La Commissione Europea con la comunicazione Tris (2023)0244 boccia il DDL Lollobrigida sulla “carne coltivata” e sul meat sounding, evidenziando violazioni procedurali nella formulazione della legge.
La direttiva Ue 2015/1535 e la sua violazione
La norma violata cui fa riferimento la Commissione è l’articolo 6 della direttiva Ue 2015/1535, il quale impone di sottoporre un disegno di legge considerato non in linea con il mercato unico europeo, agli Stati membri, attraverso la procedura Tris, prima della sua approvazione.
La Commissione europea ha infatti chiuso in anticipo rispetto ai termini previsti la procedura Tris attraverso la quale gli Stati membri hanno ritenuto che il DDL Lollobrigida non fosse conforme alle normative europee in quanto la legge italiana vieta la produzione e la commercializzazione della carne coltivata e impedisce di usare termini meat sounding per prodotti a base di proteine vegetali.
Ma cosa prevede la direttiva che si assume essere stata violata?
La direttiva Ue 2015/1535 prevede che gli Stati membri debbano informare la Commissione di qualsiasi progetto di regolamentazione tecnica prima della sua entrata in vigore.
A partire dalla data della notifica del progetto, per un periodo di tre mesi, lo Stato membro notificante, in questo caso l’Italia, non potrà adottare le misure previste all’interno della norma in quanto tutti gli Stati membri e la Commissione dovranno esaminare il testo notificato e rispondere adeguatamente.
Laddove emerga che i progetti notificati possano creare ostacoli alla libera circolazione delle merci nonchè alla libera prestazione dei servizi, la Commissione e gli altri Stati membri potranno presentare un parere circostanziato allo Stato che ha notificato il progetto con lo scopo di prorogato per altri tre mesi lo “status quo”chiedendo allo Stato interessato di spiegare come intenderà adeguarsi al parere della Commissione.
La norma violata cui fa riferimento la Commissione, abbiamo detto essere l’articolo 6 della direttiva Ue 2015/1535, che impone di sottoporre agli Stati membri un disegno di legge considerato non in linea con il mercato unico europeo, attraverso la procedura Tris, prima della sua approvazione.
Nel caso del ddl sulla carne coltivata ( qui un nostro approfondimento in merito) il Governo ha ritirato il provvedimento dalla procedura prima che il Parlamento italiano lo approvasse, per cui la Commissione ha invitato lo Stato membro “a informarla del seguito dato, anche alla luce della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia”.
Cosa prevede il DDl Lollobrigida
Il provvedimento approvato lo scorso anno dal parlamento italiano denominato “Schema di disegno di legge recante disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici” in sostanza proibisce la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi prodotti a partire da colture cellulari oppure da tessuti derivanti da animali vertebrati con lo scopo di: “assicurare la tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini nonché preservare il patrimonio agroalimentare, quale insieme di prodotti espressione del processo di evoluzione socio-economica e culturale dell’Italia, di rilevanza strategica per l’interesse nazionale”(art. 1 Proposta legge cibo sintetico_28.3.2023).
Non solo: il cosiddetto «ddl Lollobrigida» introduce anche una stretta sul “meat sounding”, ossia la possibilità di denominare come «carne» anche alimenti che contengono in realtà proteine vegetali.
In caso di violazione delle norme, sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da un minimo di euro 10.000 fino ad un massimo di euro 60.000 ovvero fino al 10% del fatturato totale annuo, con l’indicazione comunque di un tetto massimo, oltre alla confisca del prodotto illecito.
Sono infine previste ulteriori sanzioni amministrative che intervengono sulla possibilità di svolgere attività di impresa, inibendo l’accesso a contributi, finanziamenti o agevolazioni erogati da parte dello Stato, da altri enti pubblici o dall’Unione europea, per un periodo da uno a tre anni.
Ma la carne coltivata potrebbe essere la soluzione?
