente principio di diritto: “Nel caso di acquisizione, mediante ordine europeo di indagine [OIE] emesso da parte del pubblico ministero, di messaggistica su chat di gruppo su sistema SkyEcc ottenuta dall'autorità giudiziaria estera che ne ha eseguito la decriptazione, il  diritto di difesa non può essere ritenuto leso per effetto della mancata conoscenza (e, dunque, dell'indisponibilità per la difesa) dell'algoritmo utilizzato per la decriptazione della messaggistica acquisita [perché nella specie qualificato come “segreto di sicurezza nazionale” dall'autorità francese], vuoi perché il difensore dell'indagato, nell'ordinamento italiano, può avere conoscenza solo del verbale delle operazioni di cui all'articolo 268 del Cpp e delle registrazioni, ma non anche dei mezzi tecnici, hardware e software, utilizzati per l'intrusione nelle conversazioni intercettate, o per decodificare il contenuto, vuoi perché l'interessato può avvalersi della procedura prevista dall'articolo 268, commi 6 e 7, del Cpp per verificare il contenuto delle captazioni, ma non può anche pretendere un controllo diretto mediante l'utilizzo esclusivo e non mediato del programma di decriptazione. Resta in ogni caso ferma la possibilità per la difesa di dedurre, sulla base di ragioni specifiche, anomalie tecniche in grado di fare dubitare della correttezza delle acquisizioni e dell'inquinamento del risultato probatorio e, in tal caso, il correlativo obbligo, per l'autorità giudiziaria, di promuovere accertamenti sul punto”.

Nello stesso si è espressa la Corte di cassazione in altra occasione.

La Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza del 17 novembre 2023, n. 46482 ha enunciato le seguenti coordinate ermeneutiche: “In tema di prove digitali, l'indisponibilità della tecnologia di "hackeraggio" utilizzata per estrarre e mettere in chiaro la messaggistica criptata non determina alcuna lesione dei diritti di difesa, atteso che l'ordinamento interno non obbliga alla ostensione degli attrezzi virtuali con cui si sia ottenuta la decodifica di contenuti telematici, fatta salva la possibilità per l'imputato di allegare anomalie tecniche che facciano fondatamente dubitare della correttezza delle acquisizioni, e che depongano per l'inquinamento del risultato. (Fattispecie relativa ad intrusione nel server delle piattaforme "Sky-Ecc" ed "Encrochat", mediante programma "software" non reso noto per il segreto opposto dalle autorità francesi)”.

Il principio di non colpevolezza

Ulteriore corollario del principio del giusto processo è il principio di non colpevolezza o presunzione di innocenza dell’imputato.

Tale principio è enunciato nella Costituzione all’art. 27, ove è stabilito che: “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Si tratta di un principio fondamentale di civiltà giuridica, di una garanzia per l’imputato che non può essere lesa.

Interessanti le numerose sentenze sul tema.

La Corte di Cassazione, sezione II penale, con sentenza del 30 giugno 2022, n. 25042 ha stabilito che: “Il giudizio di prevenzione è funzionale a valutare la condizione di pericolosità sociale del prevenuto e non presuppone un compiuto accertamento della responsabilità penale, sicché la presunzione di innocenza è violata dall'utilizzo, nel provvedimento applicativo della misura di prevenzione, di un lessico evocativo della colpevolezza pur in assenza di condanna”.

La Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza del 12 maggio 2021, n. 18386 ha inoltre enunciato i seguenti principi: “In tema di sospensione condizionale della pena, il giudice può fondare, in modo esclusivo o prevalente, il giudizio prognostico negativo circa la futura astensione del soggetto dalla commissione di nuovi reati sulla capacità a delinquere dell'imputato desunta anche da precedenti giudiziari non definitivi, senza che ciò contrasti con la presunzione di innocenza dell'imputato sino alla condanna definitiva, rilevando esclusivamente ai fini previsti dall'art. 133, comma secondo, cod. pen.”.

