All’interno dell’ordinamento legislativo italiano è previsto che “chiunque procuri ad altri un danno ingiusto sia tenuto a risarcirlo” secondo quanto previsto nel nostro Codice sia Civile e, in alcuni casi, Penale.
Queste due fonti legislative stabiliscono criteri ben precisi che permettono di giudicare il risarcimento del danno, la natura del danno, e quindi se si tratti di un danno patrimoniale o non patrimoniale ed infine tutte le condizioni che permettono di identificare l’ammontare del danno e quindi del risarcimento.
Quanto abbiamo appena detto, in parole più semplici, significa che colui che danneggia un altro soggetto, provocandogli un danno che potrà quindi essere contrattuale o extracontrattuale, sarà tenuto a risarcirlo del pregiudizio arrecato: il risarcimento quindi, non è altro che la reintegrazione del patrimonio del danneggiato con lo scopo di riportarlo nella situazione in cui si sarebbe trovato se la lesione non si fosse verificata.
Il ripristino della situazione patrimoniale precedente dovrà, quindi, essere totale ed effettiva.
Il danno, potrà quindi essere sia di natura contrattuale, che extra contrattuale e a seconda del tipo di natura del danno vi saranno diversi criteri per il suo ristoro.
Danno ingiusto
Ma cosa si intende per “danno ingiusto”?
Per danno ingiusto si intende quel danno che, secondo quanto previsto dal nostro codice, è contrario al diritto oltre che atipico.
Possiamo infatti avere un danno che viola una regola giuridica (es. lesioni personali, diffamazione) oppure che lede un interesse protetto dal diritto (diritto soggettivo).
Se invece esistono interessi protetti contrapposti (es. diritto all’informazione e diritto alla riservatezza) avremo una valutazione comparativa dei due interessi posti in cotrapposizione in base al metodo di pubblica utilità.
Infine il legislatore, con il codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. n. 196/2003) ha preso posizione in merito a colui che obbliga chi utilizza tali informazioni personali ad informare l’interessato e avere il suo consenso.
È previsto, infine, un regime speciale per l’attività giornalistica questa infatti, al fine di tutelare il diritto all’informazione ed il diritto di cronaca, dovrà sottostare a regole differenti che si approfondiranno in un altra sede.
Se,infine, ci si trova dinanzi ad un danno lesivo della riservatezza da parte di banche dati, il quale esercizio di attività è considerato pericoloso, le stesse risponderanno anche senza colpa per il rischio d’impresa.
Nel nostro ordinamento l’art. 2043 del codice civile prevede che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, quindi affinchè una condotta, sia essa omissiva o commissiva, possa essere considerato fonte di responsabilità secondo quanto previsto dal succitato articolo, è necessario che sia configurabile, in capo al responsabile, l’obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso.
Vediamo di seguito alcuni esempi:
In caso di danni da infiltrazioni, la Cassazione ha cassato la sentenza di merito con cui si era ritenuto un convenuto responsabile di infiltrazioni di acqua piovana causate dalla rimozione della tettoia di copertura, posta all’interno di un'area di sua proprietà esistente nello spazio tra i fabbricati abitativi delle due parti, non potendosi considerare lesivo l’atto di rimozione della copertura, in sé legittimo, nè rimproverare il proprietario dell’area prima coperta, in mancanza di specifici obblighi, per la mancata adeguata impermeabilizzazione del relativo pavimento (Cass., Sez III, 12 marzo 2012,n°3876).
In caso di danno per lesioni riportate a seguito di una caduta dagli sci, di un allievo, minore di età, di una scuola sci, l’iscrizione e l’ammissione dello stesso al corso determinerà la nascita di un vincolo contrattuale che farà sorgere, in capo alla scuola di sci, l’obbligo di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo per il tempo in cui questo usufruirà delle prestazioni scolastiche, anche al fine che lo stesso si procuri un danno.
Il Tribunale di Trento, ha infatti stabilito, con sentenza ,16 aprile 2015 n. 392, che in caso di sinistro verificatosi nel corso di una lezione di sci, durante la quale l'allievo, iscritto alla scuola, era sottoposto alla vigilanza di un maestro, questo, manifesta di per sé un rapporto di fatto di natura contrattuale, con la conseguenza che si applicano sia il principio per cui la prestazione contrattuale a carico della scuola di sci include non solo l'obbligo di impartire gli insegnamenti convenuti, bensì anche quello di vigilare sulla sicurezza e sulla incolumità degli allievi, anche al fine di evitare che questi procurino danni a sé stessi; sia il principio per cui è in tal caso applicabile il regime probatorio dell'art. 1218 c.c..
