Uno dei principi fondamentali della L.241 del 1990 e le sue successive modificazioni, è racchiuso nell'articolo 3 della stessa che è dedicato all'obbligo che incombe sulla Pubblica Amministrazione di motivare ogni atto che proviene da questa, e tanto per dare la possibilità al cittadino di conoscere le ragioni che sono a fondamento del provvedimento adottato ma anche al fine di contemperare il principio di trasparenza che incombe io capo all'amministrazione stessa.
Analizziamo la norma nel dettaglio.
La norma
- Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
- La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.
- Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.
- In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere.
La generalizzazione dell’obbligo di motivazione
L’art. 3 della L.241 del 1990 introduce un paletto fondamentale all’attività della Pubblica Amministrazione, ovvero l’obbligo di motivazione (dell’atto amministrativo) ad eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale.
Tale obbligo è previsto dalla Costituzione solo con riguardo ai provvedimenti giurisdizionali che, a norma dell’art.111, “devono essere tutti motivati”, in ossequio al canone del “giusto processo”.
Prima dell’introduzione della Legge sul procedimento amministrativo (l'attuale legge 241 del 1990 di cui stiamo parlando) tale obbligo non era previsto per la P.A.,la quale poteva motivare gli atti solo in particolari casi individuati dal legislatore o dalla giurisprudenza.
E’ chiaro ed evidente che tale tipo di impostazione mal si conciliava con l’obbligo trasparenza dell’azione amministrativa, di difesa dei diritti del cittadino e di controllo giurisdizionale sugli atti della P.A.
Successivamente con l’introduzione dell’obbligo di motivazione, il cittadino è stato messo nelle condizioni di poter esercitare il proprio “diritto di difesa” mentre al Giudice Amministrativo, è stato consentito di individuare e valutare, in sede giudiziale, con sufficiente precisione le motivazioni sottese all’emanazione del provvedimento finale e nel caso in cui queste siano affette da vizi, disapplicarle attraverso l’emanazione della sentenza relativa.
Il contenuto della motivazione
Ma cosa deve essere contenuto all’interno della motivazione del provvedimento?
L’art. 3 della L. 241/90, ci dice al primo comma che: “La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria”.
Ciò significa che il responsabile del procedimento quando redigerà l’atto e giungerà alla motivazione dello stesso, dovrà specificare quale sia stato l’iter logico giuridico attraverso il quale esso è giunto all’emanazione del provvedimento.
Questa attività è necessaria al fine di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa e a far si che l’utente finale, ovvero il cittadino, possa avere conoscenza dei motivi sottesi all’emanazione del provvedimento finale e se in disaccordo con essi, impugnarli con i metodi previsti dal legislatore.
Dalla motivazione deve quindi emergere la valutazione, effettuata dal funzionario, di tutti gli elementi che emergono dalla fase istruttoria.
E se manca la motivazione?
Ebbene se manca la motivazione l’atto è annullabile in quanto viziato, ma di questo ne parleremo in seguito.
E’ però da sottolineare, in questa sede, che non sempre la mancanza della motivazione determina l’invalidità del provvedimento.
Nel caso,infatti, in cui l’atto sia privo della motivazione, esso potrà essere valido se, all'interno dello stesso, il funzionario faccia riferimento ad un altro atto il cui iter logico giuridico era simile a quello appena adottato.
L’atto in questione dovrà, quindi, rinviare ad altro atto che contiene la motivazione estesa, c.d. motivazione per relationem.
Nel caso invece l’amministrazione si trovi dinanzi a provvedimenti discrezionali, la motivazione dell’atto dovrà prevedere una valutazione dettagliata dei presupposti che hanno portato all’emanazione dell’atto, mettendo particolarmente in evidenza, le conclusioni dell’amministrazione.
Infine, in caso di provvedimenti vincolati, la motivazione è sufficiente anche solo nel caso in cui identifichi la sussistenza dei presupposti e, pertanto, si riduce alla c.d. giustificazione.
L’esclusione dell’obbligo di motivazione per gli atti a contenuto normativo e generale
La regola generale dell’obbligo di motivazione finora descritta, è però sottoposta a delle eccezioni, specificatamente individuate dal legislatore.
Infatti il comma 2 dell’art. 3 della L.241/90 prescrive che la motivazione non è richiesta per:
– gli atti normativi, visto il carattere latu sensu politico degli stessi, generalmente non idonei, tra le altre cose, ad incidere su situazioni giuridiche soggettive o interessi concreti;
– gli atti a contenuto generale, tra i quali sono ricondotti, ad esempio gli atti di pianificazione urbanistica, come i piani regolatori e le relative varianti generali.
Inoltre dalla formulazione dell’art. 3. della L. 241/90 che si riferisce “ad ogni provvedimento amministrativo”, si ricava la sottrazione dell’obbligo di motivazione degli atti non provvedimentali.
Alla disciplina dell’obbligo di motivazione sono sottratte anche le varie forme di silenzio assenso previste dall’art. 20 della L.241/90.
La giurisprudenza, a sua volta, ha individuato ulteriori tipologie di provvedimenti per le quali non si ritiene necessaria la motivazione come:
– i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell’interessato, in tal caso al motivazione sarebbe “in re ipsa”;
– i provvedimenti vincolati, per i quali sarebbe sufficiente la c.d. giustificazione, ovvero l’esternazione dei presupposti di fatto e l’indicazione delle norme giuridiche.
L’invalidità del provvedimento amministrativo per mancanza della motivazione
Ma cosa succede se in un provvedimento amministrativo manca la motivazione?
-Prima dell’entrata in vigore della L. 241/90, il cui art. 3 come abbiamo visto ha sancito l’obbligo, per le P.A., di motivare ogni provvedimento amministrativo, la giurisprudenza ravvisava in tale mancanza una spia dell’eccesso di potere, indizio, quindi di una non corretta valutazione dell’interesse pubblico e di conseguenza un cattivo esercizio di potere.
–Dopo l’entrata in vigore della 241/90 la giurisprudenza è ormai concorde nell’affermare che l’omessa motivazione configuri quella che comunemente viene denominata di "violazione di legge" e che fa parte del coacervo dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo.
E’ però necessario distinguere a seconda che:
a) la motivazione sia del tutto assente, insufficiente od oscura, e il tal caso il vizio si potrà qualificare come “difetto di motivazione” estrinsecandosi in violazione di legge;
b) la motivazione sia contraddittoria, illogica o incerta, nelle valutazioni effettuate, ed in tal caso si tratterà di un vizio funzionale, per cui il giudice dovrà accertare se la motivazione è congrua e sufficiente, tenendo conto della natura dell’atto e della corrispondenza tra la situazione fattuale e le risultanze dell’istruttoria. In tale ipotesi si ravviserà il vizio di eccesso di potere.
L'annullabilità dell'atto
Possiamo quindi concludere dicendo che, nel caso in cui la motivazione sia omessa, o comunque manchi per uno dei motivi appena esposti l’atto sarà annullabile.
Ma cos’è l’annullabilità dell’atto?
Essa è una causa di invalidità dello stesso, di impatto minore rispetto alla nullità, che ne determina l'illegittimità e quindi la possibilità che l'atto sia annullato.
Ciò significa che l'atto amministrativo annullabile, che può anche essere sanato o soggetto a consolidazione è, salvo diversa dichiarazione, giuridicamente esistente; efficace e soprattutto sanabile.
L'annullabilità, infine, non si verifica di diritto, ma solo nel caso in cui chi ne abbia interesse (il privato ma anche la pubblica amministrazione stessa), la faccia valere in conseguenza di un altro atto della pubblica amministrazione o di una sentenza.