La Corte di Cassazione, sezione IV penale, con sentenza del 14 marzo 2022, n. 8532 ha inoltre chiarito che: “In tema di patrocinio dei non abbienti, in ossequio al principio di presunzione di innocenza, è illegittima la revoca del beneficio fondata su una condanna non definitiva dalla quale possa inferirsi l'esistenza di redditi illeciti”.

L’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali

I provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati: la motivazione è elemento necessario, che permette a ciascuno di poter controllare l’operato dell’autorità giudiziaria e al contempo di esercitare al meglio il proprio di diritto di difesa proponendo, ad esempio, un’impugnazione per contestare la decisione dell’organo giudicante.

Grazie alla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è possibile risalire al ragionamento logico-giuridico seguito dal magistrato per giungere alla sentenza e alle norme applicate.

In questo senso, la motivazione della sentenza permette di controllare l’operato del magistrato, nell’ottica della piena trasparenza.

Il principio del giusto processo nella CEDU

Nella CEDU il diritto a un equo processo è disciplinato all'art. 6: "Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.

La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata".

Nella prima parte dell’articolo è dunque presente il riferimento al diritto di ciascuno a che la sua causa sia esaminata in maniera equa e pubblicamente dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale, entro un termine ragionevole.

Viene inoltre enunciato il fondamentale principio di non colpevolezza.

Viene poi stabilito che, in particolare, ogni accusato ha diritto di:

"(a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;

(b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

(c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

(d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

(e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza".

All'art. 7 è invece stabilito che: "Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale.

Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili".

Viene dunque tracciato il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, che è delineato anche nel nostro ordinamento, all’art. 2 del Codice penale.

Il principio del giusto processo nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

Nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, all'articolo 47, viene stabilito che: "Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge.

Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia".

Nell’art. 47 sono dunque tracciati alcuni principi fondamentali: ognuno ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, dinanzi a un giudice terzo e imparziale, entro un termine ragionevole.

Viene inoltre enunciato il principio di precostituzione del giudice naturale, delineato nella nostra Costituzione all’art. 25.

Viene poi enunciato il diritto di difesa.

All'articolo 48 è invece prevista la presunzione di innocenza: "Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato".

All'art. 49 sono enunciati i principi di legalità, di proporzionalità della pena, di retroattività della legge penale favorevole e di irretroattività della legge penale sfavorevole: "Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.

Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.

Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato".

All'art. articolo 50 è infine stabilito che: "Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge".

Il giusto processo civile

Le coordinate tracciate in tema di giusto processo sono applicabili ogniqualvolta un soggetto sia coinvolto nell’ambito di un processo, a prescindere dalla valutazione della tipologia di posizioni coinvolte nel giudizio.

Innegabilmente, la posizione di ciascuno andrà vagliata anche in relazione al tipo di processo considerato, in quanto ogni tipo di processo ha le sue peculiarità, ma i principi tracciati dall’art. 111 della Costituzione devono sempre essere tutelati allo stesso modo.

In materia civile, la Corte di cassazione si è espressa sovente in materia di tutela del principio del contraddittorio.

La Corte di Cassazione, sezione I civile, con ordinanza del 31 maggio 2023, n. 15383 ha, ad esempio, stabilito che: “Il principio fissato dall'art 159, comma 2, c.p.c., a tenore del quale la nullità parziale di un atto non colpisce le altre parti che ne siano indipendenti, trova applicazione anche con riguardo agli atti processuali che costituiscono il risultato di una pluralità di distinte ed autonome attività, sicché la validità di una consulenza tecnica d'ufficio non è inficiata dalla eventuale nullità di alcuni accertamenti o rilevazioni compiuti dal consulente, per violazione del principio del contraddittorio per omessa convocazione alle operazioni peritali di una delle parti, salvo che si dimostri che ciò abbia inciso in concreto sul suo atto conclusivo, ossia sulla relazione di consulenza”.

La Corte di Cassazione, sezione III civile, con ordinanza del 9 ottobre 2023, n. 28302 ha poi enunciato il seguente principio di diritto: “L'omessa comunicazione del provvedimento di fissazione dell'udienza ex art. 281-sexies c.p.c. reso all'esito di udienza a "trattazione scritta", equivalendo alla mancata comunicazione di un provvedimento emesso fuori udienza, determina la nullità del procedimento e della sentenza per violazione del principio del contraddittorio”.

