Nelle ultime ore si fa un gran parlare della partecipazione alle Olimpiadi da parte di atleti transgender.
Il combattimento tra Angela Carini e Imane Khelif è durato appena 46 secondi. L'azzurra si è ritirata dal match di boxe contro l'atleta algerina, raggiunta recentemente da commenti infondati secondo cui sarebbe transgender.
Tra chi sostiene un’imparità fisica nelle gare sportive e chi invece ne fa un un discorso sociale votato all’inclusività, è indiscutibile il fatto che l’ultima parola spetti al Comitato olimpico e al suo regolamento.
Atleti transgender: possono competere alle olimpiadi?
Il tema della transessualità nel mondo dello sport è un argomento molto dibattuto e su cui non è facile fare chiarezza.
Al centro della questione c'è senz'altro la necessità di stabilire in quale categoria lasciar competere gli atleti in gara, al fine di garantire un'equità nelle gare sportive.
Sin dalla loro assegnazione, le Olimpiadi di Parigi 2024 sono state salutate come "le olimpiadi della parità di genere" riuscendo ad azzerare il gender gap tra gli atleti in gara.
Se, tuttavia, vi sono sport in gara in cui non ci è una differenziazione di genere (come nel caso del tiro con l'arco), per altri invece le competizioni sono divise in maschili e femminili.
Nel corso della storia delle Olimpiadi però non sono mancati casi in cui atleti che avessero scelto il percorso di transizione abbiano avuto l'occasione di competere nelle categorie corrispettive.
La possibilità o meno di gareggiare, infatti, è rimessa all'analisi scientifica che è chiamata a valutare i valori minimi ormonali degli atleti in gara. Tuttavia, non esistono al momento parametri univocamente validi per le competizioni corrispettive.
Insomma, quello che vale per i Mondiali o gli Europei, non vale invece per la classificazione alle Olimpiadi.
Il regolamento olimpico, la parola passa al CIO
Le prime regole in tema di partecipazione atletica per le identità non binarie e transgender sono state adottate nel 2003, quando il Comitato olimpico statuì che gli atleti transgender dovessero gareggiare nella categoria corrispondente al genere eletto.
Prima però sarebbe stato necessario sottoporsi all'operazione chirurgica e aver cominciato la terapia ormonale per la transizione almeno due anni prima.
Allo stato attuale, invece, il COI rifiuta di ispezionare gli organi sessuali degli sportivi e si richiama esclusivamente all'analisi dei livelli di testosterone, fissando la soglia a 10 nmol/L nei 12 mesi precedenti agli inizi.
Il regolamento redatto dal Comitato Internazionale Olimpico inserisce tra i suoi capi saldi anche il principio di non discriminazione (art. 3), capace di garantire l'equità sportiva nelle categorie di assegnazione tra uomini e donne (art. 4).
Inoltre, a nessun atleta può essere preclusa la partecipazione sportiva o la sua esclusione dalle gare sulla scorta di una "presunzione di vantaggio" che non sia stata accertata o verificata in via scientifica (art. 5).