La Corte di Cassazione è intervenuta pronunciandosi in tema di diritto all’oblio e per cui la notizia di condanna pubblicata sui giornali deve essere aggiornata e cancellata dopo che la persona sia raggiunta dall’assoluzione.
Secondo i Giudici, la compressione del diritto all’oblio in favore del diritto alla cronaca può avvenire solo in alcune ipotesi, come l’attuale diffusione del fatto e l’ordine pubblico.
Il fatto
Tizio, ritenuto colpevole in primo grado di alcuni reati e successivamente scagionato, citava in giudizio l’editore di un giornale che, responsabile della pubblicazione della notizia in primo luogo non era poi intervenuto rettificando con l’assoluzione.
Della questione veniva investito il Tribunale che accoglieva la domanda e condannava la società al risarcimento pari a 20.000 euro, sentenza che veniva impugnata in appello dal giornale.
La Corte d’Appello provvedeva a riformare in parte la pronuncia ritenendo il danno non provato.
Avverso tale decisione Tizio proponeva ricorso in cassazione lamentando tra i motivi di doglianza l’omesso riconoscimento del danno conseguente all’omessa cancellazione della notizia di condanna e al mancato aggiornamento della notizia di assoluzione.
La mancata correzione, così come la mancata cancellazione, avevano dolorosamente protratto la gravità di un processo dal quale era stato scagionato, prolungando ulteriormente anche lo stigma dovuto alle odiose accuse che lo investivano (nel particolare, molestie e detenzione di materiale pedopornografico) rivelatesi poi infondate.
La decisione
La Corte di Cassazione, sezione 3, civile, con ordinanza n. 3013 del 1 febbraio 2024, accoglieva il ricorso ritenendo errate le logiche perseguite dalla Corte d’Appello.
Infatti, pur avendo ritenuto che il danno avrebbe potuto essere provato attraverso presunzioni, queste non avevano ottenuto parametri di riferimento.
Secondo gli Ermellini, il diritto all’oblio è un diritto fondamentale che non può subire compressioni se non in favore di determinate circostanze, quali il pubblico interesse; l’attualità e rilevanza della diffusione della notizia; la notorietà del rappresentato; la scelta delle modalità di diffusione che non devono eccedere gli scopi informativi, così come essere scevre di allusioni e insinuazioni personali.
Per tale ragione, la Suprema Corte riconosceva la responsabilità della società e l’indubbio pregiudizio arrecato, pur negando il risarcimento per la mancata prova del danno.
La Cassazione provvedeva quindi ad accogliere il ricorso e contestualmente sollecitare un nuovo esame, alla stregua degli elementi sollevati.