Si verifica quindi che mentre parte attrice deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sulla parte convenuta, ovvero la scuola, incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola, né al maestro di sci.
Nella fattispecie concreta, mentre parte attrice ha dedotto il fatto dell'inadempimento altrui (vale a dire la caduta, con conseguenti lesioni, verificatasi nel corso della lezione, da attribuire, a suo giudizio, alla mancata vigilanza del maestro in quel momento assente), parte convenuta non ha offerto alcuna prova in ordine alla non imputabilità a suo carico delle lesioni patite dall'attrice. Né, mancando tale prova, può assumere rilievo quanto dalla stessa parte dedotto in ordine all'auto assunzione del rischio insita nella pratica dello sci, in quanto non costituente causa di esclusione della responsabilità della scuola di sci.
Infine, in caso di lesioni derivanti da danno da circolazione stradale, qualora la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza, (in particolare il trasportato non aveva allacciato le cinture), sia ricollegabile all’azione od omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente, che prima di iniziare e proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali regole di prudenza e sicurezza, fra costoro si forma il consenso alla circolazione con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi, pertanto in un caso del genere si verificherà cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento, diversa da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell’evento.
In un caso del genere dovrà ritenersi risarcibile, a carico del conducente del veicolo in questione, e secondo il combinato disposto degli artt. 2043,2056,1227 del Codice Civile, anche il pregiudizio all’integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell’incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell’ambito dell’indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale tra condotta del conducente e danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, trattandosi di diritti indisponibili, (nel caso di specie, il ragazzo si era sporto all’improvviso dal finestrino; il guidatore aveva, prontamente ma inutilmente, provveduto a richiamare all’interno del veicolo il ragazzo, ma comunque vi era stato l’impatto con il palo dell’illuminazione collocato fuori dal marciapiede e quindi più vicino alla strada.) Cass., Sez. III, 15 maggio 2012 n°7533.
Danno risarcibile
L’Art. 1223 c.c. rubricato “Risarcimento del danno” detta la disciplina generica in tema di risarcimento danni la quale prevede che “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
Il presupposto dell’obbligo di risarcimento, lo si trova nella colpa del debitore, la quale implica che tra questa ed il danno corra quel nesso di causalità necessario (di cui si approfondirà in altra sede).
In questa norma, si evidenzia la conseguenza economica negativa che deriva dall’evento lesivo e può dar luogo a due fattispecie: il danno emergente (quale perdita del patrimonio del danneggiato) ed il lucro cessante (che si specifica nel guadagno patrimoniale netto che viene meno a causa dell’illecito, si tratta di una ricchezza sottratta al danneggiato e che questi non è in grado più di conseguire).
Come abbiamo visto in precedenza ai sensi dell’art. 2043 c.c. “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”
Proprio ai fini della Responsabilità Extracontrattuale, il danno è presupposto necessario: non ci può essere responsabilità se non c’è un fatto che ha provocato o che sia diretto a provocare un danno, dal momento che questo tipo di illecito civile viene definito di danno e non meramente di condotta.
Se – invece – il danno è solo ipotetico, ovvero vi è semplicemente il pericolo che possa esistere – ma non sussiste nella realtà – non si potrà, in questo caso, invocare l’Art. 2043 c.c., ma si dovrà fare riferimento ad altre norme.
Il danno risarcibile è, quindi, determinato in via preliminare dal nesso di causalità ma non solo, infatti, tra le altre regole che si occupano di delimitare l’area del danno risarcibile vi è il principio del danno effettivo, secondo cui il risarcimento deve adeguarsi al danno effettivamente subìto dal danneggiato, che non deve ricevere né in misura superiore, né in misura inferiore di quanto necessario per rimuovere gli effetti negativi dell’illecito.
Il risarcimento ha quindi la funzione di rimedio, volto a ristabilire la situazione precedente e non ha, invece, una funzione punitiva, se quindi subiamo un danno per un valore di 10.000,00€, dovremmo essere risarciti per 10.000,00€ non un centesimo di più non uno di meno.
