Il licenziamento per giusta causa trova una sua disciplina nella norma di cui all’art. 2119 del Codice civile che di seguito si riporta:
“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente.
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa. Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell'insolvenza”.
Questa ipotesi disciplinata dal Codice civile è relativa a un grave inadempimento del dipendente che determina la cessazione del rapporto di fiducia sussistente tra datore e lavoratore.
Il rapporto può sciogliersi sia nell'ipotesi in cui sia rapporto di lavoro a tempo determinato, che nel caso in cui si tratti di rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in tale ultima ipotesi, senza preavviso.
- 4.1Tfr
- 4.2Disoccupazione
- 4.3Ferie
- 4.4Permessi
- 4.5Tredicesima e quattordicesima
- 4.6Preavviso
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo
Ipotesi diversa dal licenziamento per giusta causa è quella del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, disciplinata dall’art. 3 della legge 15 luglio 66 n.604 ove è stabilito che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro.
In tale ipotesi, a differenza di quella precedente, è contemplato il preavviso.
Differenza tra licenziamento per giusta causa e licenziamento per giustificato motivo soggettivo
La principale differenza tra le due ipotesi è dunque data dalla gravità della condotta del dipendente.
In ipotesi di licenziamento per giusta causa, il dipendente avrà commesso una violazione così grave da impedire la regolare prosecuzione del rapporto, che cesserà nell’immediato.
In ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, si verificherà parimenti il venir meno del rapporto fiduciario tra datore e lavoratore, ma il lavoratore potrà proseguire l’attività lavorativa fino alla scadenza del periodo di preavviso di licenziamento.
Ulteriore ipotesi è quella del licenziamento per giustificato motivo oggettivo che riguarda l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro.
In questa ultima ipotesi, dunque, non viene in gioco un comportamento del lavoratore contrario ai suoi doveri, in quanto il licenziamento è giustificato da ragioni inerenti alla produzione.
Cosa fare in caso di licenziamento
Prima di tutto bisogna chiarire che il licenziamento deve essere comunicato al lavoratore tramite lettera scritta, firmata dal datore di lavoro, quindi in modo formale, e devono essere indicate in maniera chiara le motivazioni alla base del licenziamento.
Successivamente alla comunicazione del licenziamento, il lavoratore può decidere di contestare quanto affermato dal datore di lavoro.
La contestazione del licenziamento non richiede particolari formalità, può essere effettuata in maniera del tutto generica, senza prendere una specifica posizione in ordine all’accaduto, in quanto in seguito, nell’ambito del ricorso, si avrà tutto il tempo per effettuare una serie di contestazioni più specifiche.
Entro 60 giorni decorrenti dal giorno in cui il lavoratore ha ricevuto la comunicazione del licenziamento, dunque, il lavoratore può impugnarlo scrivendo una lettera che dovrà essere consegnata al datore con ricevuta di ritorno oppure inviando una pec.
Successivamente alla spedizione della contestazione può essere depositato ricorso entro 180 giorni.
Cosa spetta al lavoratore se viene licenziato
Se il lavoratore viene licenziato avrà una serie di diritti.
Vediamo quali sono.
Tfr
Al lavoratore spetta, in primo luogo, il trattamento di fine rapporto che corrisponde, in linea di massima, al pagamento di uno stipendio moltiplicato per il numero di anni durante i quali il dipendente ha prestato la propria attività lavorativa.
Il Codice civile detta una disciplina specifica sul punto, in quanto, ai sensi dell’art. 2120 è stabilito che il trattamento di fine rapporto “si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5”.
Inoltre, è espressamente stabilito che, “salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.
Disoccupazione
Il lavoratore che viene licenziato ha diritto all’indennità di disoccupazione (Naspi) che viene corrisposta al lavoratore per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive degli ultimi quattro anni.
La Naspi è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.
E’ stabilito che: “La Naspi si riduce del 3 per cento ogni mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione” (art. 4 Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n.22).
Viene inoltre previsto che, “con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2022, la Naspi si riduce del 3 per cento ogni mese a decorrere dal primo giorno del sesto mese di fruizione; tale riduzione decorre dal primo giorno dell'ottavo mese di fruizione per i beneficiari della Naspi che abbiano compiuto il cinquantacinquesimo anno di età alla data di presentazione della domanda” (art. 4 Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22).
Ferie
Le ferie non godute devono essere liquidate dal datore di lavoro.
Come si può vedere, dunque, in occasione della cessazione del rapporto lavorativo le ferie possono essere monetizzate, cosa non possibile durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.
Permessi
I permessi non goduti devono essere liquidati dal datore di lavoro.
Il datore deve liquidarli in ore non godute e secondo la paga oraria spettante nel mese di cessazione del rapporto.
Tredicesima e quattordicesima
In ipotesi di licenziamento al lavoratore devono essere corrisposti anche i ratei maturati relativi alla tredicesima e alla quattordicesima, se prevista.
Preavviso
Se il preavviso era dovuto e non è stato concesso, il lavoratore ha diritto al pagamento di un’indennità sostitutiva del preavviso.
Come disposto dall’art. 2121 del Codice civile, “l'indennità va calcolata computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.
Inoltre, viene disposto che: “Se il prestatore di lavoro è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, con premi di produzione o con partecipazioni, l'indennità suddetta è determinata sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato”.
Fa parte della retribuzione “anche l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al prestatore di lavoro”.
Cosa succede se il lavoratore è stato licenziato senza giusta causa?
In ipotesi di licenziamento senza giusta causa il lavoratore ha diritto a un’indennità.
Con decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Jobs act) all’art. 3 è infatti stabilito che “nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità”.
Viene inoltre stabilito che, solo nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui venga dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, “il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni”.
Dunque, secondo quanto stabilito dalla legge, in caso di licenziamento senza giusta causa, il lavoratore ha diritto a un’indennità, mentre ha diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro, solo in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, laddove venga dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore.
Molto interessante la casistica giurisprudenziale in tema di licenziamento senza giusta causa.
La Corte di cassazione, con ordinanza del 18 ottobre 2022, n. 30543 ha chiarito che il rifiuto opposto dalla lavoratrice allo svolgimento di prestazioni inferiori e non pertinenti alla sua qualifica va valutato come proporzionato e conforme a buona fede e la sua condotta non può essere causa di licenziamento disciplinare.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 5 giugno 2023, n. 15676 ha inoltre chiarito che costituisce inadempimento all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale decisa dal datore di lavoro, in assenza di preventivo accordo del lavoratore e senza pattuizione in forma scritta.
La Corte di cassazione, con ordinanza del 4 maggio 2022, n. 14064 ha poi stabilito che in presenza di un'illecita cessazione dell'attività aziendale da cui tragga origine una altrettanto illegittima procedura di mobilità, non può essere accordata ai lavoratori coinvolti la tutela reintegratoria ma solo quella risarcitoria.