Lunedì 15 gennaio 2024, nel corso della puntata di «Muschio Selvaggio» Fedez ha pubblicamente mostrato la foto di un presunto hater che aveva insultato lui e il figlio esclamando:
“Questa è la tua faccia da ca.., quando avrai i cogl… di mettere anche nome e cognome, potrai identificarti come uomo”.
Il problema però è che il rapper è incappato in un errore di persona di talchè, grazie anche alla larga diffusione dei mezzi social e della visibilità del personaggio, in poche ore l’ennesimo errore di comunicazione di Fedez è diventato virale su X (ex twitter).
Dopo questo episodio è arrivata la risposta di Wazza, il cui volto era stato mostrato erroneamente e che ha risposto pubblicamente: “Grazie Fedez, che non verifica le fonti, e mi mette alla pubblica gogna”.
Ovviamente una volta chiarito l’errore di Fedez, il canale YouTube del podcast ha oscurato il pezzo della puntata “incriminato”.
Ma cosa rischia ora Fedez? che differenza c’è tra la libera manifestazione del pensiero e la diffamazione a mezzo social? vediamo di fare chiarezza.
La libertà di manifestazione del pensiero e reati di opinione
Iniziamo col dire che il nostro ordinamento, gli artt. 2 e 21 della Cost. pongono le fondamenta affinché ogni cittadino sia libero di poter manifestare il proprio pensiero nonchè le proprie idee (art. 21 cost),nei limiti però di quanto disposto nell’articolo 2 della Costituzione.
Infatti, come più volte enunciato dalla Corte Costituzionale, non si può riconoscere un diritto fondamentale in senso assoluto in quanto, in tal modo, tale diritto diverrebbe tiranno.
E’ quindi necessario esaminare quanto detto all’interno dell’art. 21 Cost., il quale sembra sia ancorato al solo limite del buon costume.
Ricordiamoci però che quanto disposto all’interno dell’art. 21 della Cost. è figlio di un contesto (fascismo-oppressione di ogni libertà) che era ancorato al buon costume della società.
Se contestualizziamo però il periodo in cui la Costituzione è nata per portarla ai giorni nostri, possiamo vedere che all’interno della norma, non solo vi è il richiamo all’ordine pubblico (ideale e materiale), ma è fondamentale anche la tutela della dignità dell’uomo (art. 3 Cost) posta a tutela della persona umana oltre ai suoi corollari, tra cui l’onore.
In tal senso è importante richiamare un passaggio della sentenza n. 86 del 1974 nella quale la Corte costituzionale ha affermato che “La previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata e illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione. […] E tra codesti beni ed interessi, ed in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la persona umana, è l’onore”.
Proprio tale assetto costituzionale funge da base giuridica per la tenuta costituzionale dei cosiddetti reati di opinione.
Per reati di opinione, si fa riferimento ad una serie di fattispecie penalistiche che si rivolgono a punire condotte legate alla manifestazione del pensiero.
Alla nozione di reato di opinione vengono poi associate circa tre classi di reato:
– le varie forme di vilipendio;
– l’apologia di delitto;
– la propaganda razzista
La legge 85 del 2006 in relazione proprio ai reati di opinione, poi, oltre ad abrogare e a depenalizzare alcune fattispecie ritenute non più socialmente condivise, ha invece posto l’accento sul principio di offensività, apportando un correttivo sull’idoneità della condotta all’offesa (passaggio dal tipo reati di pericolo astratto, al tipo reati di pericolo concreto).
Infine, per dare sostegno alla tenuta penale di queste fattispecie di reato, si può sostenere la necessità di apportare una tutela piena ed effettiva in relazione a determinate condotte, che data la portata (impatto sulla collettività), potrebbero seriamente provocare, il diffondersi di un sentimento sociale di paura e lambire la coscienza sociale insita nel popolo sovrano.
Il reato di diffamazione nell’era dei social network
Ma veniamo al punto, oggi tramite la diffusione dei social è stato necessario introdurre la fattispecie di reato di diffamazione a mezzo internet.
L’art. 595 c.p. disciplina il reato di diffamazione la quale consiste nel fatto di chiunque “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”.
La diffamazione fa parte di quei reati che si definiscono “reati comuni" dal momento che questi possono essere commessi da “chiunque”.
La condotta (a forma libera) consiste nell’offendere l’altrui reputazione, comunicando con più persone, cosa che Fedez ha fatto pubblicamente tramite social di qui l’aggravante.
In questo tipo di reato, l’assenza del soggetto passivo, ovvero Wazza, al momento dell’azione criminosa si traduce nell’impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente l’addebito diffamatorio e quindi in un certo qual modo si difenda.
Recentemente la Corte di Cassazione con sentenza n.33219/21, ha stabilito che la pubblicazione di messaggi offensivi nei confronti di una persona sul proprio stato di whatsapp, integra il reato di diffamazione, di cui all’art.595 c.p.
La massima della sentenza precisa chiaramente che: “E’ condannato per diffamazione chi pubblica messaggi offensivi ai danni di una persona sul proprio stato di Whatsapp visibile a tutti i contatti della rubrica.”(Cass., Pen., Sez. V, Sent. N.33219/21).
In particolare, la diffamazione avvenuta su attraverso un mezzo ad alta diffusione come un social, comporta l’amplificazione dell’effetto lesivo dell’offesa soprattutto dal momento che, come accaduto nel caso che ci interessa, il messaggio non è stato inviato direttamente al destinatario in forma privata, ma è stato diffuso ad una molteplicità di persone tramite una trasmissione in onda su un canale social al quale partecipano migliaia di utenti tramite commenti e like.
In tal senso, nelle discussioni virtuali, che avvengono davanti ad un display e non in presenza diretta, per coloro che partecipano e non devono reggere un confronti vis à vis, è psicologicamente più facile lasciarsi andare ed esprimere parolacce, o altre espressioni pesanti, che altrimenti con ogni probabilità non verrebbero pronunciate di fronte all'interessato. In tal caso è proprio l’assenza del soggetto al quale l’insulto è rivolto che costituisce il discrimine tra la più lieve fattispecie di ingiuria, che ormai è stata depenalizzata, e la più grave di diffamazione, che invece costituisce reato. Inoltre, quando si realizza una diffamazione attraverso un social network, il soggetto colpito dalle offese può subire grossi danni, perché la sua reputazione viene lesa di fronte a una pluralità di persone.
Si veda anche il recente caso del suicidio della ristoratrice messa alla pubblica gogna da Selvaggia Lucarelli e dal suo compagno per un post pubblicato su Facebook rivelatosi, pare, falso..
Ad ogni modo, tornando a noi, oggi Fedez rischia sotto due profili, da un lato Wazza potrebbe querelarlo per diffamazione, con l’aggravante del mezzo attraverso cui questa è stata perpetrata, ovvero un canale social, rischiando di essere condannato ad una pena come la reclusione da 6 mesi a 3 anni oppure la multa fino a 516 €, sotto l’altro profilo, rischia di dover risarcire il danno che poi dovrà essere quantificato ma che di sicuro non sarà di poco conto.
Vedremo prossimamente come evolverà la situazione, fatto sta che la sempre maggiore diffusione di social dovrà trovare una giusta regolamentazione, come è accaduto recentemente agli influencer che secondo la recente delibera AgCom 178/23/CONS – ’“Avvio della consultazione pubblica relativa alle misure volte a garantire il rispetto, da parte degli influencer, delle disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi” saranno equiparati agli editori e quindi assoggettati alla disciplina della stampa.