Criteri per la risarcibilità
Con la sentenza n.9283/2014 la Corte di Cassazione ha chiarito le diverse situazioni in cui si configura un danno non patrimoniale:
“La categoria del danno non patrimoniale attiene ad ipotesi di lesione di interessi inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica o da valore scambio ed aventi natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) con funzione meramente descrittiva (danno alla vita di relazione, danno esistenziale, danno biologico, ecc.); ove essi ricorrano cumulativamente occorre, quindi, tenerne conto, in sede di liquidazione del danno, in modo unitario, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, fermo restando, l'obbligo del giudice di considerare tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, mediante la personalizzazione della liquidazione (Cass. n. 21716/2013; n. 1361/2014; S.U. n. 26972/2008”.
Non è, pertanto, ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria del "danno esistenziale" in quanto tutti i pregiudizi di carattere non economico, concretamente patiti dalla vittima, rientrano nell'unica fattispecie del "danno non patrimoniale" di cui all'art. 2059 c.c., Tale danno, infatti, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, purché la lesione dell'interesse superi una soglia minima di tollerabilità (imponendo il dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., di tollerare le intrusioni minime nella propria sfera personale, derivanti dalla convivenza) e purché il danno non sia futile e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi (Cass. n. 26972/2008; n. 4053/2009). … bi-polarità tra danno patrimoniale (art. (2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) e dovendo quest'ultimo essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche ove ricorra la lesione di valori della persona costituzionalmente protetti cui va riconosciuta la tutela minima risarcitoria (Cass. n. 15022/2005)“
Con questa sentenza, che chiarisce l’art. 2059 C.C., è chiaro che il danno non patrimoniale comprende il danno biologico, il danno morale e il danno esistenziale.
Vediamo di seguito quali sono le diverse categorie di danno:
Danno biologico
La definizione di danno biologico contenuta nel comma 2, art. 139 del Codice delle assicurazioni private, poi modificata dalla legge n. 2085/2015 e che si applica a tutti i casi in cui il soggetto subisca danni alla sua salute a causa della condotta illecita altrui definisce come danno biologico, quel danno che causa la lesione temporanea o permanente dell’integrità psicofisica della persona, che è suscettibile di perizia medico legale, che ha incidenza sulle attività quotidiane del danneggiato, nonché sulle sue relazioni, indipendentemente da ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.
La sentenza n. 7766 del 20.04.2016 della Cassazione civile ha previsto, inoltre, in base al principio di personalizzazione del danno e in caso di lesioni dovute a un sinistro stradale, che il risarcimento del danno biologico può essere aumentato fino al 30% rispetto a quanto previsto dagli standard risarcitori.
Danno morale
Il danno morale si ricollega a una lesione fisica o alla perdita di un caro.
Riguarda, quindi, la sofferenza soggettiva interiore ed è riconducibile alla categoria del danno biologico, come previsto dall’art. 2059 C.C.
La Cassazione ha però liberato il danno morale da un vincolo che era previsto dal Codice Civile, ovvero che il danno morale fosse riconosciuto solo in favore di vittime di un illecito penale.
Di solito, il danno morale è associato insieme al danno biologico ed il giudice, inoltre, in sede di decisione, è tenuto a valutare la portata del danno morale indipendentemente dalla capacità del soggetto danneggiato di produrre reddito.
Danno Esistenziale
Il danno esistenziale è definito come il danno arrecato all’esistenza, quindi quel danno che ha come effetto il peggioramento della qualità della vita, anche se non viene inquadrato nel danno alla salute.
Sempre la Cassazione, con la sentenza n. 7766 del 20.04.2016 ha dettato quali sono i principi del danno esistenziale.
La Corte Suprema, ha, infatti, affermato come il danno esistenziale non possa essere compreso all’interno della categoria del danno biologico.
Se il danno morale, infatti, è legato a un sentire interiore, il danno esistenziale è relativo al modo in cui un soggetto percepisce se stesso in relazione agli altri.
Sulla base di questa distinzione, il danno esistenziale ha così una sua autonomia di risarcimento, anche perché è possibile che i due tipi di danno, morale ed esistenziale, non si presentino insieme, contestualmente.
Danno Emergente
Il danno emergente è un danno immediatamente riscontrabile che si verifica quando un soggetto vede diminuire il suo patrimonio.
Un esempio è dato dalle spese mediche che vengono sostenute per un intervento correttivo, dopo una prestazione medica errata.
In questo caso, il soggetto sarà costretto a dover pagare un ulteriore intervento, situazione che vedrà diminuire il suo patrimonio: questo è il caso del danno emergente.
