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28 Settembre 2023
16:56

Caso Regeni, gli 007 egiziani a processo: cosa sta succedendo?

La fase di stallo nel processo per l’omicidio di Giulio Regeni sta per terminare: l’ha deciso la Corte Costituzionale dichiarando illegittimo l’articolo 420 bis, comma 3, del codice di procedura penale nella parte in cui non è previsto che il giudice possa procedere per i delitti di tortura in assenza dell’imputato se causata dalla violazione del dovere di cooperazione giudiziaria dello Stato di appartenenza.

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Caso Regeni, gli 007 egiziani a processo: cosa sta succedendo?
Dottoressa in Giurisprudenza
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Giulio Regeni era un ricercatore italiano presso l’Università di Cambridge e studiava Scienze Sociali, motivo per cui gli fu offerta la possibilità di sviluppare una tesi di dottorato sul ruolo dei sindacati nelle dinamiche politiche interne all’Egitto.

Trasferitosi a Il Cairo, fu ritrovato senza vita il 2 febbraio del 2016 nei pressi di uno stabilimento dei servizi segreti egiziani dopo nove giorni di sequestro e con evidenti segni di tortura (tra i più cruenti ricordiamo i segni di bruciature diffuse su tutto il corpo, i tagli e le lesioni alle orecchie e alle unghie).

In questi sette anni le indagini italiane alla ricerca di giustizia non si sono fermate, anche a costo di forti tensioni diplomatiche tra Italia ed Egitto.

Nel corso del tempo i tentativi di depistaggio da parte del governo egiziano sono stati molteplici, già noto anche per i frequenti episodi di torture e sparizioni forzate in tutto il Paese che hanno spesso suscitato aspre reazioni da parte della comunità internazionale.

Nonostante l’iter processuale italiano e la ferma intenzione di fare luce su cosa sia successo a Giulio nei giorni della sua sparizione e sulla responsabilità degli agenti dei servizi segreti di Al-Sisi, il processo si trova in una fase critica a causa dell’ostruzionismo della magistratura egiziana che non ha ancora dato seguito allo scambio delle informazioni investigative e alla notifica delle udienze ai quattro imputati.

Si può essere condannati in un processo se si è assenti e cosa succede se uno Stato rifiuta di collaborare in un processo? Cerchiamo di fare chiarezza.

Cosa ha deciso la Corte costituzionale sul Caso Regeni

L’ostruzionismo dell’Egitto nel corso del processo per avere verità per Giulio Regeni sembra avere le ore contate.

A partire dal 20 gennaio 2021, quando è stata fatta richiesta di rinvio a giudizio per Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, ovvero gli agenti della National Security egiziana che hanno sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore italiano, il processo ha subito continue battute d’arresto a causa del governo e della magistratura egiziana.

Infatti, stando alle spiegazioni del Cairo né la notifica di richiesta di rinvio a giudizio nè altri atti processuali avrebbero mai raggiunto il Governo competente e pertanto la procedura di cooperazione giudiziaria non sarebbe stata correttamente attivata per poter assicurare alla giustizia italiana di accertare i fatti.

Nonostante il clamore mediatico, le pressioni diplomatiche e le dure reazioni della comunità internazionale, gli imputati continuano a sottrarsi al processo, probabilmente questa una scelta per ottenere una deviazione del procedimento verso una pronuncia di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo, ex art. 420 bis c.p.p.

La questione è stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale, chiamata a verificarne proprio la legittimità dal momento che non sarebbe possibile andare avanti col processo senza la certezza che gli imputati sappiano dell’esistenza di un processo a loro carico dal momento che la magistratura egiziana non provvede alle notificazioni necessarie per i propri imputati.

La Corte Costituzionale però ha emesso il proprio giudizio di legittimità, dichiarando illegittimo l’articolo 420 bis, comma 3, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede per il giudice di poter procedere in assenza dell’imputato per i reati di tortura quando la sua assenza sia causata dallo Stato che non rispetti consapevolmente il dovere di cooperazione giudiziaria internazionale.

Vediamo cosa dice la legge italiana in merito.

Cosa prescrive la legge italiana

Il diritto italiano garantisce sempre il diritto a presenziare al processo che coinvolga l’interessato e che questi, quindi, sia messo nella condizione di poter partecipare al procedimento.

L’imputato che non riceva notificazione a comparire, non può esercitare tale diritto nè tantomeno rinunciare a comparire all’udienza, ragione per cui occorre verificare tutti gli atti prima di procedere.

A ben vedere però, l’articolo 420 bis del codice di procedura penale, dispone per il giudice di procedere ugualmente all’udienza anche in assenza dell’imputato in alcune ipotesi particolari.

Da un lato, la norma precisa che il giudice possa farlo anche se ritiene che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della sussistenza del giudizio a suo carico e che “la sua assenza all’udienza è dovuta ad una scelta” – dice la legge – “volontaria e consapevole”.

Da un lato, prosegue il comma 3, dell’art. 420 bis c.p.p, il giudice procede anche se l’imputato si è volontariamente sottratto alla conoscenza del processo.

La norma tuttavia, nel richiamare la scelta volontaria di astenersi dal processo per l’imputato, non farebbe menzione del caso particolare per cui questa assenza possa essere causata dallo Stato straniero di appartenenza dell’imputato: ovvero per la violazione del dovere di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale.

Adesso tocca aspettare il deposito integrale della sentenza della Corte Costituzionale.

​​Quando sarà depositata la sentenza?

