L’articolo 975 del Codice Civile, rientra nel Libro III – Della proprietà, Titolo IV – Dell'enfiteusi, rubricato come "Miglioramenti e addizioni".
Il testo aggiornato dell'art. 975 c.c. dispone:
“Quando cessa l'enfiteusi, all'enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti nella misura dell'aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali sono accertati al tempo della riconsegna.
Se in giudizio è stata fornita qualche prova della sussistenza in genere dei miglioramenti, all'enfiteuta compete la ritenzione del fondo fino a quando non è soddisfatto il suo credito.
Per le addizioni fatte dall'enfiteuta, quando possono essere tolte senza nocumento del fondo, il concedente, se vuole ritenerle, deve pagarne il valore al tempo della riconsegna. Se le addizioni non sono separabili senza nocumento e costituiscono miglioramento, si applica la disposizione del primo comma di questo articolo”.
La disciplina viene ad essere applicata in tutti i casi di cessazione dell’enfiteusi e sempre che comportino il ripristino del diritto di proprietà del concedente.
In simili ipotesi, a nulla rilevano l’espropriazione per pubblica utilità o l’affrancazione del fondo.
Vediamo alcuni tra gli orientamenti della giurisprudenza:
Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 14 aprile 2022, n. 12206
"La disposizione dell'art. 975, comma 1, c.c., secondo cui l'enfiteuta, quando cessa l'enfiteusi, ha diritto al rimborso dei miglioramenti apportati, nella misura dell'aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali risultino accertati al momento della riconsegna, trova applicazione solo ai miglioramenti che si collocano nell'ambito del rapporto di enfiteusi e che, essendo ancora esistenti alla data della riconsegna, si traducono in un valore economico direttamente o indirettamente riconducibile alla legittima attività dell'enfiteuta (o dei suoi danti causa), e non anche ai miglioramenti realizzati dopo la cessazione del rapporto nel tempo in cui l'enfiteuta abbia conservato di fatto il possesso materiale del bene, per i quali, invece, risultano applicabili i criteri generali previsti dall'art. 1150 c.c.".
Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 12 novembre 2013, n. 25428
"In caso di perimento parziale di un fondo, rustico o urbano, dovuto ad una calamità naturale, il rischio dell'evento lesivo ricade sul proprietario del bene, per cui l'enfiteuta, in difetto di un'espressa previsione normativa che lo imponga, non ha l'obbligo giuridico di ricostruire la parte andata distrutta. Ove, peraltro, l'enfiteuta abbia provveduto a proprie spese alla ricostruzione della parte perita, è applicabile in suo favore la disciplina dettata in tema di miglioramenti ed addizioni di cui all'art. 975 cod. civ., venendosi, altrimenti, a realizzare un ingiustificato arricchimento del proprietario in danno del medesimo enfiteuta".
Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 15 marzo 1995, n. 3038
"La disposizione del primo comma dell'art. 975, a norma della quale "quando cessa l'enfiteusi, all'enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti nella misura dell'aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali accertati al tempo della riconsegna", ha lo scopo di favorire il miglioramento del fondo enfiteutico assicurando all'enfiteuta, in ogni caso di cessazione che comporti l'integrale ripristino del rapporto, i vantaggi economici delle opere eseguite ed incentivando, per tale via, l'interesse dello stesso all'adempimento puntuale dell'obbligo di miglioramento del fondo all'assunto con il contratto (art. 960 cod.civ.) e si riferisce, quindi, solo ai miglioramenti che si collocano nell'ambito del rapporto di enfiteusi e che, essendo ancora esistenti alla data della riconsegna, si traducono in un valore economico direttamente o indirettamente riconducibile alla legittima attività dell'enfiteuta (o dei suoi danti causa) e non ai miglioramenti realizzati dopo la cessazione del rapporto, nel tempo in cui l'enfiteuta ha mantenuto di fatto il possesso materiale del bene, per i quali sono, invece, applicabili i criteri previsti dall'art. 1150 cod. civ.".
Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 12 dicembre 1988, n. 6740
"A configurare il possesso enfiteutico ad usucapionem, oltre al pagamento del canone, non è necessaria l'esecuzione di radicali innovazioni sul fondo, essendo sufficiente l'apporto di miglioramenti che ne accrescano il valore, (nella specie impianto di un vigneto)".
Corte di Cassazione, sezione U, sentenza 11 febbraio 1982, n. 838
"La devoluzione al giudice ordinario della domanda, con la quale il privato, deducendo la propria pregressa qualità di enfiteuta di un fondo del patrimonio disponibile di un comune, chieda la corresponsione di un indennizzo per migliorie, non trova deroga, in favore della giurisdizione del commissario per la liquidazione degli usi civici, per il solo fatto che il comune contesti la pretesa attrice invocando l'appartenenza di detto terreno al demanio di uso civico, ovvero chieda riconvenzionalmente la restituzione dei frutti percetti, atteso che tale deduzione implica indagini sulla "qualitas soli" solo in via incidentale, al fine del riconoscimento o meno di un diritto di credito, e che inoltre quella richiesta riconvenzionale non si pone come accessoria rispetto ad una domanda di rivendicazione di terre di uso civico".