Lucro Cessante
Il lucro cessante è invece un danno ascrivibile al futuro nella situazione di mancato guadagno e/o perdita di future opportunità lavorative.
Viene riconosciuto questo tipo di danno quando si ha la certezza concreta o sia ritenuta probabile l’esistenza del danno e delle sue conseguenze per ottenere tale riconoscimento però, bisogna fornire prova rigorosa del mancato guadagno o opportunità.
Sempre la Corte Suprema, con sentenza n. 23304/2007 ha affermato che: “Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chance, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece (anche semplicemente in considerazione dell'id quod plerumque accidit)connesso all'illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità”.
I criteri risarcitori
Alla luce di quanto abbiamo appena detto, è necessario chiarire poi quali siano i criteri per il risarcimento del danno.
Esso infatti viene calcolato attraverso tre criteri:
a)Risarcimento in via equitativa;
b)Risarcimento in forma specifica;
c)Risarcimento per equivalente; che esamineremo qui di seguito.
Il risarcimento del danno in via equitativa
Il risarcimento del danno avviene in via equitativa quando si è certi del danno, ma non della sua entità.
Il danneggiato, su cui ricade l’onere probatorio dell’esistenza del danno, è tenuto a provare l’esistenza del danno.
Non sempre il danno, sia contrattuale che extracontrattuale, è facilmente quantificabile; infatti alcuni tipi di danno sono difficili da quantificare, anche vista la loro specificità tecnica, e in questo caso, se non è stato dimostrato il quantum, il giudice potrà stabilire un risarcimento in via equitativa.
Il risarcimento del danno in forma specifica
Il risarcimento del danno in forma specifica è una tipologia di risarcimento danni che viene disciplinata dal Codice Civile. Questo tipo di risarcimento danni può essere richiesto solo quando, a seguito di un danno ingiusto subito, è materialmente possibile riportare il bene che è stato danneggiato alla condizione in cui si trovava prima del danno.
È sempre compito del giudice stabilire se il risarcimento in forma specifica sia possibile, questo, a tal fine, può sempre nominare periti e tecnici per avere un parere esperto sulla materia oggetto del procedimento.
Quando il ripristino dell’oggetto o della situazione allo stato originale non può avvenire, il giudice ordina il risarcimento per equivalente, ovvero un corrispettivo in denaro che la parte che ha procurato il danno deve pagare alla parte danneggiata.
Il risarcimento in forma specifica non deve essere confuso con l’esecuzione in forma specifica. Nonostante il nome porti con sé diverse analogie, si tratta di due istituti completamente diversi. L’esecuzione in forma specifica ordina a un soggetto di compiere una determinata obbligazione, mentre il risarcimento in forma specifica obbliga ad eliminare il danno provocato.
Il risarcimento del danno per equivalente
Il risarcimento del danno per equivalente è la forma più tipica di risarcimento, che si manifesta con una somma di denaro che il soggetto che ha procurato il danno deve riconoscere a chi è stato danneggiato.
La somma rappresenta il valore dell’oggetto o della situazione danneggiata.
La sentenza n. 1186 del 2015 della Cassazione prevede anche che vi sia la possibilità di convertire la domanda risarcitoria in forma specifica con il risarcimento del danno in forma equivalente, visto che si tratta di due modalità diverse per l’applicazione del diritto risarcitorio posseduto dalla parte danneggiata.
Modalità di risarcimento
In ambito di sinistri stradali è utile accennare due modalità di risarcimento, ovvero quella di risarcimento (detta più comunemente “indennizzo”) diretto o la procedura ordinaria indiretta.
Spesso però si fa confusione tra i due tipi di indennizzo e si hanno dubbi su come distinguerli correttamente, vediamo quindi, seppur brevemente, le differenze.
-Risarcimento diretto:
Il risarcimento, o indennizzo diretto, nota anche come Convenzione CARD (“Convenzione tra Assicuratori per il Risarcimento Diretto”), è una procedura di indennizzo assicurativo entrata in vigore con il decreto del 1° febbraio 2007 attraverso la quale l’assicurato può richiedere e ottenere il risarcimento dei danni per incidente direttamente dalla sua compagnia assicurativa.
Con tale tipo di indennizzo si può ottenere il risarcimento del danno solo se non si è responsabili dell’incidente o si è responsabili solo in parte e sono risarcibili solo i danni al veicolo e i danni alle cose materiali presenti nel veicolo al momento dell’incidente stradale.
