Secondo la Corte di Cassazione la minaccia di interrompere il legame affettivo per denaro è reato di estorsione, così come disciplinato all’art. 629 c.p. del codice penale.
Il reato in esame intende punire chiunque, ricorrendo alla violenza o alla minaccia, costringa qualcuno a fare od omettere qualcosa e ciò con lo scopo di ottenere per sé o per altri un ingiusto profitto ma cagionando un altrui danno.Il tipo di minaccia alla quale può ricorrere il soggetto agente del reato è indifferente sia per il modo che per la forma, dal momento che può essere manifesta o implicita, palese o velata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata.
Il fatto
Tizio ricorreva avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Venezia e con cui veniva confermata la condanna per i reati di atti persecutori ed estorsione commessi nei confronti di Caia.
Grazie alle foto delle schermate con le chat di WhatsApp prodotte in giudizio dalla donna, i giudici constatavano un rapporto di prevaricazione caratterizzato da una forte violenza verbale e a nulla rilevando che la coppia avesse accettato nel ménage sentimentale toni aggressivi e violenti.
A far scattare la condanna per stalking ed estorsione sono stati i messaggi che Tizio le inviava con la richiesta di ottenere dei soldi che, pur se con vaghe promesse di restituzione, se non soddisfatte avrebbero portato alla rottura del rapporto.
L’uomo infatti giustifica le pretese di denaro adducendo difficoltà economiche nella realtà inesistenti, portando Caia ad accettare per salvaguardare la propria incolumità poiché vittima di sudditanza psicologica.
La decisione
La Corte di Cassazione, sezione 2, penale, sentenza 27 marzo 2024, n. 12633 ha ritenuto totalmente ininfluente il fatto che la coppia avesse accettato di adottare una comunicazione violenta e non per questo è neutralizzato il disvalore penale dietro gli atti persecutori, le minacce di morte, le offese pesanti e il perdurante disprezzo rivolti costantemente nei confronti della vittima.
“Asseverata, quindi, l'esistenza di una prevaricazione e sudditanza psicologica della persona offesa, correttamente il giudice del merito ha escluso che le dazioni di denaro fossero prive di coartazione in quanto riferibili ad una libera scelta della vittima, riconducendosi tali corresponsioni nell'alveo dell'estorsione consumata, ravvisabile non solo allorché le richieste di denaro siano state avanzate con toni aggressivi o minacciosi, ma anche in modo larvato e subdolo, in ossequio al principio stabilito dalla Corte di legittimità a mente del quale la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (ex multis, v. Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitola, Rv. 254797 – 01)”.