Lo scorso 25 marzo 2024 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato con esito favorevole un progetto di risoluzione del conflitto tra Israele e Hamas, con la richiesta di un immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.
Si tratta della prima volta dagli eventi del 7 ottobre che hanno sancito l’inizio della guerra in cui il Consiglio di Sicurezza ONU chiede una tregua a Gaza, dove gli unici a patire sono i 32.000 civili palestinesi vittime delle deflagrazioni e privi di aiuti umanitari.
In passato Israele è già stato investito dalle condanne delle Nazioni Unite dovute alla violazione del cessate il fuoco verificatesi nel 1955 e nel 1956, per questa ragione adesso ci si domanda quale sia la reale efficacia delle risoluzioni adottate dai membri del Consiglio di Sicurezza ONU.
Cosa è successo e cosa ha stabilito il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
L’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 2728 (2024) ottenendo 14 voti favorevoli e con cui è stato formalmente chiesto un’interruzione immediata al conflitto nel periodo del Ramadan. Non sono mancate le critiche per l’astensione degli Stati Uniti al momento della votazione.
Il Ramadan, come noto, è il momento più importante praticato dai musulmani di tutto il mondo ed è cominciato tra il 10 e l’11 marzo e terminerà tra martedì 9 e mercoledì 10 aprile.
I punti salienti della risoluzione per la tregua nella Striscia di Gaza sono:
- un cessate il fuoco immediato per il mese di Ramadan rispettato da tutte le parti che porti ad un cessate il fuoco permanente e sostenibile;
- il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, oltre a garantire l’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e altre esigenze umanitarie;
- che le parti rispettino i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale in relazione a tutte le persone che detengono;
- l’urgente necessità di espandere il flusso di assistenza umanitaria e rafforzare la protezione dei civili nell’intera Striscia di Gaza.
Al termine della sessione di lavori del Consiglio di Sicurezza ONU hanno fatto discutere il mancato esercizio del potere di veto a stelle e strisce, che ha ceduto il passo alla “mera” astensione e giunta all’indomani di un sostenimento quasi incondizionato alle operazioni di Benjamin Netanyahu, incassando così le critiche da parte degli esponenti israeliani per aver gli Stati Uniti assunto una posizione – da un punto di vista diplomatico – non abbastanza netta e determinante, tale da non aver ostacolato l’approvazione.
Analogamente, è accaduto anche a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Linda Thomas-Greenfield, ambasciatrice USA, che ha ritenuto l’adozione della decisione “not binding” (ovvero, non vincolante da un punto di vista normativo) nei confronti di Israele.
La validità delle decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha responsabilità del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, così come disciplinato all’art. 24 della Carta delle Nazioni Unite. Per questa ragione, ha il potere di adottare misure e decisioni (anche dette risoluzioni).
Le misure hanno una funzione di indirizzo politico-diplomatico, perseguendo lo scopo di interrompere e prevenire aggressioni tra Stati che possano mettere a repentaglio la pace e la società civile. Si distinguono in:
- Misure che dispongono l’uso della forza, intese come l’applicazione di forze di militari, navali e aeree (art. 42) intraprese nei confronti dello Stato aggressore o in cui sia presente una guerra civile;
- Misure che non implicano l’uso della forza, ovvero atti di indirizzo rivolti agli altri Stati membri con la richiesta di adozione di sanzioni internazionali, embarghi e blocchi delle relazioni economico-diplomatiche;
- Misure provvisorie, ovvero inviti e raccomandazioni di non aggressione rivolti agli Stati belligeranti, al fine di tutelare la pace e i diritti.
Per quanto attiene alle decisioni, invece, queste attengono alle questioni sostanziali e la cui approvazione è legata alla necessità di ottenimento di 9 voti positivi espressi dai relativi Stati membri, ivi compresi i cd. membri permanenti (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina). Anche un solo voto negativo, ovvero l’espressione del potere di veto di uno tra questi, è in grado di invalidare l’approvazione.
Secondo abitudine del lessico comune, le decisioni adottate dal Consiglio di Sicurezza hanno preso a essere definite “risoluzioni” sebbene tale termine non sia affatto presente nel quadro normativo delle Nazioni Unite.
La sostituzione lessicale, in sostanza, è frutto dell’interpretazione analogica del contenuto delle decisioni poichè queste possono intervenire per l’attuazione di tutti gli interventi idonei alla risoluzione dei conflitti.
Ai sensi dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, gli Stati membri “convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza” e questo, secondo alcuni, rappresenterebbe solo un imperativo morale per gli Stati membri.
La differenza tra astensione e diritto di veto
I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU hanno il potere di esercitare il diritto di veto e che si sostanzia nella manifestazione di un voto contrario, con l’effetto di bloccare l’adozione della decisione in esame.
Il potere di veto non è esplicitamente disciplinato dall’articolo 27 della Carta ONU, sebbene la disposizione permetta di comprendere come anche solo il voto negativo proveniente da uno tra i membri permanenti impedisca l’approvazione della risoluzione. Anche nel caso in cui questa abbia a oggetto ragioni di carattere umanitario.
Quindi, così come il veto è capace di paralizzare il meccanismo di risoluzione di un conflitto, lo stesso non può dirsi nel caso dell’astensione al momento della votazione.
L’astensione, infatti, assume mero carattere diplomatico ed è intesa come una presa di distanza dalla decisione intrapresa dal Consiglio di Sicurezza e approvata dagli altri membri, pur non ostacolando in alcun modo l’adozione.
Cosa dice il Capitolo 7 della Carta ONU
Nel corso del tempo non sono mancate le diverse chiavi interpretative tese a spiegare la validità delle risoluzioni, riconoscendo o meno la loro forza vincolante nei confronti dello Stato interessato. Così come peraltro accaduto anche a seguito dell’approvazione della Risoluzione 2728 (2024).
Secondo l’ambasciatrice americana, conformemente all'astensione esercitata in sede di votazione, le decisioni approvate dal Consiglio di Sicurezza non sarebbero vincolanti poiché espressioni di raccomandazioni politiche rivolte allo Stato aggressore e solo se resa conformemente al Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite.
Infatti, il Consiglio di Sicurezza vincolerebbe lo Stato interessato al rispetto delle risoluzioni solo qualora queste venissero correlate all’invito di adottare sanzioni economiche e il blocco delle relazioni commerciali rivolte agli altri Stati.
Fino a quel momento, le raccomandazioni o le decisioni intraprese potrebbero solo invitare le parti interessati a ottemperare al rispetto dei diritti.
Di diverso avviso, invece, sarebbero altre interpretazioni che si scontrando con una “visione distorta” di quanto formulato dal Capitolo 7.
Alla stregua di ciò, la Carta delle Nazioni Unite rappresenta il quadro normativo di riferimento dell’ONU e la legge per questo ha carattere vincolante.
L’oculatezza del funzionamento e adozione delle decisioni del Consiglio di Sicurezza rendono chiaro come la raccomandazione di interrompere qualunque forma di aggressione sia vincolante e che il ricorso ai meccanismi ulteriori (si intende l’applicazione di embarghi, sanzioni finanziarie, interruzione dei commerci e delle relazioni diplomatiche, così come l’invio dei caschi blu e l’avvio di operazioni di pace), siano solo gli strumenti atti a implementare e costringere al rispetto.