Ovviamente, anche i danni al terzo trasportato presente sul veicolo al momento del sinistro sono risarcibili, così come sono risarcibili le lesioni patite dal conducente.
Tale tipo di azione però non è possibile per ogni sinistro, questa infatti, si applica a condizioni particolari, è infatti necessaria la sussistenza di circostanze ben precise che si attivano quando, allorchè vi sia stato un urto tra due veicoli:
-i veicoli coinvolti nell’incidente sono soltanto due;
-le persone coinvolte nell’incidente non riportano lesioni che comportino un’invalidità permanente superiore al 9%;
-i veicoli interessati dal sinistro hanno entrambi targa italiana, della Repubblica di San Marino o dello Stato Città del Vaticano;
-i due veicoli sono regolarmente assicurati;
– Risarcimento ordinario:
Il risarcimento ordinario invece, è una procedura attraverso la quale il soggetto danneggiato in un sinistro stradale chiede e ottiene una somma di denaro dalla compagnia assicurativa di chi ha causato l’incidente. Questa procedura si applica in tutti i casi in cui non sia utilizzabile l’indennizzo diretto visto poc'anzi ed, in particolare, nel caso di sinistri in cui ricorre anche una sola tra le seguenti circostanze:
-Non è avvenuto in Italia, Repubblica di San Marino o Città del Vaticano;
-Non ha comportato collisione tra i veicoli;
-Ha coinvolto più di due veicoli, tutti identificati;
-Ha comportato la collisione tra due soli veicoli, ma ne ha coinvolti altri (uno o più) quali responsabili della collisione stessa;
-È avvenuto tra ciclomotori non muniti di targa o tra mezzi agricoli;
-È avvenuto tra veicoli immatricolati all’estero (targa non italiana);
-Ha coinvolto uno o più veicoli non assicurati;
-Ha provocato lesioni ad uno dei conducenti coinvolti superiori al 9% di invalidità permanente.
Differenza tra danno ed indennizzo
Abbiamo fin qui visto che l’obbligo di risarcire un danno, sorge ogni volta che un soggetto abbia causato un danno a un altro soggetto.
Ciò accade in genere in due ipotesi:
a) per responsabilità contrattuale, quando cioè si è inadempienti a un impegno assunto in precedenza (ad esempio, quando concludete un contratto di ristrutturazione dell’immbobile e la ditta non completi l’opera entro il termine precedentemente indicato nel contratto);
b) per responsabilità extracontrattuale, quando si arreca un danno a un’altra persona senza che con quest’ultima si abbia alcun rapporto come avviene ad esempio nel classico caso di incidente stradale.
L’indennizzo invece sorge ogni qual volta ci sia un atto lecito ma che leda in ogni caso i diritti della persona e quindi l'indennizzo è quella la somma di denaro che viene corrisposta quando si compie un atto lecito che, però, lede i diritti di un’altra persona.
Le ipotesi di indennizzo (o indennità) previste dalla legge sono diverse:
indennità a seguito di espropriazione per pubblica utilità; indennità per fatto compiuto in stato di necessità; indennità al proprietario del fondo servente nel caso di costituzione di servitù di passaggio coattivo; indennità per sopraelevazione in condominio.
In tutte queste ipotesi, colui che procura un danno agli altri non fa altro che esercitare un proprio diritto.
Si pensi al proprietario del fondo intercluso: per legge ha diritto alla servitù di passaggio sul fondo altrui per accedere alla via pubblica.
A questo diritto, però, corrisponde la compressione della proprietà di altri.
Ecco dunque il motivo del pagamento di un indennizzo, proporzionato al danno causato dalla servitù di passaggio.
La differenza tra risarcimento e indennizzo è che, mentre il risarcimento è dovuto per un atto illecito che ha causato un ingiusto danno, l’indennità è dovuta per aver esercitato legittimamente un diritto che, però, ha comportato una compressione o lesione del diritto altrui.
In sintesi: mentre il risarcimento è sempre la conseguenza di un illecito, l’indennità va pagata anche se l’atto compiuto è autorizzato dalla legge.
L’indennità serve quindi a riequilibrare le posizioni tra chi ha esercitato un diritto e chi, a causa di ciò, ha subito un danno.
Infine, un’altra differenza tra risarcimento e indennità è che, mentre il risarcimento può essere per equivalente o in forma specifica, l’indennizzo è sempre per equivalente, nel senso che consiste sempre nell’obbligo di pagare una somma di denaro.