Numerose le sentenze della Corte in tema di garanzia del contraddittorio in relazione alle modalità di assunzione della consulenza tecnica d’ufficio.

La Corte di Cassazione, sezione III civile, con ordinanza del 18 novembre 2020, n. 26304 ha infatti stabilito che: “In tema di consulenza tecnica d'ufficio, ai sensi degli artt. 194, comma 2, c.p.c. e 90, comma 1, disp. att. c.p.c., l'espletamento di tutte le attività dell'ausiliario senza alcun coinvolgimento delle parti, alle quali sia mancata qualunque comunicazione sia del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni del consulente, sia di quelli della relativa prosecuzione, implica una lesione autoevidente delle potenzialità di difesa, valutata "ex ante" ed in via preventiva dal legislatore, dalla quale consegue la nullità della consulenza, che, se tempestivamente eccepita, non è sanata dalla mera possibilità di riscontro o verifica "a posteriori" dell'elaborato del consulente. (Nella specie, la S.C. – rilevando che tutte le operazioni erano state espletate dal consulente tecnico d'ufficio in assoluta solitudine, senza che alle parti fosse stata data la possibilità di presenziare neppure all'attività di presa d'atto e di studio preliminare della documentazione e di impostazione delle ulteriori attività – ha cassato la decisione di merito che, in ragione della possibilità di un controllo successivo sull'elaborato peritale, aveva respinto l'eccezione di nullità reiterata con l'appello)”.

Il giusto processo penale

Nel processo penale il principio del giusto processo assume una connotazione peculiare, se solo si pensa che può essere in gioco la restrizione della libertà dell’imputato.

Per questo motivo vanno garantiti al massimo grado principi fondamentali quali il principio di non colpevolezza o il diritto di difesa o il principio di indipendenza e imparzialità del giudice.

La riforma Cartabia si è mossa nel senso di realizzare il giusto processo in ambito penale introducendo, ad esempio, una serie di meccanismi che mirano ad accelerare i tempi di svolgimento del processo.

Con la riforma Cartabia, inoltre, sono stati introdotti meccanismi di giustizia riparativa.

All’art. 129-bis del Codice di procedura penale è infatti stabilito che in ogni stato e grado del procedimento l'autorità giudiziaria può disporre, anche d'ufficio, l'invio dell'imputato e della vittima del reato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l'avvio di un programma di giustizia riparativa.

Il giudice dispone tale invio con ordinanza “qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l'accertamento dei fatti”.

Il giusto processo amministrativo

Le coordinate in tema di giusto processo devono essere applicate anche al processo amministrativo.

Non a caso, il Codice del processo amministrativo enuncia il principio del giusto processo all’art.2.

L’Art. 2 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo) rubricato “Giusto processo” stabilisce, infatti, che: “Il processo amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo previsto dall'articolo 111, primo comma, della Costituzione”.

Viene inoltre previsto, al comma 2, che "il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo”.

All’art. 3 è dunque sancito il dovere di motivazione e sinteticità degli atti: “Ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato.

Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”.

Nella Relazione di accompagnamento al Codice del processo viene invero chiarito che: “Il codice, inoltre, ha voluto richiamare accanto ai principi costituzionali della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo – nella formulazione del relativo art. 2 il Governo, recependo un’osservazione della Commissione Affari costituzionali del Senato, ha espressamente richiamato, al comma 1, l’art. 111, primo comma, della Costituzione – i principi del diritto europeo (termine che è stato usato per indicare sia il diritto dell’Unione europea che quello della CEDU e preferito dal Governo, perché più sintetico, alla locuzione suggerita dalla Commissione Giustizia della Camera in una delle osservazioni fatte al testo licenziato dallo stesso Governo), con ciò conferendo ulteriore crisma di legittimità a quella tendenza dell’ordinamento a strutturarsi come un sistema connotato dall’esistenza di una rete europea di garanzie costituzionali e processuali, da tribunali sovranazionali e nazionali, che interagiscono come giurisdizioni appartenenti a sistemi differenti ma tra loro collegati”.