L’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte Costituzionale con il comunicato del 27 settembre 2023 ha reso note le intenzioni della Corte sul Processo Regeni e la sollevata questione di legittimità costituzionale da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.

Si legge infatti nel comunicato che: “La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha esaminato la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in relazione alla celebrazione del processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni.

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa”.

Sono disponibili gli aggiornamenti apportati dalla Corte Costituzionale, sentenza 27 settembre 2023, dep. 26 ottobre 2023, n. 192 .

Cos’è la cooperazione giudiziaria internazionale

La cooperazione giudiziaria è uno dei principi generali del diritto internazionale ed è riconosciuta come un obbligo di diritto da parte di tutti gli Stati che hanno ratificato le convenzioni e i trattati internazionali.

Firmare e ratificare le convenzioni e i trattati significa infatti aderire completamente ai principi elencati, facendo propri tutti gli effetti da questi derivanti e accettandoli come strumenti giuridicamente vincolanti all’interno dei propri confini nazionali.

Gli Stati sono quindi chiamati ad assolvere alle esigenze di giustizia, cosa significa?

Vale a dire assicurare il rispetto dei diritti umani, collaborando reciprocamente nelle inchieste e nelle azioni giudiziarie per la repressione dei crimini universalmente riconosciuti come tali.

Il dovere di cooperazione giudiziaria penale internazionale a cui sono chiamati gli Stati impone l’obbligo di individuare i responsabili dei reati, specie se ai danni di un cittadino di un altro Stato, ma anche collaborando alle indagini e fornendo tutti gli elementi utili al processo, attraverso un’attività di raccolta, scambio e analisi degli elementi utili alla ricostruzione dei fatti.

Le fonti di diritto internazionale

Le fonti di diritto internazionale che sanciscono il dovere di cooperazione giudiziaria internazionale sono:

  • la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, secondo la quale ogni violazione dei diritti umani commessa da uno Stato nei confronti di un cittadino di un altro, imponga sul primo il dovere di individuare i colpevoli (anche se fossero membri dello Stato), cooperando con le Nazioni Unite assicurando la giustizia;
  • la Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale, concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, ovvero la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni unite 2625 (XXV) del 24 ottobre 1970, all’interno della quale sono sanciti i doveri di cooperazione internazionale politica, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, attraverso la repressione dei crimini internazionali, il dovere di cooperazione processuale e procedurale tra Stati coinvolti al fine di assicurare la pace e la sicurezza a livello internazionale;
  • lo Statuto di Roma che ha istituito la Corte Penale Internazionale (CPI) del 17 luglio 1998, che ha visto la partecipazione ai lavori preparatori da parte di Stati che, pur non avendo aderito allo Statuto finale, hanno confermato la la Convenzione preparatoria e secondo il quale è sancito formalmente il dovere di collaborazione: ai sensi dell’art. 86 dello Statuto è infatti affermato “secondo le disposizioni del  presente Statuto gli Stati parti cooperano pienamente con la Corte nelle inchieste ed azioni giudiziarie che la stessa svolge per reati di sua competenza”;
  • la Dichiarazione sui principi fondamentali di giustizia in favore delle vittime della criminalità e delle vittime di abusi di poteri, di cui alla Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 40/34 del 29 novembre 1985 e che individua le persone che, vittime individualmente o collettivamente di trattamenti disumani e degradanti che abbiano leso i diritti fondamentale, possano appellarsi alle norme di diritto nazionale e internazionale, richiamando la responsabilità e il dovere di cooperazione giudiziaria degli Stati coinvolti;
  • la Convenzione di Palermo, ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale del 15 novembre 2000, al cui art. 27 sancisce la cooperazione processuale e procedurale degli Stati, anche se in mancanza di intese e accordi multilaterali e bilaterali, collaborando nella lotta ai crimini assumendo la Convenzione come strumento fondante.

Le fonti normative UE

La cooperazione giudiziaria è uno dei capisaldi capace di superare l’impasse normativo fatto di legislazioni penali differenti tra Stati. L’Unione Europea ha risposto a questa esigenza sociale e criminologica avvalendosi di una maggiore celerità tra le autorità giudiziarie e le forze di polizia coinvolte, ma anche adottando il cd. principio di muto riconoscimento dei provvedimenti e delle decisioni adottate tra Stati.

Sono fonti di diritto dell’Unione Europea in tema di cooperazione giudiziaria:

  • il Trattato di Maastricht, ovvero il trattato sull’Unione Europea (TUE), che ha sancito 3 linee d’azione in tema di collaborazione intergovernativa europea anche attraverso l’intervento congiunto e coordinato delle forze di polizia nella prevenzione e repressione dei crimini;
  • il Trattato di Amsterdam, con cui sono state gettate le basi del cd. spazio effettivo di libertà, giustizia e sicurezza grazie alla cooperazione in materia di giustizia penale in Europa;
  • il Trattato di Lisbona, frutto dell’esperienza e dell’evoluzione in materia, ha stabilito il rispetto dei diritti fondamentali alla luce dei diversi ordinamenti giuridici che compongono il panorama normativo europeo, ma ribadendo l’obbligatoria collaborazione tra Stati nell’ambito della giustizia penale.
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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Dopo la laurea presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Sicurezza economica, Geopolitica e Intelligence presso SIOI - UN ITALY e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea presso il mio ateneo di origine. Ho concluso la pratica forese in ambito penale, occupandomi di reati finanziari e doganali. Nel corso degli anni ho preso parte attivamente a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Ho scritto di cybersicurezza, minacce informatiche e sicurezza internazionale per "Agenda Digitale" e "Cyber Security 360". Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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