C’è da dire che gli allevamenti intensivi non sono sicuramente salutari per il bene non solo dell’essere umano ma innanzitutto per il Pianeta.(il “Green deal” infatti è tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 e prevede il graduale abbandono dei combustibili fossili e una riduzione del 43% delle emissioni globali entro il 2030)
E’ da una decina di anni che la ricerca scientifica sta lavorando allo sviluppo di sostituti della carne prodotti con tecniche di coltura cellulare, facendo moltiplicare in liquidi di coltura cellule staminali di animali, ma allo stato attuale, queste alternative alla carne naturale sono autorizzate solo negli Stati Uniti e a Singapore.
Il processo di produzione, infatti, è molto costoso ed in ogni caso non permette un'adeguata tutela dell’ambiente.
La coltivazione di carne prevede sì un minore uso di acqua e terra nonché emissioni di gas serra ridotte, ma ad oggi gli impianti necessari alla produzione sono estremamente energivori e per questo motivo la carne cosiddetta “coltivata” non solo non è competitiva ma riserva ancora molte difficoltà tecniche da superare per renderne possibile la produzione su larga scala.
I bioreattori dove si moltiplicano le cellule, infatti, richiedono un grande dispendio di energia e il risultato finale non è sufficientemente vicino alla carne naturale.
In questo ambito molti aspetti della produzione sono ancora oscuri soprattutto perché le aziende produttrici invocano il diritto alla riservatezza previsto dalle norme commerciali.
Infine se volgiamo lo sguardo all’elenco dei finanziatori della ricerca sulla carne coltivata vediamo chiaramente che sono coinvolte diverse multinazionali che a partire da Bill Gates a Sergey Brin di Amazon a Richard Branson della Virgin Group, ma anche JBS, Cargill e Tyson Foods, costituiscono le stesse multinazionali che controllano la filiera della carne dalla produzione della soia all’allevamento, alla macellazione, alla trasformazione e commercializzazione attraverso la grande distribuzione ed è quindi facile concludere che proprio chi è fra i principali responsabili della deriva attuale dell’allevamento, e ne detiene il controllo a livello globale, ora che il settore inizia a intravedere minacce all’orizzonte (rischi elevati di malattie pandemiche, maggiore sensibilità dei consumatori nei confronti del benessere animale, problemi ambientali, costo crescente delle materie prime), investe sulla carne coltivata utilizzando gli stessi strumenti e gli stessi schemi (brevetti e monopoli).
Il cibo è cultura
Una conclusione amara da parte di chi scrive però è doverosa.
Il cibo è parte essenziale della cultura di ogni popolo, non è un semplice carburante per far funzionare l’organismo nè, come spesso ci fanno pensare i nutrizionisti, è somma algebrica di proteine, grassi e carboidrati.
Il cibo è prima di tutto espressione culturale, linguaggio.
È parte integrante dell’identità dei popoli, frutto di saperi, scambi, tradizioni, innovazioni, contaminazioni è narrazione, convivialità, condivisione, solidarietà, piacere del gusto.
La qualità organolettica del cibo è legata a quel che c’è dietro un piatto: storia, lavoro, sapere, paesaggio, suolo…
Nel caso della carne, la qualità organolettica è legata all’alimentazione somministrata agli animali, alla qualità e alla varietà delle erbe e dei fieni, alle condizioni di vita dell’animale, alle tecniche di lavorazione.
Qualsiasi cibo prodotto in un laboratorio esprime un allontanamento definitivo con l’ambiente perdendo il suo valore principale: il legame col territorio e con le comunità.
Basterebbe essere più accorti, allontanarci dalle abitudini consumistiche cui la nostra società ci ha abituati negli ultimi 40 anni per ritornare a fare attenzione alla stagionalità dei prodotti, alla valorizzazione dei prodotti del territorio e al mantenimento delle tradizioni culinarie che, certamente in Italia non mancano.
Lo spreco alimentare oggi è un problema, ne abbiamo già parlato qui, ma per combatterlo basta poco, mangiare meno ma con più qualità facendo attenzione a non butar via nulla.