La piena attuazione del giusto processo è realizzata anche attraverso il meccanismo della translatio judicii, in forza del quale sono fatti i salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda nell’ipotesi in cui un giudice declini la giurisdizione: “La disciplina della translatio judicii, introdotta dalla l. n. 69 del 2009 in ossequio alla precedente giurisprudenza costituzionale (e in coerenza con quella della Cassazione), ha superato il principio di incomunicabilità tra le giurisdizioni. Nel codice se ne opera il recepimento con specifico riguardo al processo amministrativo, completando la relativa disciplina”.

Recita, infatti, l’art. 11 del c.p.a.: “ll giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito.

Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato”.

Il principio del giusto procedimento amministrativo

Le norme che disciplinano il procedimento amministrativo sono improntate al rispetto di una serie di regole poste a garanzia della posizione del privato al cospetto dell’amministrazione.

Il principio del giusto processo, invero, deve essere riferito anche al procedimento amministrativo, che è il luogo in cui si forma la volontà della pubblica amministrazione, che è capace di incidere unilateralmente sulla sfera giurdica soggettiva dei privati.

Per questo motivo, nella legge n. 241 del 1990, sono previste tutta una serie di norme che permettono al privato di partecipare al procedimento amministrativo e di essere informato circa le attività compiute dall’amministrazione che lo riguardano.

In tal senso, nella legge sul procedimento sono presenti una serie di norme volte alla piena realizzazione del principio del contraddittorio, come l’art. 7, ove è disciplinata la comunicazione di avvio del procedimento o l’art. 10-bis ove è prevista la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (il preavviso di rigetto).

Nello stesso senso, all’art. 3 è previsto l’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi.

Altro strumento di partecipazione del privato è rappresentato dal diritto di accesso disciplinato dall’art. 22 in base al quale è possibile richiedere all’amministrazione documenti, dati e informazioni.

Il giusto processo tributario

Il principio del giusto processo va applicato anche al processo tributario, ove sono previste una serie di norme volte ad assicurare, ad esempio, la corretta instaurazione del principio del contraddittorio.

La giurisprudenza si è pronunciata in più occasioni sul tema.

La Corte Costituzionale, con sentenza 31 gennaio 2023, n. 10 ha enunciato, ad esempio, il seguente principio di diritto: "Il giudice tributario deve far uso dei poteri istruttori riconosciutigli dal comma 1 dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 (facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta), in un contesto processuale di pienezza del contradditorio e di parità delle armi, quale proiezione del canone del giusto processo di cui all'art. 111, primo e secondo comma, Cost. ".

Il principio del giusto procedimento tributario

Il principio del giusto procedimento, in materia tributaria, ha assunto di recente una nuova connotazione, a seguito dell’introduzione dell’art. 6-bis a opera del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 219.

Secondo quanto stabilito dall’art. 6-bis, comma 1, “Salvo quanto previsto dal comma 2, tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo”.

Con la riforma di dicembre è stato dunque introdotto in maniera espressa l’obbligo per l’amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale che ha la funzione fondamentale di permettere al contribuente di esercitare il suo diritto di difesa e, al contempo, ha una funzione di deflazione del contenzioso.

Durante questa fase, infatti, il contribuente può portare a conoscenza dell’amministrazione alcuni elementi che possono permettere a quest’ultima di determinarsi diversamente ed evitare, in tal modo, l’instaurazione di un contenzioso giurisdizionale.

Anche se l’applicazione delle norme relative alla partecipazione previste nella legge n.241/90 non sono direttamente riferibili al procedimento tributario, poiché è fatto rinvio alle norme peculiari che riguardano tale tipo di procedimento, i principi fondamentali delineati sono applicabili anche al cospetto delle attività compiute dall’amministrazione finanziaria, non solo sulla scorta delle novità normative recentemente intervenute, ma in particolare in virtù dei canoni di fondo che animano il nostro ordinamento, considerato nella sua interezza.

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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